Перевод: со всех языков на все языки

со всех языков на все языки

un+punto+a+favore

  • 21 ♦ with

    ♦ with /wɪð/
    A prep.
    1 (compl. di compagnia o unione) con; insieme con; insieme a: DIALOGO → - New flame- Who with?, con chi?; Come with me!, vieni con me!; She lives with her parents, vive con i genitori; to mix flour with milk, mescolare la farina con il latte; If you go on strike, we'll all be with you, se scendi in sciopero, saremo tutti con te
    2 ( contemporaneità) con: He used to get up with the sun, era solito levarsi col sole; Wine improves with age, il vino migliora con gli anni
    3 ( affidamento, dipendenza) con; a; da; presso: I've been with this firm for years, sono anni che lavoro con (o presso) questa ditta; My son has left his cats with me, mio figlio mi ha lasciato (o ha lasciato da me) i suoi gatti; Leave the papers with the secretary!, lascia i documenti alla segretaria!
    4 ( vicinanza) accanto a; vicino a: to sit with strangers, essere seduto ( a una riunione, ecc.) accanto a persone che non si conoscono
    5 ( mezzo) con; per mezzo di; mediante; da: Cut it with a knife!, taglialo col coltello!; He was shot in the leg with a rifle, è stato ferito alla gamba da una fucilata; DIALOGO → - Booking a room by phone- Is that Taylor with a ‘y’ or an ‘i’?, Taylor con la ‘y’ o con la ‘i’?
    6 ( causa) a causa di; con; di; da; per: He was tired with all his work, era stanco a causa di (o per) tutto il lavoro che aveva fatto; He was shaking with a high fever, tremava per la febbre alta; He was trembling with fear, tremava di (o dalla) paura; He is down with fever, è a letto con la febbre; a man bent with age, un uomo curvo per gli anni
    7 ( modo, qualità) con; di; per; da; a: to listen with interest, ascoltare con interesse; with all one's heart, di tutto cuore; The grass was wet with rain, l'erba era bagnata per la pioggia (o di pioggia); a jacket with four pockets, una giacca con quattro tasche; a man with a long beard, un uomo dalla barba lunga; to cross a stream with dry feet, attraversare un ruscello a piedi asciutti; a word ending with a consonant, una parola che finisce per consonante
    8 ( materia) con; di: Fill the stove with wood!, riempi la stufa di legna!; The hills are covered with woods, le colline sono coperte di boschi; His neck was wet with sweat, aveva il collo bagnato di sudore; The ball is filled with air, la palla è riempita con aria (o piena d'aria)
    9 ( opposizione, contrasto) con; contro: to quarrel with sb., litigare con q.; to fight with sb., battersi contro q.; to compete with foreign firms, essere in concorrenza con ditte estere
    10 ( vantaggio) per; a favore di: I voted with the Democrats, ho votato per il partito democratico
    11 col favore di: to sail with the wind, navigare col favore del vento
    12 ( separazione) da; di: to part with a friend, separarsi da un amico; to part with the loot, disfarsi del bottino; a break with tradition, un abbandono della tradizione
    13 ( concessivo) con; malgrado; nonostante: With all her faults, I still love her, con tutti i suoi difetti, le voglio ancora bene
    14 ( confronto) con; di: to compare sb. [st.] with sb. [st.] else, confrontare q. [qc.] con q. [qc.] altro; The door is level with the street, la porta è allo stesso livello della strada
    15 ( relazione) nel caso di; riguardo a; per: With him, pleasure is more important than business, per lui, il piacere è più importante del lavoro; It's all the same with me, per me fa lo stesso!
    16 to be with sb., essere con q.; appoggiare, sostenere q.; ( anche) esserci, seguire: Are you with me?, mi segui?; ci sei?; (è) chiaro?
    17 (nei verbi frasali, è idiom.; per es.:) to break with, rompere con (q.); liberarsi, disfarsi di (qc.); to do away with, abolire, sopprimere; ecc. (► to break, to do, to make, ecc.)
    B a. pred.
    ( USA: detto di cibo o bevanda) servito nel solito modo; come sempre: Coffee with!, caffè con la panna!
    ● ( sui pacchi) «Handle with care», «fragile» □ (form.) to be with child, essere incinta □ (fin.: di un titolo) with coupon (o with dividend), con cedola; con dividendo □ with an eye to, tenendo d'occhio; non trascurando; senza dimenticare: with an eye to the future, in previsione del futuro □ to be with God, essere con Dio; essere in paradiso □ with no, senza: He went out with no hat on, è uscito senza cappello □ (leg.: di una cambiale) with recourse, con regresso; con rivalsa □ with respect (o regard) to what you said before, quanto a (a proposito di) ciò che hai detto prima □ (fin.: di titolo) with rights, con opzione □ with that [this], con ciò; al che; e allora □ ( d'animale) to be with young, essere gravida (o pregna) □ along with, con; insieme con (o a): You must show your passport along with your ticket, occorre esibire il passaporto insieme al biglietto □ as is usual with him, com'è sua abitudine; al suo solito □ to begin with, per cominciare; per dirne una: We have no money, to begin with, (tanto) per cominciare, non abbiamo soldi □ to have it out with sb., fare (o saldare) i conti con q. (fig.); risolvere una lite □ (fam.) to be in with sb., essere in società con q.; essere alleato di q.; essere intimo di q.; essere in combutta con q. to be in love with sb., essere innamorato di q.Down with drugs!, abbasso la droga! □ Off with those filthy jeans!, togliti quei jeans luridi! □ What's the matter with you?, che cos'hai?; che c'è che non va? □ I have done with it, non voglio più sentirne parlare □ I've done with you, con te ho chiuso; non voglio più avere a che fare con te □ Have done with it!, falla finita!; smettila! □ Off with his head!, tagliategli la testa! □ (fam.) Be off with you!, vattene! □ (fam.) Get along with you!, avanti, muoviti! □ That's always the way with you, fai sempre così!; lo vedi come sei? □ I am with you there, su questo punto sono d'accordo; ne convengo.

    English-Italian dictionary > ♦ with

  • 22 pitch

    I [pɪtʃ]
    1) sport campo m. (sportivo)
    2) mus. tono m., tonalità f.; (of note, voice) tono m., altezza f.
    3) (degree) grado m.; (highest point) colmo m.
    4) (sales talk) parlantina f.
    5) ing. mar. pece f. nera
    6) BE (for street trader) posteggio m.
    7) ing. (of roof) inclinazione f., pendenza f.
    II 1. [pɪtʃ]
    1) (throw) gettare, buttare [ object] ( into in); sport lanciare
    2) (aim, adjust) adattare [campaign, speech] (at a); (set) fissare [ price]
    3) mus. [ singer] prendere [ note]; [ player] dare [ note]
    4) (erect) piantare, rizzare [ tent]
    2.
    1) (be thrown) [rider, passenger] cadere
    2) mar.
    3) AE (in baseball) servire
    * * *
    I 1. [pi ] verb
    1) (to set up (a tent or camp): They pitched their tent in the field.)
    2) (to throw: He pitched the stone into the river.)
    3) (to (cause to) fall heavily: He pitched forward.)
    4) ((of a ship) to rise and fall violently: The boat pitched up and down on the rough sea.)
    5) (to set (a note or tune) at a particular level: He pitched the tune too high for my voice.)
    2. noun
    1) (the field or ground for certain games: a cricket-pitch; a football pitch.)
    2) (the degree of highness or lowness of a musical note, voice etc.)
    3) (an extreme point or intensity: His anger reached such a pitch that he hit her.)
    4) (the part of a street etc where a street-seller or entertainer works: He has a pitch on the High Street.)
    5) (the act of pitching or throwing or the distance something is pitched: That was a long pitch.)
    6) ((of a ship) the act of pitching.)
    - pitcher
    - pitched battle
    - pitchfork
    II [pi ] noun
    (a thick black substance obtained from tar: as black as pitch.)
    - pitch-dark
    * * *
    I [pɪtʃ] n
    (tar) pece f
    II [pɪtʃ]
    1. n
    1) esp Brit Sport campo
    2) (angle, slope: of roof) inclinazione f
    3) Naut Aer beccheggio
    4) (of note, voice, instrument) intonazione f, altezza, (fig: degree) grado, punto

    at its (highest) pitch — al massimo, al colmo

    his anger reached such a pitch that... — la sua furia raggiunse un punto tale che...

    5) fam, (also: sales pitch) discorsetto imbonitore
    6) Mountaineering tiro di corda
    7) (throw) lancio
    2. vt
    1) (throw: ball, object) lanciare, (hay) sollevare col forcone
    2) (Mus: song) intonare, (note) dare

    to pitch it too strong fam — esagerare, calcare troppo la mano

    3) (set up: tent) piantare
    3. vi
    1) (fall) cascare, cadere
    2) Naut, (Aer) beccheggiare
    * * *
    pitch (1) /pɪtʃ/
    n. [u]
    pitch-black, nero come la pece □ (stor.) pitch-cap, copricapo impeciato ( strumento di tortura) □ pitch dark, buio pesto □ pitch darkness, completa oscurità □ (bot., USA; spec. Pinus rigida) pitch pine, pitch pine, pino rosso.
    ♦ pitch (2) /pɪtʃ/
    n.
    1 (spec. sport: baseball e cricket) lancio; palla lanciata: a good pitch, un buon lancio
    2 [u] (naut., aeron.) beccheggio
    4 [u] (mus. e ling.) tono; tonalità ( d'un suono, anche parlando)
    5 [uc] (mus.) altezza ( di una nota)
    6 (fig.) culmine, apice, punto massimo; colmo: the pitch of merriment, il colmo (o il massimo) dell'allegria
    7 (fig.) grado; punto: The party was at the highest pitch of excitement, la festa era giunta al punto più alto (o al culmine) dell'eccitazione
    10 [u] ( di un tetto, ecc.) inclinazione; pendenza
    11 (mecc.) passo: screw pitch, passo della vite; variable pitch propeller, elica a passo variabile
    12 ( sport: baseball, cricket, calcio, hockey) campo (di gioco); ( anche) fattore campo: off the pitch, fuori dal campo di gioco; non in campo; pitch invasion, invasione di campo; pitch-side, bordo campo
    13 (fig., fam.) discorsetto; imbonimento; tirata imbonitoria: (comm.) sales pitch, la tirata imbonitoria del venditore; to have a good sales pitch, sapere vendere la propria merce
    15 [u] (fam.) abbordaggio; approccio amoroso
    ● (mecc.) pitch circle, circonferenza primitiva ( di una ruota dentata) □ (mecc.) pitch cone, cono primitivo □ (mus.) pitch-pipe, strumento a fiato per accordare; corista □ to fly a high pitch, ( di falco, ecc.) volare fino al punto più alto ( prima di gettarsi sulla preda); (fig.) mirare in alto, fare progetti ambiziosi (o voli di fantasia) □ ( USA) to make a pitch for sb., cercare di abbordare q.; provarci con q.; tentare un approccio amoroso con q. □ ( USA) to make a pitch for st., spezzare una lancia in favore di qc. □ (fig.) to queer sb. 's pitch, guastare i piani a q.; rompere le uova nel paniere a q. (fig.).
    (to) pitch (1) /pɪtʃ/
    v. t.
    impeciare.
    (to) pitch (2) /pɪtʃ/
    A v. t.
    1 piantare; fissare; rizzare: to pitch a tent, piantare una tenda; to pitch a camp, fissare il campo; accamparsi
    2 gettare; lanciare; scagliare; buttare: to pitch a ball, lanciare una palla
    3 (mus.) accordare; intonare ( uno strumento, ecc.); impostare ( la voce): to pitch a melody in a higher key, intonare una melodia in chiave più alta
    4 (fig.) impostare ( un discorso); dare il tono a (qc.); esprimere (qc. ) in un modo particolare
    6 pavimentare, selciare ( una strada)
    8 ( sport: baseball) lanciare: to pitch the ball to the batter, lanciare la palla al battitore
    9 (fam.) raccontare; narrare: to pitch a yarn, raccontare una storia
    B v. i.
    2 cadere; stramazzare: to pitch on one's head, cadere a capofitto; to pitch out of the window, cadere dalla finestra
    3 (naut., aeron.) beccheggiare
    4 (aeron.) impennarsi; picchiare
    5 ( baseball) essere al lancio; fare il lanciatore: the pitching team, la squadra che è ai lanci
    6 ( del tetto, ecc.) avere una (certa) pendenza (o inclinazione): The roof of the barn pitches sharply, il tetto del granaio ha una forte pendenza
    ● ( cricket) to pitch a good length, fare un bel lancio lungo □ to pitch hay, caricare fieno ( gettandolo coi forconi sui carri) □ (fig.) to pitch one's tent, piantar le tende, stabilirsi ( in un luogo) □ to be pitched off one's horse, essere disarcionato.
    * * *
    I [pɪtʃ]
    1) sport campo m. (sportivo)
    2) mus. tono m., tonalità f.; (of note, voice) tono m., altezza f.
    3) (degree) grado m.; (highest point) colmo m.
    4) (sales talk) parlantina f.
    5) ing. mar. pece f. nera
    6) BE (for street trader) posteggio m.
    7) ing. (of roof) inclinazione f., pendenza f.
    II 1. [pɪtʃ]
    1) (throw) gettare, buttare [ object] ( into in); sport lanciare
    2) (aim, adjust) adattare [campaign, speech] (at a); (set) fissare [ price]
    3) mus. [ singer] prendere [ note]; [ player] dare [ note]
    4) (erect) piantare, rizzare [ tent]
    2.
    1) (be thrown) [rider, passenger] cadere
    2) mar.
    3) AE (in baseball) servire

    English-Italian dictionary > pitch

  • 23 ♦ hot

    ♦ hot /hɒt/
    A a.
    1 caldo ( anche fig.); molto caldo; ( anche fig.) bruciante, rovente, infuocato: It's too hot near the fireplace, fa troppo caldo vicino al caminetto; I like my coffee hot, il caffè mi piace caldo; Can I have a hot tea, please?, posso avere un tè caldo, per favore?; a hot drink, una bevanda calda; a hot wind, un vento caldo; a hot iron, un ferro rovente; hot fever, febbre bruciante; hot words, parole roventi; scorching hot, terribilmente caldo
    2 ( di cibo o bevanda) che brucia in gola; piccante
    5 (fig.) ardente; caloroso; fervido; focoso; irruente; animato; vivace; veemente; violento: a hot temper, un temperamento ardente (o focoso); a hot struggle, una lotta violenta
    6 ancora caldo; fresco; recente: hot scent, traccia fresca ( di selvaggina, ecc.); hot news, notizie fresche, recenti
    7 di successo; popolare; alla moda; che va molto: the hottest nightclub in town, il night più alla moda (o frequentato) della città
    8 (fam., di persona) molto attraente e eccitante; arrapante (fam.)
    9 (fam.) abile; esperto; bravo; ferrato (fam.): I'm not so hot at ( o on) maths, non sono molto bravo (o sono scarso) in matematica
    10 (fam.: di un libro, uno spettacolo, ecc.) piccante; spinto; scandaloso
    11 (fam.: di merce, ecc.) che scotta, di dubbia provenienza; ( di una situazione, ecc.) che scotta; pericoloso; difficile
    13 ( di un luogo, un rifugio, ecc.) insicuro; pericoloso; che scotta
    14 (fam.) arrabbiatissimo; furente
    15 (elettr.) ( di un cavo) attivo; sotto tensione
    16 (fis. nucl.) caldo; altamente radioattivo
    17 ( slang) eccitato, arrapato
    18 ( slang USA) fortunato ( al gioco); in vena; vincente
    B n. pl.
    ( slang USA) the hots, grande voglia, forte desiderio (spec. sessuale); passione (per q. o qc.): to have the hots for sb., avere una passione per q.; sentirsi attratto da q.
    C avv.
    2 (fig.) focosamente; con violenza; con rabbia
    3 (fam.) vicino; dappresso
    to be hot, ( di cibo, ecc.) essere (troppo) caldo; ( del tempo) fare caldo; ( di una persona, ecc.) avere caldo □ (fig. fam.) hot air, aria fritta; parole vuote; chiacchiere □ hot-air balloon, mongolfiera □ hot air heating, termoventilazione □ (fam.) hot and bothered, agitatissimo; in fibrillazione (fig.) □ (fam. USA) hot-and-heavy, (a.) intenso; (avv.) intensamente □ (metall.) hot-blast stove, preriscaldatore d'aria □ hot-blooded, ( di un cavallo) purosangue; (fig.) dal sangue caldo; ardente, focoso □ (fig.) hot-bloodedness, focosità □ hot-brained = hot-headed ► sotto □ (fam. USA) hot bunk, cuccetta usata a turno da più marinai □ (spec. USA, giorn.) hot button, punto controverso; tasto delicato □ (spec. USA, giorn.) hot button issue, questione scottante □ (fam. USA) hot chair, sedia elettrica; (fig.) graticola, posizione scomoda □ hot cross bun, panino dolce con una croce sopra ( si mangia il Venerdì Santo) □ (org. az.) hot desking, hot desking; sistema di assegnazione temporanea o a rotazione delle postazioni di lavoro □ hot dog, panino con würstel; hot dog; ( sport, = hot-dogger) sciatore (o surfista, ecc.) acrobatico □ ( sport) hot favourite, concorrente favorito dai pronostici; concorrente dato per vincente □ hot fire, fuoco vivo ( con la fiamma) □ hot flush ( USA: hot flash), vampata di calore ( al viso); caldana □ (fam.) to be hot for sb., provare attrazione per q. □ (fam.) to be hot for st., desiderare ardentemente qc.; non vedere l'ora di avere qc. □ ( del pane) hot from the oven, appena sfornato; caldo caldo □ (fam.) hot gospel, evangelismo fervente; zelo missionario □ hot-headed, dalla testa calda; esaltato; collerico □ (mus.) hot jazz, jazz caldo □ hot keyhotkey □ hot line, (mil., polit.) linea calda, filo rosso; ( radio, TV) linea diretta; (telef.) linea calda □ hot meals, pasti caldi □ (fin.) hot money, capitali vaganti □ ( di un libro) hot off the press, fresco di stampa; appena uscito □ to be hot on st., essere bravo in qc.; essere ferrato in qc.; ( anche) non transigere su qc. to be hot on sb., provare attrazione per q. □ (fig.) hot on sb.'s [st.'s] heels, subito dopo q. [qc.]; a ruota di q. [qc.]; alle calcagna di q. [qc.] □ (fig.) hot on sb.'s [st.'s] tracks (o trail), sulle tracce di q. [qc.]; sul punto di scovare q. [qc.] □ (fam.) a hot one, una barzelletta assai divertente (o piccante); una bella (fam.) □ hot pants, ( moda) hot pants, pantaloncini cortissimi e aderenti ( da donna); (volg. USA) voglia, desiderio sessuale □ hot pepper, peperoncino (rosso) □ hot platehot-plate □ (fig. fam.) hot potato, patata bollente (fig.); problema scottante; brutta rogna □ (tecn.) hot pressing, stampaggio a caldo □ hot pursuit, inseguimento incalzante; ricerca pressante: to be in hot pursuit of, incalzare; essere alla ricerca pressante di □ ( slang) hot rod, vecchia auto con il motore truccato; macchina truccata □ (fig.) hot seat, poltrona che scotta; posto (o lavoro) scomodo; ( USA, anche) sedia elettrica □ (volg. USA) hot shit, bomba (fig.); ( di persona anche) fico, fica □ (metall.) hot shortness, fragilità a caldo □ hot shothotshot □ hot spot, (geol., fis.) punto caldo; ( per estens.) locale pubblico assai animato; ( nei boschi) zona soggetta a incendi; (comput., Internet) area sensibile; punto attivo ( di un documento multimediale); ( arti grafiche) macchia di luce; (fig.: mil. e polit.) punto caldo (o pericoloso) □ hot spring, sorgente termale □ (tecn.) hot stamping, stampa a caldo □ hot stone, ( cucina) piastra di pietra ollare; ( nelle medicine alternative) pietra calda ( da applicare sul corpo) □ (fam.) hot stuff, cosa sensazionale; spettacolo (o libro, ecc.) eccitante (o pornografico); persona affascinante (o eccezionale, eccitante, dotata di sex appeal); godimento sessuale; merce che scotta (o rubata, ecc.) □ hot-tempered, impulsivo; collerico; irascibile □ (fam.) hot ticket, persona o cosa che va per la maggiore: Exotic destinations are the hot ticket this year, quest'anno le mete esotiche vanno per la maggiore (o sono le più gettonate) □ ( slang) to be hot to trot, essere sessualmente eccitato; essere arrapato (fam.); ( anche) essere prontissimo, non vedere l'ora □ hot tub, vasca idromassaggio; ( anche) vasca riscaldata □ (fig. fam.) hot under the collar, arrabbiatissimo, furente; ( anche) a disagio, in imbarazzo □ hot war, guerra calda; conflitto armato □ hot water, acqua calda; (fig.) guai, pasticci, seccature: hot-water bottle ( USA anche bag), borsa dell'acqua calda; the hot-water tap ( USA: faucet), il rubinetto dell'acqua calda; (fig.) to get into (o in) hot water, cacciarsi nei guai □ (tecn., mecc.) hot well, pozzo caldo □ (metall.) hot working, lavorazione a caldo □ (fig.) to blow hot and cold, cambiar parere di continuo □ to drop sb. [st.] like a hot potato, disfarsi in quattro e quattr'otto di q. [qc.] □ to feel hot, ( di una persona) sentire (o avere) caldo; ( di un oggetto) essere caldo al tatto □ to get hot (o to grow hot), riscaldarsi; farsi caldo; cominciare ad avere caldo; (fig.) eccitarsi, infervorarsi, scaldarsi □ in hot haste, in fretta e furia □ in the hottest part of the battle, nel fervore della battaglia; nel mezzo della mischia □ (fig.) to make it hot for sb., rendere la vita difficile (o dare del filo da torcere) a q. You're getting hot, ci sei quasi; ci stai arrivando ( a indovinare, ecc.); ( nei giochi, cercando qc.) fuochino… fuoco… fuocone (o ti bruci)!
    (to) hot /hɒt/
    A v. t. ( di solito to hot up)
    1 riscaldare; scaldare
    2 (fig.) rinfocolare ( malcontento, tumulti, ecc.)
    B v. i.
    2 (fig.: di una crisi, ecc.) rinfocolarsi; aggravarsi; riscaldarsi, farsi caldo: The situation was hotting up, la situazione si faceva (sempre) più calda.

    English-Italian dictionary > ♦ hot

  • 24 registrare

    in un registro enter, record, register
    rilevare show, register
    canzone, messaggio record
    * * *
    registrare v.tr.
    1 ( annotare) to record; to enter; to book; to tally; ( scrivere in un pubblico registro) to register; ( protocollare) to file: registrare una domanda, una petizione, to file an application, a petition; registrare un fatto, una nascita, una morte, to register an event, a birth, a death; registrare un contratto, un atto, un testamento, to register a contract, an act, a will; registrare una società commerciale, to incorporate a company; registrare un veicolo, to register a vehicle; registrare una fattura, to enter an invoice; registrare un ordine, to book an order; registrare una somma nel libro contabile, to enter a sum in the account book; registrare una scrittura contabile, to record an entry; registrare l'avvenuto pagamento di un debito, to enter the satisfaction of a debt; registrare un credito di 30.000 euro, to tally a credit of 30,000 euros // far registrare, to register (o to check); far registrare il proprio bagaglio, to check in
    2 ( rilevare) to register, to record; to report (anche fig.): questo risultato deve essere registrato, this result needs to be recorded; il termometro registrava una temperatura assai bassa, the thermometer registered a very low temperature; il sismografo ha registrato alcune scosse sismiche, the seismograph recorded some earth tremors; questa parola non è registrata in nessun vocabolario, this word isn't given in any dictionary; negli ultimi anni si è registrato un calo demografico, recent years have seen a fall in the birth rate; un film che ha registrato un buon successo, a film that was a big success // (comm.) registrare una perdita, to report a loss (o to lose money) // (fin.): le quotazioni hanno fatto registrare un leggero rialzo, quotations have edged up; il prezzo dell'oro ha fatto registrare un notevole aumento, there has been a remarkable increase in the price of gold; il bilancio registra un passivo, the balance sheet shows a loss
    3 ( raccogliere suoni o immagini) to record: Toscanini registrò questo pezzo a New York, Toscanini recorded this piece in New York; mi registri la nona di Beethoven, per favore?, could you record Beethoven's Ninth for me, please?; ieri sera ho registrato il film alla TV, last night I recorded the film on TV; non far rumore, sto registrando, don't make any noise, I'm recording
    4 (mus.) to tune: registrare uno strumento musicale, to tune an instrument // registrare un organo, ( accordarne i registri) to tune an organ
    5 (inform.) to store, to read* in
    6 (mecc.) ( mettere a punto) to adjust: (aut.) registrare le punterie, to adjust the tappets // registrare un orologio, to set a watch
    7 (tip.) to register.
    * * *
    [redʒis'trare]
    verbo transitivo
    1) (scrivere in un registro) to register [nascita, veicolo, atto, contratto]; to file [ fattura]; to record [ ordinazione]

    registrare l'arrivo, la partenza dei clienti — to check in, out the guests

    2) (annotare, riportare) to record
    3) (rilevare) to record, to register [temperatura, velocità]
    4) (ottenere) to register [perdite, guadagni]; to set* [ record]
    5) rad. telev. to record [disco, cassetta]
    6) tecn. (mettere a punto) to adjust [ freni]; to set* [ orologio]
    * * *
    registrare
    /redʒis'trare/ [1]
     1 (scrivere in un registro) to register [nascita, veicolo, atto, contratto]; to file [ fattura]; to record [ ordinazione]; registrare una voce in contabilità to enter an item in the books; registrare l'arrivo, la partenza dei clienti to check in, out the guests
     2 (annotare, riportare) to record
     3 (rilevare) to record, to register [temperatura, velocità]; si è registrato un terremoto del sesto grado della scala Richter an earthquake registering six on the Richter scale was recorded
     4 (ottenere) to register [perdite, guadagni]; to set* [ record]
     5 rad. telev. to record [disco, cassetta]
     6 tecn. (mettere a punto) to adjust [ freni]; to set* [ orologio].

    Dizionario Italiano-Inglese > registrare

  • 25 ♦ run

    ♦ run (1) /rʌn/
    n.
    1 corsa: She had a shower after her run, ha fatto una doccia dopo la corsa; to go for a run, andare a correre; I try to go for a run three times a week, cerco di andare a correre tre volte la settimana; at a run, di corsa; to break into a run, mettersi a correre; The soldiers went past at a run, i soldati sono passati di corsa; to take the dog for a run, portare il cane a correre; far fare una corsa al cane
    2 ( sport: atletica) corsa; corsa a piedi: a five kilometre run, una corsa di cinque kilometri; a cross-country run, una corsa campestre; the mile run, la corsa del miglio
    3 ( di mezzo di trasporto) linea ( di servizio); viaggio; rotta: The ferry was on the Calais-Dover run, il traghetto faceva servizio tra Calais e Dover; There will be more planes on the Milan-London run, ci saranno più aerei sulla rotta Milano-Londra
    4 viaggio, giro (in macchina): Let's go for a run in the car, andiamo a fare un giro in macchina; Who's doing the school run tomorrow?, chi porta i bambini a scuola domani?
    5 periodo; serie; ( poesia) ritmo: a run of good luck, un periodo di fortuna; una serie fortunata; unbeaten run, serie utile ( senza avere subito sconfitte); Chelsea's successful run ended on Saturday with a defeat at home, la serie ininterrotta di vittorie del Chelsea si è conclusa sabato con una sconfitta in casa; the run of the metre, il ritmo del verso
    6 (teatr., cinem.) tenitura; periodo di programmazione; permanenza in cartellone: The play had a long run in the West End, la commedia è rimasta a lungo in cartellone nella West End (a Londra); The show's run has been extended by three months, la programmazione dello spettacolo è stata prolungata di tre mesi
    7 (ind.) produzione; quantità prodotta
    8 (polit., ecc.) corsa (fig.); tentativo di ottenere (qc.): to make a run for the Presidency, essere in corsa per la presidenza; Her withdrawal has given her opponent a clear run, il suo ritiro ha lasciato campo libero al suo avversario; to have a practice run, fare una serie di prove
    9 (fin.) corsa (fig.); assalto (fig.): a run on the dollar, una corsa all'acquisto di dollari; un assalto al dollaro; a run on the bank, una corsa agli sportelli; un assalto alla banca ( da parte dei clienti)
    10 ( sci) pista; ( anche) discesa, manche: first run, prima manche; DIALOGO → - Skiiing- The lower runs were a bit slushy, la neve sulle piste più basse era sciolta; ski run, pista di sci
    11 ( baseball) «run» (punto ottenuto raggiungendo la «casa base») ( cricket) «run» ( punto ottenuto correndo tra due basi): ( baseball) to make a home run, fare un fuoricampo ( punto ottenuto quando il battitore manda la palla fuori dalla recinzione); ( cricket) to score a «run», mettere a segno un «run»
    12 zona recintata; recinto: cattle run, zona recintata per il bestiame; chicken run, recinto per polli; sheep run, recinto per le pecore
    13 lunghezza; tratto: a five-hundred-foot run of pipe, un tratto di tubatura di cinquecento piedi ( circa 150 metri); cinquecento piedi di tubatura
    14 the run, la media: He is different from the ordinary run of mankind, è un uomo che si distingue dalla media della gente
    15 [u] libero accesso (o uso): The dogs have the run of the house, i cani hanno libero accesso alla casa; to give sb. the run of one's house, mettere la propria casa a disposizione di q.; The tenants have the run of the estate, gli inquilini hanno libero uso della proprietà
    17 ( di vernice) goccia (colata): Remove any runs before the paint dries, rimuovere le gocce (colate) prima che la vernice sia asciutta
    19 (comput.) elaborazione; esecuzione; ( anche) ciclo di operazioni
    20 (zool.) branco ( di pesci che risalgono un fiume); risalita ( dei pesci): a run of salmon, un branco di salmoni
    21 canaletto in cui scorre l'acqua; ruscelletto; abbeveratoio; vasca
    22 (mus.) volata
    23 (aeron.) corsa a terra; rullaggio
    24 (mecc.) corsa: (autom.) the run of a piston, la corsa di un pistone
    25 (aeron. mil.) missione; passaggio ( sull'obiettivo); ( anche) (= run-in, run-up) rotta d'approccio, volo d'avvicinamento al bersaglio ( di bombardiere)
    26 (costr. navali, naut.) stellato di poppa
    27 (geogr., USA) corso d'acqua; torrente
    28 ( editoria, = print run) tiratura: a print run of 10,000, una tiratura di 10.000 esemplari
    29 (edil.) pedata ( di un gradino)
    31 (autom., ciclismo, ecc.) andamento ( di una curva)
    32 ( bob) pista
    33 ( canottaggio) distanza coperta da una vogata; ( anche) manche
    34 (equit.) trotto veloce; galoppo
    36 ( vela) distanza percorsa in una bordata; tratto di rotta
    37 (pl.) (fam.) the runs, la diarrea; la sciolta (fam.)
    ● (fam.) run-around, atteggiamento dilatorio (o evasivo): to get the run-around, essere tenuto sulla corda, essere menato per il naso; to give sb. the run-around, menare q. per il naso; tenere sulla corda q. run-down run-down e rundown □ (comput.) run time, tempo di esecuzione ( di un programma): run time error, errore in fase di esecuzione □ ( sport) against the run of play, inaspettatamente; nonostante il predominio degli avversari: Arsenal scored against the run of play, l'Arsenal ha segnato nonostante la partita fosse in mano agli avversari □ (comput.) at run time, in fase di esecuzione; all'esecuzione □ (fam.) fun run, corsa podistica a scopo di beneficenza □ to go on the run, darsi alla fuga (o alla latitanza, alla macchia) □ (fig.) to have had a (good) run for one's money, avere avuto delle belle soddisfazioni: I've had a good run for my money, but now it's time for the younger generation to take over, ho avuto le mie belle soddisfazioni, ma è ora di lasciare il posto ai giovani □ in the long run, a lungo andare; (econ.) a lungo termine; nel lungo periodo □ in the short run, a breve scadenza; (econ.) a breve termine; nel breve periodo □ to make a run for it, tentare la fuga □ on the run, in fuga; in movimento; in corsa: The robbers are still on the run, i rapinatori sono ancora in fuga (o latitanti); They had the enemy on the run, hanno messo il nemico in fuga; I have been on the run all day, sono stato in movimento (o ho corso) tutto il giorno; He made the pass on the run, ha passato la palla in volata □ to take a run at st., fare una corsa verso qc.; She took a run at the fence and jumped straight over, è corsa verso la recinzione e l'ha superata con un salto.
    run (2) /rʌn/
    A p. p. di to run
    B a.
    (nelle seguenti loc.)
    run-of-the mill, comune; dozzinale □ ( di un inserto pubblicitario) run of paper, collocato sulla pagina ( di un giornale) a discrezione della direzione □ run on, (tipogr.) stampato di seguito; ( poesia: di un verso) la cui ultima parola si lega strettamente al verso successivo; che ha l'enjambement.
    ♦ (to) run /rʌn/
    (pass. ran, p. p. run)
    A v. i.
    1 correre; fare una corsa: Walk, don't run!, cammina, non correre!; A man came running along the street, un uomo è venuto di corsa per la strada; They ran across the road, hanno attraversato la strada di corsa; Let's run down to the beach, facciamo una corsa alla spiaggia!; It was starting to rain so we ran back inside, stava cominciando a piovere, quindi siamo rientrati di corsa; The boy ran into the house, il ragazzo è corso dentro casa; They ran to my aid, sono corsi in mio aiuto; We ran to see what was happening, siamo corsi a vedere cosa stava succedendo; Sarah ran into the room, Sarah è corsa nella stanza; She ran to meet him, gli è corsa incontro; The children are running about in the park, i bambini scorrazzano nel parco; The guard dog ran at me, il cane da guardia mi è corso contro; to run downstairs [upstairs], scendere [salire] le scale di corsa; to run counter to st., andare contro qc.; to run for the bus, correre per prendere l'autobus; to run for cover (o shelter) correre al riparo; (fam.) Run and get your bag, fila a prendere la borsa; (fam.) Run to the newsstand and get me a paper, will you?, per favore, fa' un salto all'edicola e prendimi un giornale; (fam.) to run all out (o flat out) correre a tutto spiano; to run at full speed, correre a tutta velocità (fam.: a tutta birra)
    2 ( sport) correre; partecipare a una corsa: I used to run when I was at school, da studente correvo nella squadra di atletica; He's running in the half marathon, corre nella mezza maratona; I run every day except Sunday, corro tutti i giorni tranne la domenica
    3 ( di strada, muro: di solito to run along, through, ecc.) correre; andare ( in un certo senso): The road runs along a ridge, la strada corre lungo un crinale; A path ran through the forest, un sentiero attraversava la foresta; A high wall runs along the edge of the estate, un alto muro costeggia i confini della proprietà
    4 ( di macchina, ecc.) funzionare, andare; ( di motore) essere in moto (o acceso): Does the heating run on oil or gas?, il riscaldamento va a gasolio o a gas?; Our new car runs on LPG, la nostra nuova macchina va a GPL; The engine isn't running properly, il motore non funziona bene; Don't leave the engine running, non lasciare il motore acceso; (comput.) The program will run on PC or Mac, il programma funziona sia su PC che su Mac
    5 ( di veicoli) (andare a) finire: I left the handbrake off and the car ran down the slope, non ho messo il freno a mano e l'auto è finita giù per la discesa; The truck ran onto the pavement, il camion è andato a finire sul marciapiedi
    6 ( di treni, di navi) viaggiare; andare: Trains to the airport run every hour, i treni per l'aeroporto partono (o passano) ogni ora; The ferry runs between the two ports, il traghetto fa la spola tra i due porti; The ship ran into port, la nave è entrata in porto; to run late [on time], viaggiare con un ritardo [in orario]; The train was running ten minutes late, il treno viaggiava con dieci minuti di ritardo; to run on rails, andare su rotaie
    7 scorrere: In northern Italy most streams run into the Po River, nell'Italia settentrionale la maggior parte dei corsi d'acqua defluisce nel Po; Tears were running down her cheeks, le scorrevano lacrime sul viso; Wait till the water runs hot, aspetta che scorra l'acqua calda; Don't leave the tap running!, non lasciare aperto il rubinetto!; ( dell'acqua corrente) to run cold, venire fredda ( a forza di scorrere); They were running with sweat, erano in un bagno di sudore
    8 (fig.) trascorrere; passare: Those summer days ran swiftly, quei giorni d'estate trascorrevano in fretta
    9 (lett.) spirare: A gentle breeze ran through the tall trees, una lieve brezza spirava fra gli alberi alti
    10 ( di pensiero, ecc.) ricorrere; ritornare: The tune was running in my head all day, quel motivo mi è frullato in testa tutto il giorno; The idea kept running through my mind, quell'idea mi ricorreva (o mi si presentava) sempre alla mente; Lara's theme had been running through my head all day long, era tutto il giorno che mi frullava nella testa il motivo di Lara
    11 ( di mormorio, diceria: di solito to run down, among, ecc.) diffondersi; circolare: A murmur ran among the crowd, un mormorio si è diffuso tra la folla; Rumours ran through the village, correvano (o circolavano) delle voci per il paese
    12 ( di sensazione: di solito to run down, through, ecc.) –: A thrill ran through her at the sound of his voice, un brivido di eccitazione l'ha percorsa quando ha sentito la sua voce; A shiver ran down his back, un brivido di freddo gli è corso lungo la schiena
    13 decorrere; essere pagabile da ( una certa data): ( banca, ecc.) Interest runs from January 1st, gli interessi decorrono dal 1В° di gennaio
    14 ( di prezzo, inflazione, ecc.) aver raggiunto; essere: Inflation is running at 4%, l'inflazione ha raggiunto il 4%; The price of oil is running between $80 and $90 a barrel, il prezzo del petrolio è attualmente compreso tra gli 80 e i 90 dollari al barile; The debt was running at an enormous figure, il debito ammontava a una cifra enorme
    15 durare; (leg.) essere valido (o in vigore): The lease had ten years to run, il contratto di affitto aveva una durata di dieci anni; It's a long film: it runs for three hours, è un film lungo: dura tre ore; DIALOGO → - Considering an evening course- The lessons run till Christmas, le lezioni si tengono fino a Natale; The contract runs until 2015, il contratto è valido fino al 2015
    16 (polit., ecc.) concorrere; candidarsi: He is going to run for Parliament, intende candidarsi per la Camera dei Comuni; Do you think she'll run?, pensi che si candiderà?; He ran against his old allies, si è candidato contro i suoi ex alleati
    17 ( sport) arrivare ( primo, secondo, ecc.): He ran second, è arrivato secondo ( nella corsa); My horse ran last, il mio cavallo è arrivato ultimo
    18 fondersi; sciogliersi: It was so hot that butter started to run, era così caldo che il burro cominciava a sciogliersi
    19 ( di colore, vernice) stingere; colare: The colours ran in the wash and everything came out pink, i colori hanno stinto nel lavaggio e tutto è diventato rosa; My mascara is running, il mio mascara sta colando; The ink ran all over the page, l'inchiostro si è sparso su tutta la pagina
    20 ( delle calze) sfilarsi; smagliarsi
    21 gocciolare; colare: The boy's nose was running, il bambino aveva il naso che colava
    22 (teatr., cinem.) essere in programmazione; tenere il cartellone: Agatha Christie's «Mousetrap» has been running for many years in London, la «Trappola per topi» di Agatha Christie tiene il cartellone da molti anni a Londra
    23 ( radio, TV) essere trasmesso; andare in onda: The series runs for six weeks from next Sunday, la serie va in onda per sei settimane a partire da domenica
    24 (fig.) andare; svolgersi: After a period of strikes, everything is running smoothly at the factory, dopo un periodo di scioperi, tutto sta andando bene in fabbrica
    25 ( di una malattia, di una caratteristica, ecc.) essere ereditaria ( in una famiglia, ecc.): Madness runs in his family, c'è un ramo di pazzia nella sua famiglia
    26 ( di scritta, testo) dire; fare: The song runs like this, la canzone fa così; The message ran: «meet me outside in half an hour», il messaggio diceva: «vediamoci fuori tra mezzora»
    B v. t.
    1 dirigere; gestire ( anche comm.): to run a business, dirigere un'azienda; to run the country, governare il paese; to run a shop, gestire un negozio; His mother-in-law runs the household, è sua suocera che dirige la casa; Who is running the contest?, chi organizza la gara?; to run a drugs racket, controllare un racket di droga
    2 ( sport) fare ( una corsa): to run the mile in five minutes, correre il miglio in cinque minuti; to run a race, fare una corsa ( a piedi)
    3 mettere in funzione ( una macchina, ecc.): Did you run the dishwasher?, hai messo in funzione (fam.: attaccato) la lavastoviglie?
    4 ( di solito to run through, along, down, ecc.) passare ( una mano, un dito, ecc.): She ran her fingers through her hair, si è passata le dita nei capelli; She ran a finger along the shelf, ha passato un dito sullo scaffale; to run one's fingers over the keyboard, far scorrere le dita sulla tastiera ( di un pianoforte); to run one's forefinger down a column of figures, controllare una colonna di cifre scorrendole con l'indice
    5 far scorrere: to run water into the bath tub, far scorrere l'acqua nella vasca da bagno; to run the water until it's hot, far scorrere l'acqua finché non viene calda; Run the tap for a few minutes, fai scorrere l'acqua dal rubinetto per qualche minuto; to run (sb. ) a bath, fare scorrere l'acqua per il bagno (a q.)
    6 (trasp.) fare andare, effettuare corse di ( autobus, treni, ecc.): to run a special train, mettere un treno straordinario; to run extra trains, far viaggiare treni straordinari; effettuare corse straordinarie ( di metropolitana)
    7 accompagnare in macchina; dare un passaggio a: to run sb. home [into town], accompagnare q. a casa [in centro] in macchina; I'll run you to the station, ti do un passaggio fino alla stazione
    8 pubblicare: to run a story [an advertisement], pubblicare una storia [un annuncio pubblicitario]; All the main newspapers ran the story, tutti i principali quotidiani hanno riportato la vicenda
    9 candidare; presentare come candidato: The party is running over 100 candidates at the next elections, il partito presenta più di 100 candidati alle prossime elezioni
    10 (comput.) eseguire; lanciare: to run a program, eseguire un programma
    11 ( di solito to run through, under, behind, ecc.) far passare; infilare: They ran the cables through the wall, hanno fatto passare i cavi attraverso il muro; to run a thorn into one's finger, conficcarsi una spina nel dito; to run one's sword into sb., trafiggere q. con la spada
    12 far correre; ( sport) iscrivere a una corsa: to run a horse, far correre un cavallo; to run a horse in the Derby, iscrivere un cavallo al Derby
    14 colare; versare: to run water into a glass, versare acqua in un bicchiere
    15 contrabbandare: to run arms [liquor], contrabbandare armi [liquori]
    ● (fig.) to come running, essere a disposizione; correre: She comes running every time he calls, corre ogni volta che la chiama □ (naut.) to run before the storm, fuggire la tempesta □ (naut.) to run before the wind, navigare col vento in poppa □ (mil.) to run a blockade, forzare un blocco □ to run a boat down to the water, calare in acqua una barca □ to run a car, mantenere un'automobile: I can't afford to run a car, non posso permettermi (di mantenere) una macchina □ to run cattle, mandare bestiame al pascolo □ to run sb. close, ( sport) incalzare q. alle spalle, tallonare q.; ( sport) piazzarsi alle spalle di q.; (fig.) non essere da meno di q. □ ( anche fig.) to run dry, esaurirsi; prosciugarsi □ to run errands (o messages), fare commissioni; fare ambasciate; fare il fattorino □ to run one's eyes over st., dare un'occhiata (o una scorsa) a qc. to run for it, scappare correndo a più non posso □ (fam.) to run it fine, farcela a stento; cavarsela per un pelo (o per un soffio) □ (naut.) to run foul (o afoul) ( with), entrare in collisione (con) □ to be running high –: Tensions were running high, c'era parecchia tensione □ to be running late [early, on time, behind], essere in ritardo [in anticipo, in orario, indietro]: I'm running late, so I'll see you at the restaurant, sono in ritardo, quindi ci vediamo al ristorante; The project was starting to run seriously behind, il progetto cominciava a prendere parecchio ritardo □ to run for one's life, correre per salvarsi la vita □ to run sb. 's life, dirigere la vita di q.: Don't try and run my life!, non cercare di dirigere la mia vita! □ (fin.: di un'azienda) to run at a loss, essere in passivo □ to be running low, diventare scarso: Our food supplies are running low, le nostre provviste di viveri sono diventate scarse □ to be running low on, rimanere con poco: My computer is running low on disk space, al mio computer rimane poco spazio sull'hard disk □ (fig.) to run a mile, scappare a gambe levate: She'd run a mile if he asked her to marry him, se le chiedesse di sposarla, scapperebbe a gambe levate □ ( sport: della palla, di un giocatore) to run out of bounds, uscire dal campo di gioco □ to run out of control, sfuggire di mano; ( di una persona, una situazione, ecc.) diventare ingovernabile □ ( sport: della palla) to run out of play, andare fuori campo □ to run sb. out of town, cacciare q. dalla città □ (fam.) to run sb. ragged, fare a pezzi q., stracciare q. (gli avversari, i nemici) □ to run the rapids, scendere le rapide ( in barca) □ (fam.) to run a red light, passare col rosso ( a un semaforo) □ to run rife, abbondare; ( di una malattia) essere diffusa; ( di una notizia) circolare; ( di una diceria) correre □ to run rings around sb., superare di gran lunga q. to run a risk, correre un rischio: He runs the risk of losing his home, corre il rischio di perdere la casa □ to run riot = to run wild ► sotto □ (naut.: del capitano) to run a ship to Boston, portare una nave a Boston □ to run short, finire, venire a mancare: Petrol is running short, sta finendo la benzina □ to run short of, rimanere a corto di: I ran short of money, sono rimasto a corto di soldi □ (fam.) to run the show, comandare; tenere le fila; ( sport) arbitrare in modo plateale □ ( sci) to run slalom gates, fare (o superare) le porte dello slalom □ to run a tab at the bar, pagare tutte le consumazioni alla fine □ (fam.) to run a temperature, avere la febbre □ to run tests [a check], fare degli esami [un controllo]: The doctors are running some tests on him, i medici gli stanno facendo degli esami □ to be up and running, funzionare bene: The new computer system is up and running, il nuovo sistema informatico funziona bene □ to run wild, ( di piante) inselvatichire, inselvatichirsi; (fig.: di persone, dell'immaginazione) scatenarsi □ ( sport) to run with the ball, ( baseball, rugby, ecc.) correre con la palla in mano; ( calcio) correre con la palla al piede □ to try to run before one can walk, mettere il carro davanti ai buoi □ His blood ran cold, gli si è gelato il sangue nelle vene □ This story will run and run, questa storia andrà avanti all'infinito □ Things must run their course, le cose devono seguire il loro corso □ (antiq.) His life has only a few hours to run, gli restano poche ore di vita.

    English-Italian dictionary > ♦ run

  • 26 ♦ way

    ♦ way (1) /weɪ/
    n.
    1 via; strada; sentiero; passaggio; varco; pista; percorso; cammino; viaggio: the Appian way, la via Appia; a way through the forest, un sentiero attraverso la foresta; a covered way, un passaggio coperto; a cycle way, una pista ciclabile; He lives across the way, abita dall'altra parte della strada; Which is the shortest way to the station?, qual è la via più breve per andare alla stazione?; DIALOGO → - On the Tube- What's the best way to get there from here?, qual è la strada migliore per andarci da qua?; to find one's way, trovare la strada; to lose one's way, smarrirsi; smarrire la strada; to block sb. 's way, sbarrare la strada a q.; to ask the way (o one's way) chiedere la via; farsi indicare la strada; We were on the way to town, eravamo in cammino verso la città; The explorers cut their way through the jungle, gli esploratori si sono aperti un varco nella giungla; to elbow one's way through st., farsi largo a gomitate tra qc.; to grope one's way, cercare la strada a tastoni; to nudge one's way, farsi strada; to snake (o to weave) one's way, ( di veicolo) procedere a zigzag; ( di persona) insinuarsi (tra la folla, ecc.); They are on the ( o their) way, (essi) sono in viaggio (o per strada) NOTA D'USO: - street, road o way?-
    2 via (fig.); via d'accesso; modo; mezzo; maniera: This is the best way of doing it, questa è la maniera migliore di farlo; There's no way out of this awful mess, non c'è via d'uscita da questo maledetto pasticcio; I don't like the way he laughs, non mi piace il suo modo di ridere; the American way of life, il modo di vivere degli americani
    3 in the way, in sb. 's way, di mezzo, tra i piedi: to get in the way, cacciarsi fra i piedi; intralciare; intromettersi; to get in each other's way, intralciarsi a vicenda; to get st. out of the way, togliere qc. di mezzo; riporre, sistemare qc.; to be in sb. 's way, essere d'impaccio (o d'ostacolo, d'intralcio) a q.; essere tra i piedi di q.; to stand in the way, stare tra i piedi
    4 (solo al sing.) distanza: The town is a long way from here [a long way off], la città è a una grande distanza [è molto distante] da qui
    5 (fam., solo al sing.) dintorni; paraggi; parti: He lives somewhere London way, abita in qualche posto nei dintorni di Londra
    6 direzione; parte: They went that way, sono andati in quella direzione (o da quella parte); Which way are you looking?, da che parte stai guardando?
    7 abitudine; costume; pratica; usanza; modo di fare: the good old ways, le belle usanze antiche; It's not his way to be rude, non è sua abitudine essere sgarbato
    8 aspetto; punto di vista; riguardo: In a way [in some ways] he's right, sotto un certo aspetto [per certi aspetti] ha ragione lui; It's an interesting film in many ways, per molti riguardi è un film interessante
    9 (fam.) condizione; piega; stato: Business is in a bad way, gli affari hanno preso una brutta piega; The patient was in a terrible way, il malato era in condizioni disperate
    10 (naut.) abbrivo; andatura; cammino; ( anche) rotta
    12 (pl.) (mecc.) guide ( di scorrimento)
    13 (pl.) (costr. navali) vasi, invasatura ( per il varo); scalo di costruzione
    14 [u] (autom.) precedenza: «Give way» ( cartello), «dare la precedenza»
    16 (tecn.) via (spec. nei composti): a two-way switch, un interruttore a due vie
    ways and means, modi e mezzi; metodi (spec. di reperire fondi) □ (fin., in GB) Ways and Means Advances, anticipazioni di Tesoreria ( della Banca d'Inghilterra al governo) □ (naut.) ways-end, avanscalo; antiscalo □ (ferr., USA) way freight, treno merci locale □ ( nelle stazioni, ecc.) way in, entrata □ (leg.) way leavewayleave □ (relig.) the Way of the Cross, la Via Crucis □ ( nelle stazioni, ecc.) way out, uscita; sbocco ( anche fig.) □ (fam. USA) way-out, bizzarro; stravagante, strambo, eccentrico; modernissimo □ way point, (naut.) punto fisso ( sulla linea di rotta); (aeron.) punto di riporto □ (fig.) a way round, il modo di aggirare: Criminals always find a way round new methods of crime prevention, i criminali trovano sempre il modo di aggirare nuovi metodi di prevenzione del crimine □ (ferr., USA) way station, stazione secondaria □ (ferr., USA) way train, treno locale □ (arc. o lett.) way-worn, esausto per il lungo cammino □ all the way, per tutto il tragitto (o il viaggio, ecc.): DIALOGO → - Asking about a journey- The roads were very clear all the way up, la strada è stata libera per tutto il tragitto; dal principio alla fine; sino in fondo ( anche fig.); sempre; completamente; interamente; (market.) tutto compreso, l'intera gamma: I'm with you all the way, sono completamente d'accordo con te; ti appoggio fino in fondo; We keep these articles all the way, abbiamo l'intera gamma di questi articoli □ by the way, per strada, lungo il cammino, durante il viaggio; (fig.) incidentalmente, a proposito: By the way, have you seen him?, a proposito, l'hai visto? □ by way of, (autom., ecc.) via, attraverso, passando per; (fig.) in via di, a mo' di: We went to Rome by way of Florence, andammo a Roma passando per Firenze; by way of an example, in via d'esempio; by way of exception, in via del tutto eccezionale; by way of recommendation, a mo' di raccomandazione □ (comm.) by way of trial, a titolo di prova; in saggio □ to clear the way, sgombrare la strada; far largo; (fig.) sgombrare il campo ( dalle difficoltà, ecc.) □ to come sb. 's way, offrirsi (o presentarsi) agli occhi di q.; capitare a tiro a q. to do st. one's way, fare qc. a modo proprio (o di testa propria): Whatever I did, I did it my way, qualunque cosa abbia fatto, l'ho fatta a modo mio □ to do st. in the way of business, fare qc. in via d'ordinaria amministrazione □ to gather [to lose] way, acquistare [perdere] velocità; guadagnare [perdere] terreno □ to get under way, mettersi in cammino; ( di nave) far rotta, navigare □ to give way, cedere, ritirarsi, arrendersi; (autom.) dare la precedenza; ( di rematori) remare con foga □ to go one's way, mettersi in via, incamminarsi, partire; andarsene per i fatti propri □ to go the way of all flesh (o of all the earth), andare al Creatore; morire □ to go a long way, andare lontano; (di qc.) durare a lungo; (fig.) avere successo □ to go one's own way, andare per la propria strada; fare a modo proprio □ to go out of one's way, cambiare direzione; fare una deviazione □ (fig.) to go out of the way (o out of one's way) to do st., farsi in quattro per fare qc. ( un favore, ecc.) □ the hard way, il (o nel) modo più difficile; a proprie spese: to learn st. the hard way, imparare qc. a proprie spese □ to have a way with sb., saper trattare q. to have (o to get) one's own way, fare a modo proprio; ottenere quel che si vuole; averla vinta: if I could have my way…, se potessi fare a modo mio… □ in the way, (avv.) in mezzo, fra i piedi; (agg.) ingombrante; fra i piedi; fastidioso □ ( di una persona) to be in a bad way, essere ridotto male □ in a big way, dispendiosamente; in grande, su grande scala □ (fam. antiq.: di donna) to be in the family way, essere incinta □ (fam.) to be in a great way, essere agitato (o inquieto) □ (arc.) to be in the grocery way, fare il droghiere □ in a small way, modestamente, senza pretese; in piccolo, su piccola scala: to live in a small way, condurre una vita senza pretese; to be a publisher in a small way, fare l'editore in piccolo □ to lead the way, aprire la marcia; fare strada; precedere □ to lose one's way (o the way), smarrire la strada; smarrirsi □ to make way, dare la strada, fare largo; fare strada, avanzare; far progressi □ to make the best of one's way, procedere nel modo più spedito possibile □ to make one's way forward [back], avanzare [indietreggiare] □ to make one's way in life (o a way for oneself), farsi strada nella vita; fare carriera □ ( slang) No way!, no!; neanche per sogno! □ on my way home, andando a casa: I'll post the letters on my way home, imposterò le lettere andando a casa □ (fig.) to be on the way out, essere in declino; essere superato (o fuori moda) □ (autom.) «One way» ( cartello), «senso unico» □ (autom.) one-way street, strada a senso unico □ ( di persona) to be out of the way, essere lontano; non esserci □ out-of-the-way, (agg.) lontano; remoto: in an out-of-the-way corner, in un angolo remoto □ out of the way, (avv.) lontano; (agg.) insolito; eccezionale; straordinario: He hasn't said anything out of the way yet, per ora, non ha detto niente di straordinario □ (fam.) out our way, dalle nostre parti □ (fig.) to pave the way for, preparare la strada (o il terreno) per ( mutamenti, riforme, ecc.); preparare l'avvento di (q. o qc.) □ to put sb. in the way of doing st. [of a good bargain], dare a q. l'occasione di fare qc. [di concludere un buon affare] □ (fig.) to put oneself out of the way, darsi pena, disturbarsi, farsi in quattro (per q.) □ to put sb. out of the way, togliere di mezzo q.; sbarazzarsi di q.; fare fuori q. ( imprigionandolo o uccidendolo) □ to put st. out of harm's way, mettere qc. al sicuro, al riparo □ to be set in one's ways, avere delle abitudini precise; essere abitudinario □ (ferr.) the six-foot way, la distanza regolamentare fra due binari (m 1,80 circa) □ (fam.) through sb. 's way, dalle parti di q.: I don't know when I'll be coming through your way, non so quando mi troverò a passare dalle tue parti □ to my way of thinking, a mio modo di vedere; secondo me □ to be under way, essere in cammino, essere per strada; ( di nave) far rotta, navigare; (fig.) essere ben avviato □ ( sport) to get the game under way, dare inizio alla partita; dare il via al gioco □ to want to have it both ways, volerla prima cotta e poi cruda; voler fare i propri comodi □ ( USA) the whole way = all the way ► sopra □ Get out of my way!, togliti di mezzo!; levati dai piedi! □ (polit., in GB) «Give me way!», «chiedo la parola!» □ There are no two ways about it, c'è poco da discutere (o da scegliere, ecc.) □ This is the way to do it, così si fa! □ DIALOGO → - Asking about the family- That's the way it goes sometimes, così è la vita a volte; così va il mondo □ (prov.) Where there's a will there's a way, volere è potere.
    way (2) /weɪ/
    avv.
    1 (fam. per away; idiom., per es.:) way down, giù; laggiù; way up, su; lassù; friends from way back, amici d'antica data; It was way back in 1848, accadde nel lontano 1848
    2 (fam.) assai; molto; -issimo: way cool, fichissimo
    way ahead of the times, (avv.) (del tutto) d'avanguardia; (agg.) assai avanzato (o progredito), d'avanguardia.

    English-Italian dictionary > ♦ way

  • 27 win

    I [wɪn]
    1) (victory) vittoria f.

    to have a win over sb. in sth. — riportare una vittoria su qcn. in qcs

    2) (successful bet) vincita f.
    II 1. [wɪn]
    verbo transitivo ( forma in -ing - nn-; pass., p.pass. won)
    1) vincere [battle, match, bet, money, election]; riportare [ victory]; pol. conquistare [votes, seat]
    2) (acquire) ottenere [ reprieve] ( from da); conquistare [heart, friendship, admiration] ( from di); attirare [ sympathy]; procurarsi [ support] (of di)

    to win sb.'s respect — ottenere il rispetto di qcn

    2.
    verbo intransitivo (forma in -ing ecc. - nn-; pass., p.pass. won) vincere

    you win! (in argument) mi hai convinto!

    win or lose, the discussions have been valuable — comunque vada a finire, le discussioni sono state proficue

    ••

    win some, lose some — a volte si vince, a volte si perde

    * * *
    [win] 1. present participle - winning; verb
    1) (to obtain (a victory) in a contest; to succeed in coming first in (a contest), usually by one's own efforts: He won a fine victory in the election; Who won the war/match?; He won the bet; He won (the race) in a fast time / by a clear five metres.) vincere
    2) (to obtain (a prize) in a competition etc, usually by luck: to win first prize; I won $5 in the crossword competition.) vincere
    3) (to obtain by one's own efforts: He won her respect over a number of years.) ottenere
    2. noun
    (a victory or success: She's had two wins in four races.) vittoria
    - winning
    - winning-post
    - win over
    - win the day
    - win through
    * * *
    win /wɪn/
    n. (fam.)
    1 vittoria; successo; trionfo: a home win, una vittoria in casa; una vittoria interna
    2 (pl.) (fam.) vincita; somma vinta
    ● ( boxe, ecc.) win by default, vittoria per abbandono (o per rinuncia, o per forfait) □ ( lotta) win by fall, vittoria per schienata □ ( boxe) win on points, vittoria ai punti □ (fam.) win-win, favorevole a tutti: win-win situation, situazione in cui tutti ricavano un qualche vantaggio
    winless
    a.
    (spec. sport) senza vittorie: a winless season, una stagione senza vittorie.
    ♦ (to) win /wɪn/
    (pass. e p. p. won), v. t. e i.
    1 vincere; essere vittorioso; conquistare: to win a bet [a battle], vincere una scommessa [una battaglia]; (leg.) to win a case, vincere una causa; to win at cards, vincere alle carte; to win fame [a fortress], conquistare la fama [una fortezza]; to win narrowly, vincere di stretta misura; I won twenty pounds from him at poker, gli ho vinto venti sterline a poker
    2 guadagnare; ottenere; procurarsi; raggiungere (con sforzo): (polit.) a bid to win votes, un tentativo di guadagnare voti; to win one's bread, guadagnarsi il pane; (lett.) to win a lady's hand, ottenere la mano di una donna; to win a prize [an award], ottenere un premio [una ricompensa]; to win the summit [the shore], guadagnare (o raggiungere) la cima [la riva]
    3 convincere; persuadere; ottenere il favore di; accattivarsi: (form.) to win all hearts, ottenere il favore di tutti; accattivarsi la simpatia di tutti
    4 (ind. min.) estrarre ( minerali)
    5 ( sport: calcio, ecc.) vincere; ottenere ( una vittoria); fare, realizzare ( punti); guadagnare ( una rimessa laterale, ecc.); subire ( un fallo): to win a race [a match, a competition], vincere una corsa [una partita, una gara]; ( rugby) to win a scrum, vincere una mischia
    ● ( sport) to win the ball, conquistare la palla □ to win a contract, vincere una gara d'appalto; ottenere un appalto (o un contratto) □ ( sport) to win a foul, guadagnare un fallo □ to win free, averla vinta; spuntarla □ to win a friend [an ally, a supporter], farsi un amico [un alleato, un sostenitore] □ (fam.) to win hands down, vincere senza fatica □ to win on one's own merit, vincere per merito proprio □ to win a point, segnare un punto a proprio vantaggio □ (polit.) to win power, andare al potere; conquistare la maggioranza □ to win one's spurs, (stor.) guadagnarsi gli speroni, esser fatto cavaliere; (fig.) ottenere il riconoscimento dei propri meriti □ to win the toss, ( sport) vincere il sorteggio; (fig.) avere la prima mossa □ to let sb. win, lasciar vincere q. □ (prov.) Let those laugh who win, ride bene chi ride ultimo.
    * * *
    I [wɪn]
    1) (victory) vittoria f.

    to have a win over sb. in sth. — riportare una vittoria su qcn. in qcs

    2) (successful bet) vincita f.
    II 1. [wɪn]
    verbo transitivo ( forma in -ing - nn-; pass., p.pass. won)
    1) vincere [battle, match, bet, money, election]; riportare [ victory]; pol. conquistare [votes, seat]
    2) (acquire) ottenere [ reprieve] ( from da); conquistare [heart, friendship, admiration] ( from di); attirare [ sympathy]; procurarsi [ support] (of di)

    to win sb.'s respect — ottenere il rispetto di qcn

    2.
    verbo intransitivo (forma in -ing ecc. - nn-; pass., p.pass. won) vincere

    you win! (in argument) mi hai convinto!

    win or lose, the discussions have been valuable — comunque vada a finire, le discussioni sono state proficue

    ••

    win some, lose some — a volte si vince, a volte si perde

    English-Italian dictionary > win

  • 28 carraca

    Carraca, esta palabra significa comida, condimentos, conquivus, (cacharros, etc.). Cuando íbamos a llindiar el ganáu disdi ‘l albiar el díe fasta que tapecíe, (cuidar el ganado desde el amanecer hasta el oscurecer) llevábamos la carraca nun cabaxín, zurronacu ou cestacu cualquier, (cabás, zurrón o cualquier otro cesto). Les muyeres baxaben al merquéu ya traíen la carraca pa toa la xemana. (Las mujeres bajaban al mercado y compraban si tenían dinero lo que se necesitase en la casa para toda la semana). Carraca tamén lu ye lu que lus vaqueirus chebaban disdi la teixá pal sou cabanu ou corte de la braña, dunde a lu mexor taben un fatáu de díes xin baxar a l'aldina, per ístu llebaben un carracáu de couxes que ñecexitaben. (Carraca también es lo que los vaqueros llevaban desde casa para sus cabañas del puerto, las morteras o los prados, donde a lo mejor estaban unos días sin bajar a la aldea, por esto subían muchas cosas que necesitaban y no todas eran para comer sino que algunas eran simples cacharros, o humildes mantas. Y carraca hermanos míos, era la que hacía mi madre y todas las vindas de los rojos, cuando todas las semanas iban a visitar a sus maridos a la Cárcel Modelo de Oviedo, como por las demás no puedo hablar, porque yo no sé cómo se arreglaban las pobrecitas, aunque me supongo que muchas hasta pidiendo limosna, sí que lo puedo hacer de mi madre, que todos los martes era el día que tenía de comunicación, y ella nunca sabía si le iba encontrar vivo, porque por aquellos tiempos fechus de llágrimes ya xufriencies, tous lus díes na carxel d'Uviéu achuquinaben cambrionáus enteirus de xóvenes astures y'anxina d’ista maneira tan achuquina, encalducá per prexones xin concencia, nin dinidá nin «Xusticia Humana», fexérun bon amagüestu de toes les xuventúes roxes d'Asturies, ya les pouques que nun achuquinarun llantárunlas nus batallones de trabayadores, dunde munchus morrierun achindi fartus de fames, de llatigazus ya vexaciones, ya lus oitres que xuerti tubieren de golguer pa la sou teixá, fexérunlu mamplenáus d'amollexíes que per mor d'echus tamén fatáus morrieron. Falaba you que carraca yera lu que miou má le chevaba ‘l miou pá tous lus martes a la carxel, que you nun séi lu que yera, perque na nuexa teixá nun había esconxolancia de nagua, peru lu que fora écha llantábalu tou nuna fardelaca, ya colaba na xuntura d'oitres muyeres de l'allina camín d'Uviéu tres ou catru gores endenantes qu’almaneciera, pos teníen qu'espatuxar alrreór de cuarenta quilómetrus andandu ya oitres tantus pa la regolguía, pos entoncenes nun valía faer el auto-stop que güéi se fae, perque tous lus cambriones ya coches cuaxi yeren millitares, y'angunus oitres yeren de lus drechistes, ya lus roxus nun teníamus namái que goxetáus mexeries, ya manegáus de miéu ‘l nuexu hermenu ‘l venceor, perque lus nuexus homes morrieran lluchandu nel frinti, ya lus oitres taben arretrigáus per les cárxeles dunde poucu a poucu lus achuquinaben ou lus esclavizaben nus batallones de trabayaóres, anxina yera que tou Asturies taba xemada de viudes, de vieyus ya de guaxiquinus güerfaninus, que tous nuexóitres, viétchus, muyeres ya nenus de lus roxus, díbamus ser esclavizáus inhumanamente baxu 'n enfernal xugu que nun nus dexaba más llibertá que la que nel xuenu cheldábamus. —Ya n'agora vou xebrame del trabayu d'enfilerar pallabres p'encalducalus cuamigu dientru d’ista hestoria dou tán lus raigones ya l'escola de nuexes costumes ya llingua. TRADUCCIÓN.—Por aquellos tiempos hechos de lágrimas y de grandes sufrimientos, todos los días que el Hacedor alumbraba, en la cárcel de Oviedo asesinaban camiones enteros de jóvenes astures, y así de esta manera tan despiadada y asesina, llevada a cabo por personas sin conciencia, ni dignidad ni ninguna clase de «Justicia Humana», llevaron a término casi el total exterminio de las juventudes rojas de Asturias, y las pocas que no asesinaron, las esclavizaron en los famosos batallones de trabajadores, donde muchos allí murieron hartos de hambre, de vejaciones y latigazos, y los pocos que tuvieron la suerte de volver a sus hogares, lo hicieron llenos de enfermedades que por mor de ellas también murieron bastantes. —Decía yo que carraca también era lo que mi madre le llevaba todos los martes a mi padre a la cárcel, que yo no sé lo que pudiera ser, porque en nuestra casa no había ninguna cosa de nada, pero lo que fuese ella lo metía dentro de una saca y marchaba en unión de otras mujeres de la aldea camino de Oviedo tres o cuatro horas antes que amaneciese, pues tenían que caminar alrededor de cuarenta quilómetros y otros tantos de retorno y todos los hacían andando, pues no servía hacer el auto-stop que hoy se hace, porque todos los camiones y coches casi eran militares, y algunos otros que había eran de los derechistas, pues los izquierdistas no teníamos nada más que grandes cantidades de miseria, así como de miedo a nuestro hermano el vencedor que jamás se portó nada bien con nosotros, porque nuestros hombres habían muerto en el frente, y los otros estaban presos en las cárceles, donde poco a poco les iban asesinando, o los esclavizaban en los campos de concentración o batallones de trabajadores, así era que toda Asturias estaba sembrada de viudas, de viejos y de niños huérfanos, que todos nosotros, viejos, mujeres y niños de las izquierdas, íbamos a ser esclavizados inhumanamente bajo el infernal yugo que no nos dejaba más libertad que la que en el sueño hacíamos. Y ahora me voy alejar del trabajo de poner en orden las palabras en este diccionario, para llevarles conmigo a los lugares donde yo he aprendido la dulce lengua de Asturias, que no es otro lugar que la escuela donde vivían las raíces y costumbres de Nuestro Pueblo, pues no se pueden buscar nuestras falancias en ningún otro lugar ni parte. Por esto les digo ahora, que si yo no hubiese vivido tan simple, sencilla, pobre, miserable, esclavizadora y dentro de la más natural de la «RAIZ ANCESTRAL DE ASTURIAS», ni yo ni nadie podría legarle a mi «AMADA ASTURIAS» ni a sus «HIDALGAS GENTES», la documentación pura, natural y sencilla que pueda tener este diccionario, porque desde estas mis simples líneas y mirándome muy mucho de lo que digo, les afirmo que hay muy poco fiable por no decir nada, escrito de nuestras costumbres y lengua. «DIES D’ENFERNU» (DÍAS DE INFIERNO) —Yera you 'n zaragoletu, 'n guaxiquín, un nenacu, 'n rapacín (un niño de unos ocho años), cundu la ñecexidá más prieta me fexera depriender lu que yera ‘l dollor, la xufriencia, l’inxusticia, lu pior qu'el Home pudiés encaldar d'enría lus sous xemexantes, you yera ún de lus miles d'anxelinus de miou Tierra que diba faer arroxaúra nel vivir d’ enfernu que m’aguardaba. Xin, fatáus de güérfanus lu mesmu que you, que güéi nel díe xuntu con nuexes familias, ente fius, ñetus, ya tou ‘l andecháu de parantela xomus más de la metá de les xentes d'Asturias, peru naquechus tempus d'achuquinus ya inxusticies nun yéramus namái qu'unus guaxiquinus dexamparáus de la man del Faidor ya del Home, ya tous noxóitres tubiemus que catanus el xustentu de fatáus de maneires diferientes, la miou per exemplu fó'ísta. COLOCOUME MIOU Má de cabrieru na teixá d'un amu baldrayu y atuñáu, llabascu y'achuquín tan solu per que me diera de comer ya me vistiera dalgu, peru ‘l condenáu matábame de fame, ya la vestimenta que punxu d'enría ‘l miou llombu conxistía nun calzáu que la metá ‘l tempu espatuxaba con las patas arregañás, apaxiétchau con unus fatucus tous esgacicáus que per tous lus lláus diben les mious carnis al entestate, acaniláes per el callor ya ‘l fríu en tou ‘l tempu. —Tenía yo aproximadamente ocho años de edad cuando me asesinaron a mi padre, y me recuerdo con toda exactitud cómo la ley de aquel tiempo llevó a cabo tan imperdonable, deshumanizante y vandálica felonía. —Nuna nuétche (una noche) llegaron a la casa de unos tíos míos que en mi aldea vivían y donde mis padres y yo nos refugiamos al término de la guerra en Asturias cuatro desalmados, cuatro bandoleros, cuatro inmundicias humanas, que escudados tras de sus armas empuñadas, representaban l'enñordiada Lley (LA SUCIA LEY) que en aquellos tiempos a la Justicia traicionaba, cuento yo, que aquellos cuatro merucus (gusanos), atemorizando e insultando a toda mi familia, detuvieron a mi padre, le amarraron como a la bestia que se lleva al matadero y se lo intentaron llevar de la casa, sin que mis tíos, (y la cosa no era para menos), intentasen pronunciar asustados como se encontraban ni la más mínima palabra de súplica o protesta. Pero mi madre no les secundó, sino que bravamente intentó defender al sou home (a su marido) no sólo con la palabra, que mi madre la tenía d'aguxa lu mesmu qu’un bon obreiru (de afilada lo mismo que un buen aguijón), sino que temerariamente se abalanzó sobre ellos y fuele preciso a uno de aquellos cobardes y desalmados representantes de la deshumanizada ley que corría en aquellos tiempos, de propinarle varios golpes con la pistola, dejándola mal herida y ensangrentada, tirada en el suelo con el conocimiento perdido. Mientras que aquellos bandidos, se llevaban a mi padre sin permitirle que de mi se despidiera, y tan solamente le he podido ver por última vez, tres les rexes de la cárxel d'Uvieu 'n die 'ndenantes que l'achuquinaren. (Detrás de las rejas de la cárcel de Oviedo, un día antes de que le asesinasen). Pronto mi madre y yo, llenos de la más desolante de las tristezas, y vestidos con el traje de las más indigentes miserias y pobrezas, nos marchamos de la casa de mis tíos y nos asentamos en la abandonada, vieja y destartalada casa de mi abuela. Y sin muebles, ni nada, los dos juntos, como grandes e indomables luchadores que hemos sido siempre, dimos comienzo sin desfallecer ni un momento, a la dura lucha por la vida, sin que nadie jamás nos ayudara. Empecé a ganarme la vida como pastor, a la corta edad de que cualquier niño sólo pensaría en jugar, comer cuando tuviese hambre y recibir de continuo montones de caricias y de amor, yo sin embargo, a pesar de no poseer nada de todas estas maravillosas cosas, era en extremo a mi manera feliz. Marchaba todas las mañanas con mi ganado al monte, donde permanecía todo el día, tan sólo con la compañía que me brindaba mi fiel y siempre por mí con cariño recordado Pelayu, que era un perro, de una inteligencia y sentimientos, que más bien que un chuchu (perro), parecía aquel singular animal un ser humano. Luego por las tardes, cuando el sol se escondía por detrás de las altas cumbres, retornaba feliz a la aldea, siempre lleno de contentura, cantando las más de las veces, amenizado por el potente tañir del zumbiétchu (cencerro) que llevaba colgado al cuello el semental del rebaño. Una mañana como tantas otras me encaminé con mi rebaño al monte y seria como a la media tarde cuando a la entrada de una cueva que se asentaba en un lugar casi inaccesible me encontré medio enterrado con las piedras y la escasa tierra que hacían la reducida plataforma de la portada de la caverna, un pequeño aro de oro, yo he tenido por así decirlo desde mi infancia la inmensa suerte de poseer una imaginación tan inmensamente dislocada, que por tal solían decirme mis vecinos, que era yo el rey de las mentiras, así como el más hábil inventor de endemoniados cuentos. El caso era, que aquel misterioso anillo abandonado a tan larga distancia de mi aldea y en lugar tan argutosu (estrecho, alto, inaccesible), hiciéronme presto pensar, que aquella joya no había llegado a tal escondrijo por sí sola, sino que desde luego alguien la había traído. En el momento mi imaginación desbordante de una alegría que no encontraba un fin para frenarla, comenzó a fomentar sin el menor titubeo la fantástica idea de que en el interior de aquella caverna debía de encontrarse un tesoro de preciosas joyas y valorativas monedas, y quién le había ocultado sabe Dios cuando, seguramente habría perdido aquel anillo que por casualidad yo encontrara. Así pues, ya firmemente convencido, adentreme temerariamente sin el menor temor por la angosta cueva con las miras de apoderarme de aquella inmensa riqueza que según mi soñativa imaginación me había hecho comprender que en su interior me estaba aguardando. Pero aquel día no conseguí mi feliz propósito, porque era la caverna más larga de lo que había pensado y la oscuridad que en ella reinaba me hacía ciego de toda luz. Senteme en su entrada muy desilusionado al no poder lograr lo que había soñado, pero pronto mi mente empezó a dibujarme mil dispares tesoros, pues por el rastro que descubriera seguramente que dentro de la gruta se hallaría escondida alguna chalga (tesoro) guardado con toda seguridad por una Xana, Xumiciu, Trasgu o Culiebru (dioses de la Mitología asturiana), pues al decir de el abuelo Nicomedes cuando en las largas veladas de los inviernos y sin jamás interrumpirle con grande contentura le escuchábamos las leyendas, cuentos e historias que él lúcida y socarronamente nos contaba, afirmándonos siempre que eran tan ciertos sus relatos, como que todos habíamos nacido para morir. Y cuando hablaba de las chalgas aseguraba que tal o cual vecino, morador de esta o aquella aldea, se había hecho de la noche a la mañana rico al haber encontrado una chalga. También afirmaba poniéndose muy serio alegando unos razonamientos que convencían, que las montañas que rodeaban nuestra aldea había muchas chalgas escondidas, que fueron sepultadas hacía muchos siglos por los invasores moros, que al ser vencidos por los astures y al no poder huir con tan pesados tesoros, los ocultaban en las montañas con las miras de poder regresar algún día a desenterrarlos. Como cuento, yo en aquellos momentos vivía alborozado, sumergido en una disloca alegría al saberme ya dueño de aquella incontable riqueza, haciendo que mis inocentes ojos sonriesen felices inmersos en la imaginativa dicha de poder muy pronto liberar a mi madre de la pobreza y quitarla del agobiador trabajo que faenaba trabajando en los eros de los vecinos de estrella a estrella por un miserable sueldo andechandu (en cuadrilla) todos los días. Y así pensando todas las dichas que mi infantil mente podía imaginar, rodeado por el sepulcral silencio que envolvía la grandiosidad de las montañas, rasgado de vez en cuando por el potente y agudo graznido que desde los peñascos más inaccesibles, o desde los infinitos espacios donde con majestuosidad planeaban, lanzaban las útres (águilas), que con ojos inquisitivos oteaban con hambrientas intenciones los escabrosos riscos y las empinadas fistietchas (pequeños valles encajonados entre las peñas), con la esperanza achuquinante (asesina) de poder atrapar con la rapidez del rayo, algún recental que se hubiese xebrau (apartado) de su madre. También aquel silencio que invitaba a la meditación era con más continuidad cortado, por el dinámico tañir del zumbiétchu (pequeño cencerro) que colgaba del brioso cuello del macho cabrio, conductor y semental del rebaño. Como cuento, allí permanecía ensimismada mi mente en el soñar despierto, fabricando sin trabas de la misma nada, las más disparatadas y fabulosas dichas, que harían la felicidad de mi madre junto con la mía. Llegó casi sin enterarme el atapecer del día (al oscurecer) y fue entonces cuando desperté con prisa del maravilloso soñar donde vivía, y raudo, con agilidad y destreza que hoy al recordarla me causa dicha, reuní en pocos minutos mi rebaño, ayudado con eficacia por Pelayu, mi fiel, obediente, valiente y amaestrado perro, que no le tenía miedo a nada ni a nadie si exceptuamos al siempre mal intencionado y vigoroso macho semental de la reciétcha que yo allindiaba (ganado menudo que yo cuidaba). Y cuando ya el día agonizaba entre las negras vestimentas de la noche, entré en mi aldea conduciendo orgullosamente mi rebaño. A la entrada del pueblo sentado plácidamente fumándose un cigarro, estaba esperándome mi amo preocupado por mi tardanza y acercándose a mí, con palabras desaforadas e insultantes, a la par que me reprendía con dureza, me preguntaba el por qué me había demorado tanto. No recuerdo lo que le contesté, ni la historia que le largué, lo que si sé, que no se creyó de ella nada, pues todas las gentes que me conocían bien sabían, que yo confundía la verdad con la mentira haciendo con entrambas las más inverosímiles y dislocadas historias. Sin embargo, lo que yo sabía muy bien, era que aquel miserable labriego de mi aldea, que tenía la desgracia de cuidarle sus ganados, por la triste desgracia de una comida infame y peor vestimenta, no le incomodaba en absoluto que yo llegase tarde o que me despeñara desde un serapu (peña) y me escontonara la motchera (rompiera la cabeza), lo único que le preocupaba al condenado, era que llegasen a su teixada (casa) sanos y fartus (hartos) todos sus ganados. Al siguiente día bien de mañana como de continuo hacía, con un poco de sabadiegu (chorizo malo) un cantezu (pedazo) de pan moreno y cuatro manzanas dentro de mi zurrón, salí de mi aldea afaluchandu (arreando) el rebaño, y con aquellas miserables viandas que llevaba en mi morral, tenía que aguantar todo el día en el monte corriendo sin descanso tras aquella veceira (rebaño) de cabras. Lo que no sabía el condenado de mi amo, era que yo siempre que tenía hambre, le ordeñaba sus cabras dentro de una lata que tenía escondida en la montaña, hartándome tanto yo como mi fiel Pelayu de espumosa y fresca leche hasta el golifar (hastiar). Si el bastruya (zafio) de mi amo tan sólo hubiese sospechado que le mucía (ordeñaba) sus cabras todos los días, me hubiera eszarapau (despedazado) mi frágil cuerpo con un mamplén de cibiétchazus (con muchos palos). Espatuxaba (caminaba) yo muy contento aquella mañana, quizás lo hiciera mucho más feliz que nunca, arreaba mi rebaño con desacostumbrada prisa, porque ansias locas tenía de llegar a la montaña, para entrar de nuevo en la misteriosa cueva, pues ahora ya no tendría problemas con la obscuridad que en ella reinaba, ya que conmigo llevaba una caja de cerillas y un pequeño candil que le había arrapiegáu (hurtado, quitado) de la corte (cuadra, establo) a mi amo, y con aquella luz, sería capaz de bajar hasta las mismas entrañas de la tierra, si a tal lugar la caverna se extendiese. Aquella noche había dormido poco y soñado mucho, tanto despierto como dentro del desvelado sueño, y tanto de una manera como de la otra, siempre llegaba a la conclusión, de que dentro de aquella para mi misteriosa gruta se ocultaba una fabulosa chalga de la que iba ser yo su señor y dueño, y cuando tal me sucediese, ya no sería yo más criado de ningún rapiegu (zorro) amo, ni tampoco a mi querida madre se le encallecerían jamás las manos, efectuando esclavizantes trabajos, nunca para el prójimo bien servidos y siempre por él peor pagados, ni se partiría sus costillas refrescándose el cansancio en su propio sudor por las fincas de nuestros vecinos, por donde se arreventaba todos los días del año, por la mezquina soldada de una fuente no muy grande de harina, un cesto de patatas, o cualquier otra vianda que mitigase el enorme fantasma del hambre, que desde el fin de la guerra se había enseñoreado de nuestro indigente char (lar), que nos obligaba despiadadamente a unos ayunos tan sumamente raquíticos, que el día que comíamos algo en traza (algo mas), tal parecía que habíamos cometido un grave pecado. Cuando yo fuese dueño de aquel tesoro, (abanzaba seguido de Pelayu arreando con prisa los ganados camino de la argutosa «abrupta» montaña, a la par que imaginativamente iba pensando), compraremos una casa decente, buenas fincas y mejores ganados, y entonces nuestros vecinos nos mirarán con respeto, y no nos tratarán con el menosprecio y la esclavitud a que ahora nos someten. Llegué al fin hasta el lugar que por costumbre tenía de enveredar el ganado para que a su aire subiesen guareciendu (pastiando) como siempre hacían hasta llegar al final de la tarde que era cuando el rebaño solía alcanzar lo más alto de la montaña. Pero aquel día no seguí yo al redil como siempre hacía, sino que me adelante a él corriendo sin el menor cansancio laderas arriba, hasta que por fin sudoroso y galopante en la alegría llegué a la vecindad de la caverna. Pude comprobar sonriente a la par que cariñosamente acariciaba a Pelayu, cómo éste me miraba contrariado al ver que yo por primera vez había cambiado todos mis cotidianos hábitos. Ya que siempre nada más llegar al monte y dejar a las cabras a su albedrío pastiando, nos sentábamos en el lugar acostumbrado, y zampábamos sin pérdida de tiempo a partes iguales como buenos compañeros, la miserable comida que nos había servido nuestro amo. Después jugábamos incansablemente en mil dispares entretenimientos hasta quedarnos rendidos, y muchas veces tras de nuestros juegos, los dos juntos abrazados nos quedábamos profundamente dormidos y al despertarnos sino avistábamos el rebaño, corríamos alocados por la preocupación, por entre los abruptos riscos, y las espinosas malezas hasta lograr encontrarlo. Después otra vez gozosos retornábamos a nuestros juegos, o yo me quedaba mirando a las montañas ensimismado pensando, mientras que Pelayu se entretenía cazando grillos, u otros insectos, y otras veces con sus blancos y poderosos colmillos recorría con rabia su pelambrudo cuerpo, diezmando la cabanada (rebaño) de pulgas y otros parásitos que con su sangre se alimentaban. Como cuento, aquella mañana mi fiel Pelayu me miraba preocupado, pudiendo yo observar en sus vivarachos, picarescos e inteligentes ojos, una recriminación que me estaba haciendo, por su forma de ponerme sus fuertes patas en mi pecho, a la vez que me lamía entre pequeños y cariñosos ladridos mi rostro. Si con sus ladridos pudiese hablar mi lenguaje, seguramente que me diría. —No seas un iluso soñador, mi más querido y preciado compañero, no llegues con tu fantástico pensamiento hasta el extremo de acariciar ni tan siquiera cuanto te has imaginado. Comámonos con la alegría de que hacemos gala todos los días, esa mezquina comida que nos da nuestro despreciable amo, y juguemos con la inocente felicidad de siempre, ya que éste será el más grande tesoro que jamás podrás superar en tu vida. ¿Dónde podrás hallar una riqueza que se pueda comparar a la natural y sencilla felicidad que hoy gozas, aunque ésta se haga su camino dentro de la gran pobreza que te acompaña? Pero hoy yo sé fijamente, que aunque mi perro pudiese hablar, haciendo que en tal momento me asustase al presenciar tan grande milagro, y me dijese que no entrase en la cueva, porque lo que dentro de ella iba a encontrar sería mi propia muerte, la verdad es, que ni al mismo Faidor (Dios) en aquellos momentos yo no obedecería, y así de resuelto, encendí el candil, y sin el menor asomo de miedo, ya que la ilusión y la alegría que poblaban mi espíritu en aquel encaldar (hacer) eran tan inmensos, que empequeñecían hasta el ignoro cualquier otro sentimiento. Adentreme en la cueva que era iluminada tenuemente con la pobre luz que el candil despedía, siempre acompañado de Pelayu que tras de mí, el muy tuno de mi aventura se reía, no era larga la caverna, pues a treinta metros no alcanzaría, y cuando llegué al final, no encontré ni las Xanas, ni los Trasgus ni Xumicius, ni la chalga, preciado tesoro que yo perseguía, sólo había muchos cascos de avellanas y de nueces, algunas latas de conservas ya vacías, unos trapos manchados de sangre, unas mantas viejas y apoyadas en la rocosa y húmeda pared de la cueva, había varias armas de fuego que pronto me hicieron olvidar la riqueza que en un principio había imaginado que allí me aguardaría. Por primera vez en mi vida iba a tener juguetes, auténticos juguetes de verdad de los que usaban los hombres para asesinarse vilmente al igual que hacen los lobos cuando por su cuenta cogen un apacible rebano de ovejas. Dejé el candil en el suelo y elegí entre todas aquellas armas una brillante escopeta, lleno de contentura me senté encima de aquellas mantas y empecé a maniobrar con aquel peligroso juguete, yo sabía cómo se manejaba supuesto que mi amo tenía una escopeta muy parecida y le había visto limpiarla y cazar con ella algunas veces, durante algún tiempo estuve jugando con ella, de una canana que allí había saqué dos cartuchos que metía y sacaba dentro de su recámara, yo me creía en aquellos mis felices instantes el más grande cazador del universo. Pelayu que ya se había cansado de husmear por todas las partes y no habiendo encontrado nada donde llancái el diente (hincar) se tumbó en el suelo frente a mi mirándome sonriente y burlonamente, (porque aunque ustedes no lo crean, yo sé que los chuchos saben sonreir). Enojeme de Pelayu al ver como tan descaradamente se mofaba de mí, por eso encañonele con la escopeta con ánimo de amenazarle, pero cambió Pelayu de gesto rápidamente, levantose con rapidez del lugar donde estaba achucáu (costado), enseñome los clientes ladrándome muy enfadado y a la velocidad del rayo salió de la cueva, quizás porque el inteligente animal presentía, de que alguna desgracia iba a lleldar (hacer) yo con aquel mortífero artefacto, y no quería ser él quien primeramente la recibiese en su cuerpo. Aun permanecí algún tiempo en la gruta jugando a mi manera con las armas, y solamente cuando el candil por su guiños me hizo comprender que su luz ya se le estaba escosando (terminando), salí de la caverna con la escopeta en una mano, dos cartuchos en su recámara y el candil en la otra. En el exterior Pelayu correteaba detrás de los grillos y las camporinas (mariposas) al parecer ya libre de todo enfado. Ya cansado de jugar dejé la escopeta en el suelo y senteme tranquilamente al lado del zurrón, y en cuanto mi perro vio que ya había abandonado el arma, vino corriendo hacia mí, moviendo la cola y sonriéndome amigablemente. Allá abajo en la mitad del valle pude ver a mi rebaño cómo subía espenandu (comiendo) los pochitcus (enanas encinas), y yo de nuevo me volví a sentir feliz y contento a pesar de no encontrar la chalga que tanto con su riqueza había soñado e ideado. Comimos a hora desacostumbrada mi perro y yo aquella pobreza de comida, y tras de jugar un rato, él se quedó adormilado y yo comencé a pensar de quién serían aquellas armas. No me cabía la menor duda de que aquel arsenal de armas debía de ser de los fugáus (huidos), seguramente que eran de aquellos cuatro rapazones (mozos) que se entregaran a los soldados que estaban destacados en mi aldea. Yo los había visto en el cuartel que los militares tenían que era en la escuela de mi aldea, un amplio edificio que fuera regalado a la parroquia por unos indianos del chugar (lugar) que retornaran de las américas con la corexa betchá de cuartus (con la cartera llena de dineros). Recuerdo que aquel día que yo los vi, un soldado que de seguro sería el barbero, les estaba cortando el abundante pelo que lucían, y uno de los rapazus le dijo sonrientemente al militar. ¡No hace falta que te molestes mucho camarada, pues cuando un día de estos nos trasladeís a la cárcel de Oviedo, allí lo más seguro es que nos rebanen el pescuezo! EL MACHO CABRÍO Güelgu coyer el filu dóu d'endenantes m'enduébitchaba algamiandu na miou motchera alcuerdancies de cundu you yera guaxe, ya comu tóus non se puén cuntar per filera, per ísu xebreme d'aquín, pa dir p'acuchá, perque toes les couxes tienen la sou xaceda, ya non la quixéramus cataye nuexotrus. (Volviendo coger el hilo de los aconteceres que anteriormente en mi cerebro se barajaban dentro de las añoranzas de mi niñez, y como todos estos acaeceres no se pueden relatar en hilera, por eso me marché de éste, para ir al de más allá, que es de donde vengo ahora, porque todas las cosas tienen su propia postura, y no la que quisiéramos darle nosotros). Y aunque parecía que me había perdido por estar tan llargu lonxe (tan largo lejos) la verdad es que yo no pierdo el tiempo adornando los hechos que no deben de ser adornados, nin fiéndume en xebraures que van esfaese 'n probeces, perque 'l que non ye llicenciáu 'n filloxofía e lletres, non pué faer munches froritures con les pallabres nin les lletres, ya per ístu, tien que encaldase 'n aforrador d'istus dellicáus y'artifixusus monumentus, perque si lus mesmus que güéi día que lus manexan y'atreinan, la metá de les veces non xapien lu que falen, ya llanquen el focicu fasta les urées en telares de Pachu 'l Xabadiegu betcháus de poxa y'escosáus del granu que ye pelu que tóus muramus nista engochá vida, ¿qué fairé you que 'deprendí namái que tres meses nuna escola pública? (Ni me hondeo en deserciones que se deshagan en pobrezas, porque quienes no son licenciados en filosofía y letras, no pueden hacer muchas florituras con las palabras y las letras, y por esta razón, tienen que hacerse ahorrativos de estos delicados y artificiosos monumentos, porque si los mismos que hoy en día los manejan y cuidan, la mitad de las veces no saben muy bien ni la mitad de lo que escriben, ni otra pareja parte de lo que hablan, y meten por estos menesteres el hocico hasta las orejas, en cuestiones que los imposibilitan para después resolverlas, y si se aproximan a este nivelamiento, lo hacen sembrando una hierba productora de mermado grano, que es el punto primordial que todos intentamos recoger en esta cerda vida. Como cuento, si estos señores eruditos en estas materias se equivocan ¿qué puedo hacer yo, ¡pobre de mí!, que tan solamente he tenido la suerte de ir al colegio público tan sólo tres meses?). Cuento yo que me hallaba en aquellos mis infantiles pensares intentando saber a qué huidos pertenecían aquellas armas, y así dejé tal perder el mucho tiempo que me sobraba, cuando mis ojos retrataron el gran combate que a baja altura, muy por debajo de donde yo me encontraba, sostenían tres cuervos, que despiadada y valientemente le atacaban a un águila real, y ésta piando quizás por el dolor que le inferían los efectivos picotazos de los cuervos, o tal vez en su lenguaje maldiciéndoles llena de rabia por el no poder repeler el ataque de que era objeto. No podía defenderse de sus tenaces atacantes, porque todo su cuerpo en gran tensión estaba, ya que al volar tan bajo, todas sus enormes energías las precisaba para mover sin el menor descanso sus grandes alas, con el apremiante fin de salir de aquel espacio que al parecer pertenecía a los belicosos cuervos, que con ardorosa valentía y enquina ofensiva, disputaban tal natural privilegio, a las mismas soberanas de los cielos. Había yo presenciado muchas veces batallas entre las águilas y los cuervos, y siempre éstos las perseguían atacándoles por su parte posterior, hasta la altura donde el águila ya no necesitase mover sus alas para sostenerse, cuando esto sucedía, los cuervos precipitadamente abandonaban el combate, porque ellos sabían, que donde el águila pudiese planear, todo animal viviente que se acercara, encontraría entre sus poderosas garras una rápida muerte. Queriendo yo saber como es natural el por qué los cuervos atacaban a las águilas, un día que cuidando sus cabras junto a mí estaba un paisano llamado Máximo, que por apodo se le llamaba el «Puchegu», porque tenía tantas razones en sus hablares como palabras por su boca se alumbraran, a pesar de que el Puchegu no sabía leer ni escribir, sabía de cuentos más que el mismísimo Quevedo, e igual hacía cuando se le necesitaba de veterinario que de médico, atinaba casi siempre cuando iba a llover o hacer buen tiempo, en fin, que era Máximu el Puchegu en todas aquellas aldeas de mis amores, una Enciclopedia que aventajaría en mucho a todas las que en nuestros días nos sirven las grandes editoriales, industriadas por hombres estudiosos de las ciencias. Empezó mi amigo el Puchegu explicándome, que son los cuervos de las abruptosas montañas más bregáus (valientes) que los que moran en las valladas o pequeñas lomas, y todo porque la escasez de alimentos en las rocosas cumbres, es muy inferior a los que existen en los valles o montículos, y así como a los hombres la abundancia los hace temerosos y a veces hasta pusilánimes, y la necesidad o privaciones los vuelve por ley de vida temerarios y osados, en los animales ocurre en igual medida lo mismo, así pues, el cuervo defiende su pitanza no permitiendo que las águilas cacen a menor altura que la que les pertenece, y si desde tal situación descubren una pieza, y bajan con su endemoniado vuelo de alas plegadas la apresan y luego vuelven a elevarse al lugar que les corresponde, los cuervos no osarán ni tan siquiera molestarlas, pero si por el contrario descienden para dedicarse a cazar desde el lugar que no les pertenece, entonces los cuervos las atacan con verdadera saña y valentía y siempre logran hacerlas ascender hasta la posición que ellos consideran justa. Esto es así, porque desde tal altura las águilas sólo pueden divisar en tierra una pieza que ellos no cazan nunca, como puede ser un conejo, una pequeña res, un zorro, y hasta inclusive el mismo perro que con el pastor cuida el rebano, y también se han dado casos en que las águilas hasta han cazado un lobo, y con él entre sus garras han subido hasta sus utreras (nidos) donde le devoraban con la misma satisfacción que pudieran hacer cuando se afestinaban con las tiernas carnes de un inocente corderillo. Si las águilas pudiesen volar más bajo sin ser por los cuervos molestadas, también podrían cazar con gran facilidad, lagartos, culebras, etc., etc., y es ésta precisamente la comida que el cuervo defiende, por eso ataca al águila cuando ésta intenta apoderarse de la que él cree que es su exclusiva pertenencia. Terminó el águila al fin tras el ardoroso acoso a que la sometieron los cuervos de subir hasta la altura que ellos consideraron lícita, y rápidamente éstos plegando sus alas la abandonaron y en vertiginoso vuelo buscaron el abrigo de los arbustos de sus montañas. Terminó para mí aquel día el maravilloso espectáculo que la soberana del cielo y los bravos cuervos me habían ofrecido, y fue entonces cuando me incorporé del lugar donde me hallaba sentado, para mirar a mis cabras que guarecían (pastiaban) por encima de donde yo estaba a la corta distancia de unos cincuenta metros, lo primero que mis ojos retrataron fue el orgulloso y antipático macho cabrío, que empericotáu (subido) en un cuetaron (peñasco) a la par que espenucaba (arrancaba) las fuéas d'un pótchiscu (hojas de una enana encina), mientras que las enguyía, parecíame a mí que me estaba mirando desafiadora y despreciativamente, con sus grandes y retorcidos cuernos, su larga perilla y enorme cencerro, se me representaba como el diablo que sonriéndose ladinamente se guasaba de mi humilde persona, a la par que de mi buen Pelayu, pues a entrambos y dos el condenado nos había hecho correr infinidad de veces, por eso, tanto Pelayu como yo siempre que teníamos ocasión y traicioneramente, él le mordía sañudamente en sus cadríles (patas) y yo le atizaba barganazus (estacazos) y pedradas donde mejor encaldase (terciase). Ocurriósele a mi mente en aquellos momentos el darle un buen susto a aquel demonio con cuernos y cencerro, por eso así la escopeta con determinación, y cargada como se encontraba con dos cartuchos, apunté por debajo de donde él se hallaba con el firme propósito de tan sólo darle un susto que no olvidase en su vida, y ya sonriéndome adelantadamente por el resultado de la idea que sin más pérdida de tiempo iba llevar a la práctica, apreté los gatillos de la escopeta, y una doble y potente explosión originose que dio conmigo en el suelo por la fuerte sacudida que el arma emburrióu (empujó) con dolor en mi cuerpo. Pero escosóseme d'afechu (marchóseme del todo) tal dolor, cuando entre el repilar (ecos) de la montaña por la explosión, sentí al macho cabrío lanzar al viento grandes berridas, que hiciéronme con preocupada prontitud deducir, que aquel demonio odioso no se quejaba por el susto que pudiera recibir, sino por la perdigonada que sin yo proponérmelo le había albergado en su pelambroso y maloliente cuerpo, levanteme sin demora del pedregoso lecho donde la escopeta con su duro empujón me había acostado, y aún tuve tiempo de ver cómo el semental de mi rebano rodaba por entre los cuetus del xerrapeiru (peñas de la sierra) infiriéndose más heridas en su cuerpo que las que yo por equivocación con los dos disparos le había inferido, siendo quizás su muerte no la perdigonada que le había desequilibrado, sino los argutoxus cuetus (agudos peñascos) que cual cuchillos al rodar su pesado cuerpo por entre ellos le apuñalaban mortíferamente, por eso al detenerse en su poleamientu (rodar) detrás de un pótchiscu (encina) que encontró en su paso, dejó de berrar en el instante, que su vigoroso cuerpo perdiera la vida. Fuime yo corriendo acompañado de Pelayu que me ganó la palma en la carrera, hasta el lugar de aquel desgraciado suceso, y cuando llegué donde el chivo estingarráu (tirado, acostado) ya no contaba como enemigo vivo, vi cómo a torrentes se desangraba, a la par que Pelayu con su nutritiva sangre se fartaba (hartaba). Pensé yo con gran temor cómo decirle a mi amo lo que había pasado, él que sentía por su chivo un orgullo y continuo ponderado casi desmedido, pues siempre que la ocasión se le brindaba cuando con sus vecinos dialogaba, soliales afarrucado (faroleándose, chuleándose) decir, que no había en toda la comarca un macho cabrío que ni con mucho en raza y estatura, se le pudiese parecer al suyo. Era ya casi la hora de afalar (retornar arreando el ganado para casa) cuando se me ocurrió la idea de decirle a mi amo que el chivo por si sólo se había despeñado, así que guardé la escopeta en la cueva y apresuradamente yo temeroso y preocupado y Pelayu contento por hallarse harto, reunimos el rebaño y nos encaminamos hacia la aldea, parecía que hasta las mismas cabras que en otras ocasiones se mostraban rebeldes y saltarinas, aquel desdichado día caminaban cabizbajas y avizorantes, observando en todas las direcciones con pronunciosa alteración, buscando aquel macho cabrío que las dirigía y dominaba con su orgullosa presencia, haciéndose notar en todo momento, por el continuo tañir de su zumbiétchu (cencerro), que por primera vez en el rebaño no se sentía el caidonante ruxíu (dirigente sonido). Pienso yo que solo contento caminaba vigilante mi fiel Pelayu, porque ya nadie en el rebaño se atrevía a discutirle sus ladridos o frágiles mordiscos, cuando por orden mía a las cabras con eficiencia les infería. Más sin embargo yo, al igual que a mis cabras, algo me tenía también apresado, algo extraño para mí, por primera vez a mi espíritu esclavizaba, que ni era tristeza ni pena, pero sí era miedo y grande desesperanza. Siempre que retornaba con mi rebaño a la aldea, cuando en las atardecidas la montaña abandonaba, mi corazón ameruxáu d'allegría (rebosante de alegría) a mi garganta un torrente de cante le rogaba, y ésta inocente y falta de todo perjuicio, sintiéndose tan dichosa como los mismos celestiales ángeles, cantaba recias asturianadas, mientras que todo mi ente, afanosamente afalaba (arreaba) las cabras. Quizás cantara yo aquellas horas con más gracia que en todo el día por alegre que fuera y pudiera tener, porque por así decirlo me acercaba al sencillo y noble vivir de las gentes de mi aldea, pues diez o doce horas en la continua soledad que en las montañas me acompañaba, para un rapacín como yo era, eran muchas horas desamparado de la comunidad humana, y sobre manera yo, que con ser mi cuerpo ágil y fuerte hasta casi rayar en el desuso, empequeñecido se quedaba si le comparaba con mi espíritu tan ensoñador e imaginativo, que todas las cosas al engrandecerlas confundía, menos el miserable pan de la maxera (artesa) que mi amo me entregaba, que a pesar de ser tan escaso, jamás supe imaginar nada para engrandecerle. Estaba mi amo a la entrada de la aldea esperándome como siempre hacía para ayudarme a xebrar el rebaño, ya que como eran tantas cabras, no cogían todas en la misma corte (establo), y había que llevar parte de ellas a otra cortexa (cuadra pequeña) que estaba en la parte opuesta de la aldea. Entretenía siempre su espera el condenado de mi amo, hablando con un artesano del lugar, que se dedicaba a la fabricación de yugos y madreñas, que tenía su taller montado debajo de un hórreo, que estaba asentado a la salida de la aldea, mismamente en la desembocadura del pedregoso y empinado sendero que venía de la montaña. Desde tal lugar él sentía con antelación el potente tañir del zumbiérchu (cencerro) que ximielgaba (movía) con fuerza y hasta con orgullo el estupendo semental de su rebaño, entonces él liquidaba por el momento con el madreñeiru la conversación que estuviesen embargando, y dedicaba toda su atención a su rebano, observando con avarienta atención, en el propiar si sus ganados venían fartus óu famientus (hartos o hambrientos), o si alguna de sus cabras venía coxa (coja) por mor de haberle caído una piedra o cualquier otro accidente que hubiera acaecido, como solía ser normal algunas veces. Pero aquel inolvidable para mi atapecer (atardecer) vio antes sus cabras que escuchara el ya inexistente zumbiétchu, por eso con su vozarrón de trueno, y como una centella por mí temido, me preguntó a la distancia de una piedra lanzada cuesta abajo: —¿Qué fói lu que pasóu Xulín...? —¿El chivu perdiu 'l mayuelu...? —Quería decirme, que si el cencerro que llevaba su chivo, había perdido el majuelo, o pequeño péndulo que lleva dentro el cencerro. —Esto también era frecuente que sucediese. Contestele yo desde aquella altura con mucho menos miedo que si me encontrase ante su presencia, diciéndole que el chivo se había despeñado, y arriba en la montaña se encontraba muerto. Estas mis palabras que en el viento camino de la aldea mi voz empujó con fuerza, fueron escuchadas por mi amo que se encaricotóu (encendió) en una rabiosa tristeza, que si pudiese desahogarla, seguro que en mi persona haría él su complacencia. También la desgracia del chivo, que por mí a voces era anunciada, fue oída por algunos otros vecinos a parte del madreñeiru, y como aquel semental de macho cabrío había sido siempre tan aponderado e idolatrado por el babayu (bocazas, charlatán) de mi amo, que con su dichoso cabrón los vecinos de la aldea ya habían pescado la costumbre de decir siempre que alguien ponderaba una cosa, ¡non si paezme a mín, que moren más castrones que Manín na nuesa aldea! Bueno pues como estoy contando, todo el lugar en pocos minutos se había enterado y en parte congregado a la salida del camino que bajaba de la montaña, ya que la muerte de aquel chivo que había ya dejado entre ellos la ya dicha cantinela, les había algunos los más envidiosos y vengatibles alegrado, y a los otros los más sentimentales y nobles les entristecía la muerte de tan comentado castrón. (También se suele llamar castrones a los chivos muy grandes). Al fin entré yo en la aldea quizás con el mayor recibimiento que jamás a nadie le hicieran, y todos atropelladamente me preguntaban lo que con el dichoso castrón me había sucedido, y yo les repetía a la par que intentaba xebrar las cabras para llevarlas a sus respectivas cuadras, que se había despeñado y que todo descuatramindáu (deshecho, desarmado) se quedara en la montaña. Un ratiquín (un tiempo) más tarde, y ya siendo casi la oscurecida, tres vecinos del lugar haciendo cuadrilla con mi amo, caminaban en pos de Pelayu y mía, otra vez camino de la montaña, para enseñarles donde estaba estrapayáu (aplastado) el chivo, con el propósito de bajarle para casa, con el fin de aprovechar su piel y carnes, que serían curadas bajo las barras del xardu (secadero) una estupendísima cecina. Llegamos a la postre ya con la noche tan negra como la boca de el lobo, al xeitu (sitio) donde el chivo fechu 'n chaceiru (hecho un deshecho) ya en el frío de la muerte sin despertarse dormía, tanto Manín que yera mi amo, como los tres vecinos que le hacían compañía, sudorosos y respirando medio ahogados por el tremendo esfuerzo que suponía subir con tanta rapidez hasta tamaña altura, sin perder un momento amarraron el animal por las cuatro patas juntas haciendo cucara (en montón, juntándolas todas) con una cuerda que para tal menester ya traían, y colgándolas de un fuerte y largo palo del que también venían poseídos, echáronselo al hombro entre dos, y con menor rapidez y mayor precaución, relevándose entre ellos conseguimos llegar sin novedad a la aldea. A pesar de ser casi la media noche, aun había algunos vecinos en reunión dentro de al parecer amena charla que quizás tuviese mucho que ver con el castrón, Manín y con mi desventurada persona, esperándonos en el lugar donde el madreñeiru trabajaba. Entramos todos en procesión rumorosa en la corralada de la casa de Manín, detrás del cabrón que colgado del baral sofitado en los hombros de dos vecinos se xiringaba (balanceaba), vigilado siempre con sonrisa ladina por mi fiel Pelayu, que comprendía que al no tardar, iba a saciarse hasta el no poder manducar más, con los rojos hígados de quien en vida, le hubiera hecho correr con cierto temor con el rabo entre sus piernas. Mientras que mi amo y sus serviciales vecinos se disponían a desfoyar (desollar) colgado de unos garfios que había debajo del hórreo al desgraciado chivo, la muyer (mujer) de Manín sin parar de condolerse, y hasta inclusive queriendo a mi endilgarme parte de la culpa, me dio de cenar una escudilla de farines (harina de maíz cocida) con una taza de leche de cabra, porque la leche de las vacas la tomaban ellos y la que sobraba la hacían en manteca, que tampoco yo nunca la probaba. Por primera vez no se hallaba sentado a mi lado sacando la lengua y relamiéndose, mirándome con sus ojos inteligentes en espera que yo le tirase delante de sus narices una cucharada de mi comida a mi fiel Pelayu, pues él sabía que al lado del castrón, tenía una fiesta grande con sobrada pitanza. Comía yo vorazmente aquellas puliendras (farinas), a tan desusada hora de la noche, sin que mi mente de pensar cesara, y antes de terminar mi miserable cena, una luz que me llenó de cierto temor en mi cerebro escendiose, para decirme con su claridad, que no iba a transcurrir mucho tiempo antes de descubrirse mi mentira, porque al esmianaye 'l pelleyu (quitarle el pellejo) al castrón, le encontrarían incrustadas en su cuerpo las postas que le habían matado, y me interrogarían sobre tal suceso, siendo yo al momento un cómplice y encubridor de la muerte del condenado cabrón, que según parecía me iba a dar guerra hasta después de ser muerto. Seguramente querrían saber el por qué les había mentido, haciéndoles creer que se despeñara, cuando a la prueba estaba que fuera abatido por un tremendo pistoletazo. Bajé después de cenar a la corralada donde los hombres andaban a vueltas en la desfoyadura del castrón, a la luz de un par de candiles de carburo y no llevarían un cuarto de hora reparándoles en su circunstancial oficio de carniceros, cuando Antonón el de la Cuandia dijo sorprendido mirando para mi amo que le alumbraba con el candil en la mano para que los otros vieran mejor en la faena que encalducaban (hacían). ¡Ah Manín, isti castrón non morrióu comu diz el tou criadín despeñáu, pos tién ente 'l coración ya lus polmanes un manegáu de postes llancades, asina que si quiés saber quién l'achuquinóu, pregúntaye 'l tou rapazacu, lu que axucedióu! ¿Qué ye lu que me tas diciendu...? ¿Quién diañus diba pegái 'n tiru 'l miou cabrón ? Antonón arrabucandu d'ente les asaures del chivu cuatru ou cincu postes que yeren de grandies comu arbeyinus rancuayus, díxole 'l miou amu metiénduyes per dellantri 'l focicu: ¡Mira Manín, ístu fói lu qu'achuquinóu 'l tou chivu! (Ah Manín, este cabrón no murió despeñado como dice tu criado, pues tiene entre el corazón y los pulmones un cesto de postas plantadas, así que si quieres saber quién le asesinó, pregúntale a tu muchacho lo que sucedió). (¿Qué es lo que me estás diciendo? ¿Quién demonios le iba a pegar un tiro a mi cabrón?). (Antonón arrancando de entre las asaduras del chivo cuatro o cinco postas que eran de grandes como pequeños guisantes, le dijo al mi amo mostrándoselas por delante de su hocico: ¡Mira Manín, esto ha sido lo que asesinó a tu chivo!). Hallábame yo detrás de ellos a media penumbra, por eso no pudieron ver cómo todo mi cuerpo temblaba, y mis mexiétchas (mejillas) se encendían como las mismas brasas cuando el viento las apuxa (atiza). Quizás si fuese a pleno día, me hubiesen sacado la verdad al descubrir yo mismo por mis síntomas externos la mentira, pero la noche, encubridora de toda claridad que profané sus negras vestiduras, me ayudó a ser firme e inamovible de mi primera mentira. Convencido mi amo de que le había engañado, acercose a mí con el candil en una mano, y llena su despreciable alma de ira, y enloquecida venganza, con la otra su mano, atizome un fatáu de morráes (varias galletas, tortas, guantazos) que dieron con mi cuerpo en el suelo, y antes de que yo pudiese huir del peligro que me rodeaba, levantome del suelo con la misma mano que tan vilmente me castigara, y a la par que alumbraba mi rostro donde la abundante sangre que manaba de mi nariz lo embadurnaba, me dijo mirándome con sus ojillos de bracu (cerdo) donde la maligua ira en un brillo salvaje se enseñoreaba: ¡Ahora mismo me vas a decir hijo de perra y de republicano asesino, que el día que asesinaron a tu padre que era lo mismo que tu un embustero y un bandido, te tenían que haber envenenado a ti, para que no pudieses hacer el mismo mal que hizo tu condenado padre, vamos, dime quién fue el que disparó contra mi chivo, dímelo pronto o terminaré contigo! Y al tenor que esto me estaba diciendo, su dura mano caía una y otra vez sobre mi rostro, y fue entonces cuando aquellos hombres de entre sus manos me arrancaron, pues al no hacerlo, quizás aquella bestia humana, que había luchado en defensa de la (PAZ DE ESPAÑA) fácil me hubiera asesinado, como seguramente acostumbrado debía de estarlo, al haber practicado tal demoníaco proceder, con otros indefensos inocentes, de los miles que asesinados fueron en Nuestra Patria, por cobardes, dañinos y miserables hombres, como lo era mi despreciable amo. Fue curado con agua fresca mi amoratado y sangrante rostro por Antonón de la Cuandia, que me aconsejaba cariñosamente, les dijese lo que con el cabrón me había en la montaña sucedido, y que no tuviera ningún miedo de contar la verdad que se buscaba, pues ella misma me protegería de quien me hubiera amedrantado para que no le delatara. Cuéntanos hijo si fueron los huidos quienes al chivo le dispararon, ya que nadie más que ellos pudo hacer tal cosa, y ten presente que si no nos lo dices ahora, mañana vendrán los guardias y ya verás cómo con ellos no puedes seguir negando. Díjele a Antonón el de la Cuandia, que yo estaba dormido, y que me desperté cuando sentí al cabrón bramar desesperado al tenor que bajaba rodando por entre los peñascos, siendo aquello todo cuanto yo había visto y oído. Volvió otra vez ya más sosegado mi amo a insultarme y amenazarme, y a la postre me ordenó que abandonara su casa, pues él no fartaba bribones que lejos de cuidar su rebaño, permitían que personas tan canallas como yo lo era se lo asesinaran. Marcheme de aquella casa de noche, maltrecho mi cuerpo y deshecha de sufrimientos mi infantil alma, sin más pertrechos que los que llevaba a costillas, que eran los únicos que poseía, y que constaban de un mono de caqui hecho de la guerrera de un soldado, con más remiendinos que de plumas tiene una gallina y de todos los colores que imaginarse puede, calzado con unas alpargatas de esparto donde los calcaños se asentaban en el suelo y los dedos lo mismo hacían por no quedar de las alpargatas nada más que la parte del centro. Por primera vez desde hacía varios meses que Pelayu era o mejor dicho había sido compañero inseparable de hambres y fatigas, de juegos y caricias, de largas soledades entre ambos repartidas, por primera vez digo, mi fiel compañero ya no me seguía, me traicionaba el muy ladino por unas piltrafas que de vez en cuando aquellos hombres que carniceraban en el cabrón, le arrojaban en el empolvado suelo de la corralada, para él valía en aquellos momentos más la asquerosa pitanza, que todo el cariño que yo pudiera brindarle, ya no se recordaba el muy desagradecido de que yo repartía con él a partes iguales la escasa comida que para mi sólo me entregaba el llabascón (cerdo grande) de mi amo, en una palabra, Pelayu era un desagradecido y egoísta, propiedad que en mayor o menor cuantía, va fusionada en el instinto de todo ser mamífero de la Tierra. Llegué aquella primera noche de mi vida, que había sido maltratado, insultado, golpeado, pisoteado, arrastrado y ofendido a tan gran profundidad y altura, que dudo que a mis años en todo el mundo, a nadie le hubiera sucedido tan inhumana atrocidad, cuento yo, que hice mi entrada en la casa de mi madre, que en la sazón se encontraba trabajando en una alejada aldea, en el caserío de otra viuda que su marido había sido asesinado en el cementerio de San Salvador de Oviedo la misma noche y en el mismo paredón que fusilaran a mi padre, así pues, hallábame yo sólo en casa y eso enormemente en aquellos momentos me alegraba, pues si mi madre hubiera estado en la casa, le haría sufrir aviñonándome yo de pena, y quizás ocurriesen peores cosas, ya que mi madre era, y aun sigue siendo, y Dios me la conserve muchos años, pues fue lo mejor y lo único que he tenido en mi existencia, mujer de duro carácter, intrépida y valiente hasta no tener el más pequeño temor, de pelearse ella sólo contra todos los moradores de la aldea. ¡Cómo mi madre, nacen en un siglo pocas mujeres! Al día siguiente que era domingo, y por tener en la parroquia a que pertenecía mi aldea, un cura que para demonio había nacido, ya que el muy condenado había conseguido de las autoridades una ley, que no se quién se la había fabricado, pero el caso es que existía, y condenaba a todos los vecinos a oír la Santa Misa, y a no trabajar ni en las tierras, ni en los prados, ni en nada, bajo pena de una multa que la ley considerara justa por ser injusta. Como yo ya no tenía trabajo, pues cuidar los ganados estaba permitido, y aquel gochu de mi antiguo amo desde aquel día tendría que hacer el trabajo que como un miserable esclavo yo le hacía, me levanté tarde del único xergón de fuéa (jergón de hoja) que en la casa había, que lo había industriado de unos sacos, porque todo cuanto poseíamos que era bien poco, al terminar la guerra el honrado vencedor nos lo había robado, y no contentos con esto, todavía fusilaron a mi padre, acusándole de haber robado grandes cantidades de dinero, de haber hecho esto, lo otro, y lo demás allá, y todo porque se le querían cargar cuatro caciques, como se ha hecho en todos los lugares de mi Patria buena. Noté que me dolía el rostro y que le tenía ensangrentado, no pude mirármelo al espejo. porque éste era un lujo que en mi casa no existía, así pues, me fui hasta el río que por detrás de mi casa pasaba, y me lavé como mejor pude, secándome después a las sucias y ásperas mangas de mi mono, y sin desayunar nada, porque en la casa no habla ni la más mínima consolación de comida, me dirigí a oír la misa, ya que yo de pequeñín era muy creyente y religioso. Estando yo enredando (jugando) con algunos otros guaxinus (niños) de mi aldea, en espera que tocase la última campanada para entrar en la iglesia, vi llegar la pareja de la guardia civil y un vuelco de temor revolvió mi ánimo, que casi consiguió ordenarme que saliese corriendo, huyendo pronto de aquel nuevo peligro que me acechaba. Sin embargo no lo hice, porque o no era lo suficientemente valiente, o lo necesariamente cobarde para hacer tal cosa, lo cierto es que cesé de jugar y me quedé mirando para ellos, lleno de temor, de tristeza, de pena. Preguntaron a alguien quién era yo, uno de mis vecinos me señaló, entonces los guardias me llamaron, y yo hacia ellos avancé, cabizbajo, temeroso y desamparado, igual los niños que los vecinos me miraban sin urniar (decir) palabra, muy posible muchos de ellos, tanto fascistas como rojos, vencedores o vencidos, sintiesen una profunda pena al ver aquel niño, desventurado e inocente ruina que dejó la vil venganza de la posguerra, avanzar sin protección ni cariño de nadie hacia los guardias, al fin llegué junto a ellos y me los quedé mirando, no me gustaron sus rostros, que me parecieron dos demonios, entrambos se quedaron mirando unos momentos en silencio mi rostro, en el que se podía leer la despreciable cobardía y nefastosas intenciones, que se enraizaban en el podrido sentimiento de mi amo, pude comprobar que esbozaban una tenue sonrisa, y no pude descifrar, si era que les alegraba observar el sello del martirio anclado en mi cara, o si por todo lo contrario, me dedicaban un consuelo de lastimosa consideración. Qué enano era yo físicamente en aquella lejana y para mi inolvidable, desgraciada y maestrosa mala época, si desde mi distancia también en el momento mi señora prisionera, proyectó mi mente siempre libre, como el misterioso dios que en cada mente humana vive, cuento yo que si me observé ante toda aquella gente, asustados los unos, hartos de maltratos, satisfechos los otros, por formar parte del mando, e indiferentes los restantes por no contar nada en ningún bando, digo que si me vi tan insignificante en mayor cuantía todos cuantos me rodeaban eran, ya que ninguno de ellos optó, en defender a un niño inocente y lleno de temor, que no había cometido más delito que el matar sin querer a un chivo, que era menos cabrón que todos aquellos papalbus humanos. Uno de los guardias con el mosquetón en la mano, me acarició mi corta y jamás peinada cabellera, pues nada más que tenía dos dedos de larga, mi madre me la rapaba al cero para que los abundantes piojos en ella no sembraran la descendencia de sus miserias, y a la par que esto hacía tan despreciable celador de una ley muy poco justiciera, con palabras que pretendían ser cariñosas y amables me dijo: —Ya veo por las caricias que luces en tu rostro, que con todo merecimiento y sin ninguna duda el señor Manín te ha hecho, que eres un niño rebelde, desobediente y malo, que te niegas a decir la verdad, y por lo tanto por todos estos endemoniados pecados irás al infierno, así es, que si ahora mismo no me dices quién fue el que disparó contra el chivo de tu amo, yo también tendré que castigarte. En esto estábamos el guardia y yo rodeados por los vecinos que no decían ni pío, cuando hizo acto de presencia el señor cura, que relevando a la autoridad de su palabra no así de mi persona, me aconsejó apoyando sus frases en la Divinidad de Señor, para que les contase la verdad que me liberaría de todos mis sufrimientos. Díjele al cura lo mismo que al guardia que yo estaba dormido, y que sólo me había despertado al oír al chivo berrar a la par que bajaba por entre los peñascos rodando. La ruda mano de aquel guardia, que seguramente había sido toda su vida un rústico campesino y que la guerra le había liberado de tan honrado lugar para colocarle en el más delicado de los oficios, como es el de servir con dignidad a la Justicia, cuento yo que aquella pesada mano de aquel hombre que pensaba que las personas había que tratarlas como a las bestias con las que él hubiera vivido siempre, dejó de acariciar mi cabeza y sus dedos se aferraron como si fuesen fuertes murgazas (tenazas) a una de mis uréas (orejas), y sonriéndose como si me estuviese el muy hipócrita acariciándome, a la par que me rogaba que le contase la verdad, me apretujaba con tal fuerza, que el dolor que me inyectaba me hacía ver todas las estrellas. Creo que lo que más le molestaba aquel cobarde representante de la ley, no de la Justicia, era que yo, que la vida ya me había forjado en saber llevar el sufrimiento, ni llorara, ni gritara ni menos me quejara de nada, por eso el infame seguía despiadamente con todas sus fuerzas apretándome, aun es hoy el día, que cada vez que me recuerdo de aquel momento mi oreja se pone tan rápidamente colorada, que hasta me molesta el calor que alumbra. Así en este atroz sufrimiento yo me debatía, sin que nadie de los allí reunidos por mí intercediera, dentro del horripilante dolor que me producía aquel estrapayáu d'uréas (retorcimiento, aplastamiento de orejas), cuando llegó mi madre ante la concurrencia, pues como era domingo, bajaba la pobre de aquella aldea donde toda la semana había estado trabajando, trayendo encima de la cabeza una manieguina (cesta) llena de viandas que en el caserío le habían dado a cuenta de su esfuerzo. Cuando mi madre me vio a mí, en tal escarnecimiento, tiró la manieguca al suelo, y llena de una fuerza airada que la multiplicaba, se acercó tan randa como una centella hasta mi verdugo y arrancándole el mosquetón de un fuerte tirón de entre su mano, le pegó con él tamaño golpe encima de sus costillas, que dio con él como si se tratara de un muñeco de trapo en tierra. Antes de seguir con esta cierta historia, voy hacer un inciso, para describir muy someramente cómo era mi madre en aquella época. Era joven, aun no llegaría a los cuarenta años, y a pesar de su juventud, ya había perdido la pobrecita dentro de los mayores sufrimientos que se puedan imaginar, a dos hijos que luchaban en la guerra, a su marido que fuera fusilado y a todo cuanto poseía. Mi madre como perteneciente a la más ancestral raza astur, era rubia, con el pelo del color de la miel, o de la escanda sazonada, tan abundante lo tenía, que cuando lo llevaba suelto y se acuruxaba (agachaba) le tapaba todo su cuerpo como si lo cubriera con una preciosa manta. Sus ojos eran a veces tan azules como el transparente cielo de una mañana de primavera, y en ocasiones eran tan verdes como los mismos campos de nuestra aldea. Era tan pura y recia como la misma madre naturaleza, inamovible en sus decisiones, honrada y justiciera. Era una auténtica astur procedente de la primera raza que pobló las ubérrimas montañas de mi noble tierra, y no una mistificación como somos hoy en día más del noventa por ciento de las gentes asturianas, enraizados con todos los colonizadores de nuestra tierra. Mi madre enojada era una invencible fiera, y tranquila y serena, era tan hermosa y dulce como incomparablemente lo es mi asturiana tierra. Y ya dicho con suficiente claridad como era esta excepcional mujer, vuelvo a centrarme en el desaguisado que mi madre justicieramente preparara, con una valentía y decisión tal, que dejó a todos perplejos y anonadados, pues el guardia que en posición ridícula espanzarrado moraba en el suelo, desde tal lugar miraba con ojos desorbitados a mi madre que con el mosquetón en la mano y a la par que se lo arrojaba con fuerza y mala sangre contra su pecho le decía: ¡Yes un llimiagu, lu mesmu que toes istes xentes que conxentíen, qu'dellantri de la mesma ilexia del Faedor, y'en prexencia d'isti cura escosáu de coyones ya xusticieres razones, lú mesmu que tous vuexotrus que sois una cabaná de baldreyus, que tu que yes un cachiparru, martirizares a isti nenín pequenu, ya s'ístu faedis con miou fíu qu'entavía 'l probitín non sabe dúnde come, ¿qué faeredis con les prexones mayores? (Eres un rastrero baboso, lo mismo que todas estas gentes que te consienten, que delante de la iglesia de Dios y ante la presencia de este cura que no tiene ni cojones, ni justicieras razones, lo mismo que todos vosotros, que no sois nada más que un rebaño de cobardes, que tú que no eres nada más que un parásito martirizaras a este pequeño niño. Y si esto haceís con mi hijo, que todavía el pobrecito no sabe de dónde come, ¿qué hareis con las personas mayores...?). El otro guardia que sin lugar a dudas parecía un hombre con mejores sentimientos que el gusano que me había martirizado, intentaba sujetar a mi madre propinándole palabras que le aconsejaban que no complicara más las cosas, mientras que su repugnante compañero se levantaba del suelo, y ya con el arma entre sus manos, la enarboló por encima de su cabeza en amago de dejarla caer encima de mi madre a la sazón que con una inquina maligna y cobardosa le decía: ¡Si fuese usted un hombre, ahora mismo le partía la cabeza en dos para que al final de su existencia comprendiera usted, que el deber de todo ciudadano es respetar a la ley! A lo que mi madre le respondió de la siguiente manera: —Si you fora un home, a usté había qu'allevantalu dóu tá, p'ancuandiálu debaxu tierra, que ye 'l llugar quéi cuerresponde a la xentuza baldreyante comu ye usté. Ya tocante a la ley que reprexenta, que ye tan betchá de maldáes comu usté mesmu, pásula you ya toes les prexones decentes pente les piernes ya mexamus per echa. ¡Perque isa lley que tantu cacaréa achuquinóu ya t'achuquinandu a fatáus d'iñocentes, sin respetar nin al vietchu que t'encantu la xepoltura, nin al xoven qu'entavía non golióu 'l tafu de papalbus ya rapiegus que tienen tous los comedores que la endubiechan y'esmarachen! (Si yo fuese un hombre, a usted había que levantarle del lugar donde se encuentra para enterrarle bajo tierra, que es el sitio que le corresponde a la gentuza cobarde como lo es usted. Y tocante a la ley que tanto cacarea, que está tan rica de maldades como usted mismo, la paso yo y todas las personas decentes por entre las piernas y meamos por ella). (¡Porque esa ley que usted representa, ha asesinado y está asesinando a muchos inocentes, sin respetar ni al viejo que ya se encuentra al borde de su sepultura, ni tampoco al joven que todavía no se ha olido, el característico mal hedor que emana de los comedores, indeseables y ladrones que la han hecho, así como ustedes que atropelladamente obligan a punta de pistola y látigo a que se cumpla!). Aun puedo ver en los rostros de todas aquellas gentes que nos rodeaban, desde esta asquerosa celda donde viviendo el presente que me aprisiona en esclavo de unas injustas ordenanzas, mi mente desdoblándose en dimensiones pasadas, añora con tristezas y alegrías, las primeras alumbradoras fuentes de toda mi desgracia. Sí, veo los ojos asustados de algunos de mis convecinos, que al escuchar aquellas graves y acusadoras palabras que mi madre airada, enloquecida y por toparse en su justo desquiciada, le decía a aquel guardia que tan cobardemente la amenazaba. Sí, veo como todos ellos con tristeza pensaban, que mi madre no iba a salir de aquel asunto bien librada. Pues en aquellos tiempos por menor delito, al paredón de fusilamiento llevaban a personas más recomendadas. Vi los ojos de aquel guardia ruin y rastrero, vilos cómo se llenaban de una alegría satánica, quizás en otras ocasiones ya por él vivida, cuando a tantos inocentes martirizaba o asesinaba. Vi cómo dejó de amenazar a mi madre, cómo colgó el mosquetón de su hombro, y metiendo la mano sonriendo canallescamente en su macuto, sacó unas relucientes esposas con las que se disponía a encadenar a mi madre en el lleldar (acaecer) que le decía: —La voy a llevar a usted y a su hijo detenidos hasta el cuartelillo, y allí, le enseñaremos a usted a respetar la ley y el orden, ya verá usted cómo cuando nosotros la dejemos, no se le ocurrirá jamás ofender a la ley y al régimen, ni aun en su propio pensamiento. Y en cuanto a su cachorro, que parece ser tiene su misma casta, también le enseñaremos a decir la verdad aunque tengamos que arrancarle la lengua. Fue entonces cuando uno de los dos principales caciques de la aldea, que también ye menester que cuando encarte les diga cómo eran, le dijo al guardia con palabras amenazadoras: ¡Dexe tranquíl ista muyer ya 'l sou fíu, pos güéi mesmu vou cuntaye you 'l sou xefe la clás de guardia que ta fechu. (Deje tranquila a esta mujer y a su hijo, y hoy mismo le voy a contar a su jefe la clase de guardia que está hecho, que se ha dejado desarmar por una mujer cuando cobardemente usted martirizaba a su hijo, poco puedo poder yo si no le hago catar covixu noitre ufixu (oficio), perque nisti de guardia paeme amindi que nun ten llixa (arte, valer, etc.). La fuerza y poder que tenían aquellos desalmados caciques en aquellos tiempos de desalmados vivires, achindi mesmu xuntu lus mious güétchus (allí mismo frente a mis ojos) quedaba bien claro, porque aquel guardia aviñonáu de miéu (lleno de miedo), se justificaba rastrera y servilmente pidiéndole perdón aquel hombre que no había sido en toda su vida nada más que un verdadero canalla, per ístu miou má noxá fasta cuaxí la llocura dista maneira le falóu (por esto mi madre enojada hasta casi la locura de esta manera le habló). —Lu que me faltaba per uyír, que tena que debéi cumplíus a isti baldrayu d'achuquín, que dexóu la nuexa 'ldina xemá de güerfaninus dexamparáus de la mán del Faidor ya de lus homes. (Lo que me faltaba por escuchar, que tenga yo que deberle favores a este cobarde de asesino que dejó la aldea sembrada de huérfanos desamparados de la mano de Dios y de los hombres). ¿Nun foste tóu sou banduerru de lus enfermus el que denuncióu 'l miou home paque me l'achuquinaren na cárxel d'Uviéu? (¿No has sido tu comedor, canalla de los infiernos el que ha denunciado a mi marido para que me lo asesinasen en la cárcel de Oviedo?). ¿Ya con lus fíus de Manolón el Gocheiru...? ¿Qué foi lu que fixiste conechus baldrayán? Que yeren un par de rapazus más bonus qu'el pan d'escanda qu'enxamás fixerun mal a naide, ya cundu taben per aquíndi de millicianus, ya tóu t'encovaxabes fugáu per les branes, tóus xapiemus na cabana que t'empayaretabes, ya tantu nuexóitres perque yeras veicín comu aquechus ñocentinus rapazus qu’achuquinasti deximiémuste xempre pa que nun te prendieren. Que fatiquinus forun lus probetayus rapazus, y'anxín pagarun con las sous vides les sous fatezas, pos se te viexen deñunciáu, nistes gores tabes fechu 'n meruxéiru de merucus, xustamente lu que yes, y'echus taríen vivus al lláu de lus sous pás. (¿Y qué has hecho con los hijos del Cerdero?, que eran un par de mozos más buenos que el pan de escanda, que no han hecho más mal los pobrecitos, que cuando fueron al servicio militar por la quinta; y estuvieron por estos contornos de milicianos, mientras que tu andabas por la braña huido, y sabiendo nosotros en la cabaña donde te refugiabas, no te hemos denunciado porque eras nuestro vecino, aunque tuvieras la idea política que te diera la gana, que no debe de ser ninguna, porque te parió tu madre canalla desde la entraña, pues como te estoy diciendo, tanto aquellos grandes rapazos como nosotros, te olvidábamos siempre para que nunca te cazaran. ¡Qué tontos fueron aquellos pobres y desgraciadinos muchachos, y así pagaron con sus vidas sus tontezas, pues si te hubiesen denunciado, a estas horas, tu estarías hecho una verbena de gusanos, que ni más ni menos es lo que eres, y ellos estarían vivos al lado de sus desesperantes padres!). Todos escuchaban a mi madre silenciosos y asustados, considerando algunos con tristeza, que mi madre se había vuelto turulata (loca) para atraverse a manifestar acusadoramente ante los guardias, el cura y el pueblo, lo que todas las gentes de la aldea sabían que era cierto, pero no se detuvo mi madre en el acuse que le hacía aquel villano de todas sus bellaquerías, pues al no encontrar nadie que la importunara, siguió con su palabra y con igual fuerza mortificándole de esta manera: —E nus tiempus d'endenantes, cundu lus roxus mandaben lu mesmu que vuexotrus facedis nagora, non trañia l'esquilona de l'ilexa p'axuntanus en conceyu p'uyír la misa tres el cura, perque pieschada taba la casa del Faidor, ya con lus curas lus roxus nagua querían, peru a pesar de tar tan lexus del Faidor, a naide s'achuquinóu n'aldea, ya se morrierun un par de rapazus, fói nel frenti, peru nagora que tenemus l’ilexa 'l entestate, y'un cura que coyius de la man quiér chevanus a tóus pel atayu de non sei que Dios, ya non sei que cielu, pos con tou isti telar, entremedáu de cures, ya caciques comu lu yes tóu, de confexones, mises ya xermones, achuquinasteis n'aldea 'n poucus dies, más xentes que de mala manera, enxamás de lus xamases en Asturies murrierun. Se tóu xupiés so lladrón achuquinante, lu mesmu que toes istes xentes que m'acorrelan, lu que you tenu xufriu nes comunicaciones de la muerte que se encaldaben na cárxel d'Uvieu, dúnde 'l miéu ya 'l espavoríu facien fuercia, únde 'l fríu enxenebráu la entraña te queimaba, únde les chárimes esbocáes en el glayíu xapoixaben, atristeyáus ya dollores qu'eszarapicaben, tous lus xentíus de cuantus escuchaban. Non puéu apoixar de mious videtches, lus güeyus enfervecíus de aquechus homes, qu'agoxáes allumbraben engafuráes chárimes, con les manes tembluqueántes per el miéu, acoyendu con desesperación las rexes de fierru, que non lus dexaben en postreira vez, abrazar a la sou muyer ya lus sous fíus, qu'ameruxáus de cariñu, ya betcháus de dollor, choraben ya glayaben, xiringáus per el amore que profexaben naquel home, que yera 'l pá de lus fíus, el mantín desous quereres, y’l caidonal del sou llare. Naide algamía per mor de aqueches rexes de fierru entemedades, falagar cómu postreira despedida, a la muyer nin al home, nin lus pequeninus fíus, que güerfaninus naquecha nueche diben quedaré, perque banduerrus baldreyus lu mesmu que tóu, lus deñunciaben y'acusaben de faer fatáus de couxes, que ni nel xoñéu lus probetayus dacuandu lleldaren. Tóus nun mirabamus atristeyáus per debaxu la borrina qu'acobertoriaba lus güeyus encarnispáus pe les chárimes, ya lexus de falanus tantes couxes, nel tiempu tan escosu que nus daben, esfaíamonus en playíus choramiqueirus llastimeirus e nes fanes más mortales. Enclicáus tous per un dollor que nes entrañes esquiciáu t'esgarduñaba, tabamus fatáus de xocenes muyeres que güéi toes viudes y'esgraciaínes semos, enlloquecides y'engarrinchades a les rexes que a la llibertá ya la xusticia trincotiaben. Nagua podiamus decinus, perque la pallabra afogábase na conguetcha qu’el alma esfaída pe la tristieza sacupaba, sous penares nel gargüélu, a munchus el dollor añuedábayes el celebru con tal prietura, que esmurgazábanse col xentíu perdíu nel enllabanáu xuelu. Alcuérdume comu s’agora mesmu fora, ya xamás de lus xamases tal desxusticiáu, endiañáu, baldreyóuxu ya chuquinamientu de xentes abondes d'eches tan iñocentes comu isti rapacín, que la mesma lley qu'achuquinóu a suo padre, martirizóulu a él, ante 'l cura, que mangonéa la mitá la aldea, y'isti banduerru de cacique dumeña entrambas partes, ya tous voxoutrus qu'empaparáus per el miéu, olvidósebus defender tou lo güenu per lu que lus vuesus homes llucharun ya morrierun ¡Sin alcuerdume d'aqueches canallesques comunicaciones que se lleldaben na cárxel d'Uvieu, ya non esborraránseme de les mious vidatches metantu que la vida me acompañe! (En los tiempos ya pasados, cuando los rojos mandaban lo mismo que vosotros hacéis ahora, no tañía la campana de la iglesia, para llamarnos y rejuntarnos a todos en fraternal comunidad, para escuchar la misa detrás de un cura, porque cerrada estaba la Casa de Dios, y con los curas los rojos no querían saber nada. Pero a pesar según parecía de que se encontraban muy lejos del Hacedor, a nadie asesinaron en la aldea, y si han muerto un par de jóvenes, ha sido luchando en el frente. Sin embargo ahora, que tenemos la iglesia siempre abierta y un cura que asidos de la mano, quiere llevarnos a todos por el camino más corto para alcanzar, no sé a qué dios, ni tampoco a qué cielo, pues con todos estos sucederes que ahora están pasando, entretejidos por los curas, y por caciques como lo eres tú, de confesiones, misas y sermones, habéis asesinado en la aldea en pocos días, más gentes que de mala manera, jamás de los jamases no contando estos tiempos, en todo Asturias han muerto. Si tu supieras so ladrón y asesino, lo mismo que todas estas gentes que nos rodean, lo que yo he sufrido en las famosas comunicaciones de la muerte que se hacían en la cárcel de Oviedo, donde el miedo y el pavor, hacían fuerza, donde el helado frío que el temor producía, al mismo tiempo las entrañas te quemaba, donde las lágrimas deslocadas en gritos lastimeros se posaban, haciendo tristezas y dolores tan inmensos, que despedazaban todos los sentidos de cuantos escuchaban. No puedo apear de mi cerebro los ojos enardecidos de aquellos hombres, que a cestadas alumbraban envenenadoras lágrimas, y con sus manos temblorosas por el miedo, cogían con desesperación las rejas de hierro, que les prohibían por última vez, abrazar a sus mujeres e hijos, que llenos de cariño y ricos de dolor, lloraban y gritaban desesperadamente, movidos por el amor que profesaban a aquel hombre, que era el padre de los hijos que quedarían ya para siempre desamparados, el amante esposo de sus quereres, y el fuerte guía de sus lares. Nadie alcanzaba por la causa de aquellas rejas de hierro fuertemente entretejidas, halagar como última despedida, a la mujer ni al hombre, ni a los amados y pequeños hijos, que huerfanitos aquella noche si iban a quedar, porque indeseables cobardes lo mismo que tu eres, les habían denunciado y acusado, de haber hecho muchas y malas cosas, que ni en el sueño los pobrecitos, jamás ni habían pensado. Todos nos mirábamos entristecidos, por debajo de la niebla que nublaba los ojos enrojecidos por las lágrimas, y lejos de hablar de tantas cosas en el tiempo tan corto que nos daban, nos deshacíamos en lamentos lastimosos, que nos precipitaban en los abismos más mortales. Agachados todos por un dolor que en nuestras entrañas enloquecido sin piedad las arañaba, estábamos en aquella triste ocasión, muchas jóvenes mujeres que hoy todas viudas y desgraciadas somos, enloquecidas y agarradas con desespero a aquellas rejas, que a la Libertad y a la Justicia pisoteaban. Nada podíamos decirnos, porque las palabras ahogábanse en la garganta, que el alma deshecha por la tristeza, vertía en ella sus penares. A muchos el dolor les aprisionaba el cerebro con tal fuerza, que se desvanecían privados del sentido entre las losas que poblaban el suelo. Recuerdo como si ahora mismo estuviese sucediendo, y nunca jamás, tal injusticia, endiablada cobardía, y canallesco asesinamiento de gentes, muchas de ellas tan inocentes como este pequeño, que la misma ley que asesinó a su padre, le está martirizando ahora, precisamente ante la presencia del cura, que es el dueño de la mitad de la aldea, y de este indeseable de cacique, que domina entrambas partes, y de todos vosotros que llenos y dominados por el miedo, os olvidasteis de defender todo lo bueno y hermoso, por lo que vuestros hombres lucharon y murieron). (¡Sí recuerdo aquellas canallescas comunicaciones que se hacían en la cárcel de Oviedo, y que ya nunca podrán borrarse de mis sienes, mientras que la vida me acompañe!). Recuerdo perfectamente cómo todas aquellas gentes escuchaban a mi madre entre asombrados, y compasivos, entre temerosos avergonzados y ofendidos, y quizás hubiesen escuchado muchas más injusticias que habían hecho no los caballeros y valientes soldados, que denodadamente lucharon hasta conseguir la victoria, ni tampoco las juventudes que militaban en el partido triunfador, sino las gentes maduras, caciques que habían conservado la vida en entrambos bandos, que llenas de un odio vengativo y endiablado, habían hecho ellas más muertes criminales en la paz de la posguerra que todos los leales luchadores de enemigos bandos. Digo yo que mi madre con su cordura de mente les hubiese seguido acusando, si el cura, muy oportuno y diplomático, como son todos los religiosos de carrera larga, no se ausentara sin decir palabra, y ordenara al sacristán que tocase la última campanada, para entrar a la iglesia con el fin de escuchar la misa. Y ahora diré, que mal dicho está que yo diga que el sacristán tocase la campana, porque no había tal campana, ni en la iglesia de mi aldea ni en ninguna otra en todo el valle, ya que los rojos, se las habían llevado todas, no sé con qué fin ni propósito, como tampoco puedo comprender porque quemaban los santos que jamás les harían ningún daño, y dejaban con vida a indeseables como los caciques asesinos de mi aldea. Lo cierto es, que como campana de la vieja iglesia de mi aldea, había un trozo de raíl colgado del pórtico con una alambre, donde aporreaba el sacristán, con un martillo medio deshecho de los de cabruñar la guadaña. Nada más que el toque comenzó hacerse sentir, fueron las gentes desfilando tras la llamada de la postrera campanada, sin que nadie se osara replicarle a mi madre ni tan sola una palabra, bien fuese de desagrado o de conformidad con cuanto había enardecidamente manifestado. Todos se adentraron en la casa del Señor donde yo creo, que si el Nazareno pudiese apoixase (apearse) de la Cruz, no dudo que a todos ellos una tocata de barganazus les esfargayara. (Paliza de palos que en ellos prodigara). Dejó mi madre de reñir a voz en grito, pero siguió haciéndolo muy quedadamente, a la par que con gran remango recogía su cesta, que colocándola esta vez debajo el brazo, nos encaminamos para nuestro lar, mientras que aquellas gentes, culpables unas e inocentes las otras, le rogaban a Dios, los unos por sus pecados monstruosos ya cometidos, que en El no habían pensado cuando los ordenaban, los otros, quizás le pidieran paz y prosperidad para ellos, sus cosechas y ganados, pero Dios no escucharía ni menos ayudaría, ni al pecador tal vez arrepentido, ni al inocente libre de pecado, y lo sé por propia experiencia, porque yo, tantas veces le he llamado, suplicado y rogado, siempre a cuestas con el temor, la miseria y el desprecio que el mundo en mi había sembrado, y jamás El se dignó ni tan siquiera escucharme, porque si me hubiese escuchado, y no remediara con prontitud ni nefastoso sufrimiento, yo diría ya sin el menor equívoco, que el Dios que todos tememos y adoramos, no es nada más que un diablo. Y esto sin lugar a dudas es así, porque Nuestro Señor está harto de nosotros hasta la misma coronilla, y por eso pensó ya en inmemoriales tiempos, que o liquidarnos a todos, y olvidarse sin pena y con prontitud del mal invento que había industriado, o dejarnos vivir a nuestro aire, sin preocuparse ya para nada de nuestros haceres, hasta que la muerte nos lleve a su presencia. Caminaba yo detrás de mi madre, sujetándome con la mano mi dolorosa y sangrante oreja, que más doloroso sufrimiento me había reportado, cuando aquel imbécil y canalla de guardia me la había retorcido, que si me hubiesen molido todo mi cuerpo a palos. Llegamos a la postre a nuestra humilde casa, y siempre sin parar de reñir mi madre, de maldecir y de amenazar, estongóu 'l llar (limpió la cocina) de añejas cenizas, y con la rapidez con que ella solía hacer las cosas, tizóu ‘l fuéu (prendió el fuego) y después, puso un cazo lleno de agua con sal y unas hierbas (que ahora no sé cómo se llaman, pero que son muy buenas para las heridas) a hervir, y mientras que hervía, s'encaldóu nel trabayu de pulgar patacas (se hizo en el trabajo de mondar patatas), de las que había traído de la aldea de donde venía. Cuando el agua estuvo en su punto, que fue en el momento que ella terminara de aliñar las patatas ya listas para ser fritas, se dispuso mi madre a curarme, y al tenor que lo estaba haciendo, y viendo yo en su rostro retratado el cariñoso sufrimiento que por mí sentía, ella como siempre intentando disimular toda emoción, me preguntó dando muestras de un enfado cariñoso, ¿que qué era lo que había sucedido, o en qué líos me había yo alojado, para que los guardias me hubiesen puesto el rostro como un Ecce Homo? —Díjele a mi madre que el guardia no me había hecho nada más que estrapayáu l'uréa (deshecho la oreja), y que las otras heridas me las proporcionara el amo Manín, por las causas del condenado cabrón que ustedes ya saben. —Vi cómo las recias manos de mi madre temblaban al tenor que a mis heridas con aquella agua milagrosa me lavaba, sentí cómo su voz enardecida juraba y perjuraba contra aquel Manín de los infiernos, al cual ella decía, le iba a colgar la foiz (hoz) del pescuezo. Dio por terminada mi cura y en instantes me preparó la comida, que consistía en un buen cazo de patatas fritas con grasa de tocino, un gran cantezu (pedazo) de pan de escanda, y un escudiecháu de lleiche con borona (taza de leche con pan de maíz), y ya fartuquín fasta ‘l rutiar (harto hasta el eructo), preguntele que si podía ir a dar una vuelta por la aldea, a lo que ella me respondió afirmativamente, recordándome con amenazas, el que non m'engarricra con lus oitres rapacinus. (Que no me pelease con los otros niños). Cuando me dirigía al lugar donde todos los chicos por costumbre teníamos de reunirnos para enredar (jugar), en una de las callejas de mi aldea, me topé con Pelayu, que seguramente habría abandonado a su amo en el monte, por el extraño de no verme a mi como sucedía siempre. ¿Porque qué animal o persona con sentimientos nobles y cariñosos, podría vivir en la soledad del monte en la compañía de una repugnante bestia, como lo era Manín nuestro amo...? Viome primero Pelayu que yo a él le avistara, y casi estoy por asegurar, que me había olfateado antes de que yo desembocara en la calleja, donde él buscándose la vida por todos los rincones husmeaba. Porque yo jamás había visto a Manín, darle al pobre de Pelayu de comer nada, ya que Manín solía decir dándoselas siempre de razonero eficiente, que el perro no se le podía dar la esllaba óu llabaza de fregar lus cacíus (las aguas sucias residuos de lavar los cacharros de la cocina) porque estaban los bracus na cobil urniándu per llapalas (cerdos en el cubil gruñendo por tomarlas), que al perro lo único que se le podía dar, era aquello que no tuviese aprovechamiento para nada, como les llixes de les vaques cundu betchaban, de las uvées ya les cabras, óu cuallesquier oitra molicie que paque nún fediera menester yera encuandiála (como las libraduras de las vacas, de las ovejas y las cabras cuando parían, o cualquier otra porquería que para que no oliese mal, fuera necesario enterrarla). Vino Pelayu hacia mí envuelta su alma perruna por una gozasa alegría, pero me di cuenta con pena profunda, que no hacía tal acercamiento dentro del desenfado y gracial camaradería que en todas las ocasiones él conmigo usara, pues por primera vez mi buen Pelayu, para acercarse a mí, rastreramente se arrastraba, no era por el miedo de que yo le apaleara, ya que jamás ni de palabra le había ofendido, era sin duda porque se sentía muy avergonzado de haberme abandonado la pasada noche, cuando tan triste y solo me encontraba, y quizás más le necesitara. ¡Pobre Pelayu! ¡Qué alma más humana tenía, y a cuántos humanos, el alma de los rabiosos perros les dirigía! Me agabuxé (agaché) a su lado, envuelto yo por una sana, jovial, y angelical alegría, le besé su rostro varias veces entusiasmado, y acaricié con gozo su fino y sedoso cuerpo, y olvidándonos entrambos él de su cobardía y yo del rencor que pudiera por su gesto guardarle, nos fusionamos en un abrazo risueño y cariñoso, donde él dando pequeños ladridos por los que manifestaba su alegría y pena, me lamía una y mil veces las heridas que adornaban mis mexietchas (mejillas), y quizás se estuviese jurando, que aunque le costase la vida, nunca de mi lado se alejaría. Toda aquella tarde, estuve jugando al «llanque» y a la «palombietcha» con el único amigo de verdad que en la aldea tenía que se llamaba Muel. Pobre amigo mío, murió cuando apenas tenía veintiocho años, reventado por el más duro y esclavizante trabajo, que desde su niñez y en mi compañía, fustigados por el hambre y la necesidad, entrambos y dos a las severas órdenes de su padre, como serradores en casi todos los montes de mi Asturias, habíamos llevado a cabo, al final, su cuerpo ya deshecho, explotado y gastado, fue consumiéndose en la triste soledad del sanatorio del Naranco, donde murió devorado por una tisis galopante. Tenía Muel dos o tres años más que yo, y sin embargo éramos los dos de la misma estatura, y empezamos a serrar madera manualmente los dos en el mismo día, teniendo yo en la sazón, tan sólo trece años, fue nuestro maestro su propio padre, y nos trataba como nadie se puede imaginar, ya que no había día, que no nos untara ‘l focicu (nos azotaba) por lo menos un par de veces. No es que aquel hombre y excepcional trabajador fuese malo, no nada de eso, es que el pobre precisaba por fuerza mayor, para poder desarrollar el duro trabajo del serrador, que nosotros hiciésemos el trabajo de hombres y no éramos nada más que dos niños. Digo yo que aquella tarde, le conté a mi amigo Muel, como había encontrado en la montaña la cueva de las armas, y así hablando de nuestros proyectos, acordamos que al día siguiente subiríamos hasta ella, para jugar hasta cansarnos con aquellos juguetes de verdad. Así es que a la oscurecida retornamos cada uno para su casa, saboreando por adelantado lo felices que al día siguiente habíamos de ser. Caminaba en pos de mí, tan contento y satisfecho como siempre mi buen Pelayu, sin preocuparse para nada de que él, era un esclavo de Manín, y no un ser libre que pudiese hacer lo que más le conviniese, pero al llegar a la esplanada donde asentada estaba la bolera, lugar clave donde se reunían todos los vecinos de la aldea, después que concluían sus trabajos, bien fuese para charlas y cambiar impresiones, o para jugar unas partidas a los bolos, como cuento, allí estaba Manín, en diálogo con unos vecinos, ya de retirada para su casa después de haber encerrado las cabras, cuando vio a su desleal Pelayu, que muy contento y moviendo con gran felicidad su rabo, me acompañaba a mí, como si yo fuese en vez de él su amo, dejó a su contertulio con la palabra en la boca, y cambiando su pacífica charla por la riña loca, embistiome a mi con ofensiva y pecaminosa palabra, al mismo tiempo que con la vara que portaba en su mano, descargó sobre el confiado Pelayu tal varazo, que a quedarse el pobre tan sólo un segundo condoliéndose del acuciante dolor que en su cuerpo se anidaba, seguramente que hubiese llevado sobrada ración de varazos, que fácil la dejarían sin vida in situ. Pero no hizo tal cosa mi buen Pelayu, sino que salió huyendo como alma que se lleva el diablo, lanzando en el aire ladridos, que yo creo que no eran por el profundo sufrir que le proporcionara el castigo, sino que en su lenguaje, seguramente maldeciría aquella bestia con figura humana, que era capaz de azotar despiadadamente a un inocente niño, o de asesinarle a él mismo, que no se encontraba con más culpa, que de despreciar a su amo, por canalla y miserable. Y lo propio que Pelayu hizo, no lo dejé yo para más pensado, y a la vez que me perdía en la carrera, huyendo de aquel reptil repugnante y asqueroso, recuerdo que con rabia enloquecida yo le dije: ¡Fíu de put, baldreyu, llimiagu! (Hijo de puta, cobarde, rastrero, baboso..., etc., etc.). Pero miren ustedes por donde, estaba mi madre allí cerca en casa de una vecina hablando de sus cosas tranquilamente, cuando al sentir al Manín que me ofendía, al perro ladrar por la caricia que había recibido, y a mi insultándole poniéndole como un pingayu (de lo peor), salió mi madre de casa de su vecina, con todos sus muchos ánimos aviesporáus (envenenados, aguijoniantes), y cogiendo un palo que allí a mano había, bien seco y sudado, porque hiciera su servicio sirviéndole de mango a una fexoria (azada), se dirigió con extrema rapidez y silenciosamente al lugar donde Manín estaba, y sin decirle ni una sola palabra, empezó a darle palos con aquel formidable mango, que la suerte a Manín le cupió de que nuestros vecinos la detuvieran, porque sino, creo que le hubiese matado. «LA MULTA O EL REFORMATORIO» Al día siguiente, mi amigo Muel, yo y Pelayu, subíamos alegremente hacia la montaña, con locas ansias de llegar pronto a la cueva, con el infantil y firme deseo, de jugar hasta saciarnos con aquellas armas, recuerdo a mi querido amigo, futuro candidato al igual que yo, a la penosa esclavitud que como serradores nos aguardaba, la veo con su sana sonrisa, pintada en sus pequeños y vivarachos ojillos azules, acariciar una y otra vez, con una alegría inmensa aquellas armas, no existía para nosotros en el mundo, en aquellos felices momentos, nada que pudiésemos apreciar tanto, como aquellos mortíferos juguetes, de los que en la sazón, éramos los únicos señores y dueños, nos hallábamos fuera de la cueva, enredando cada uno con su escopeta, y una canana repleta de cartuchos colgada del hombro a la bandolera, Pelayu, desentendiéndose de nosotros mitigaba su hambre cazando grillos y mariposas, o cualquier otro insecto que plugiérale y fuérale rentable para entretener su enflaquecido estómago. Después de cansarnos de hacer la instrucción marcando el paso con la escopeta al hombro, emulando a los soldados cuando hacían prácticas en nuestra aldea, yo le dije a mi amigo señalándole el lugar, que desde aquel mismo sitio, yo había tumbado de dos certeros disparos al cabrón de mi amo. Muel, sacando dos cartuchos de la canana y metiéndolos dentro de la recámara de su escopeta, me dijo que él también pudiera haberlo hecho, y para asegurármelo de que no marraría el tiro, me señaló una piedra rojiza que había muy cerca de donde muriera el chivo, y a la par que se ponía la escopeta en el hombro para materializar lo que había asegurado, me decía ilusionado: —¡Fíxate Xulín!, ya veras cómu la desfaigu nun fatáu de cachiquinus—. (—¡Fíjate Julín!, ya verás como la deshago en mil pedazos—). El doble disparo retumbó dentro del natural silencio de la montaña, como si se tratase de un ruidoso trueno de las tormentas de los veranos, las águilas y los cuervos, así como todos los pájaros y animales que moraban por aquellos aledaños, moviéronse de sus lugares, graznando las aves al levantar el vuelo, y quizás las alimañas agudizasen al oído para saber el peligro que pudiese traerles aquel espanto. Hasta Pelayu dejó su caza insectívora para ladrar desaforado, como si presintiera que otro cabrón había sido abatido, que le haría de nuevo volver a hartarse, o tal vez nos estuviese reprimiendo, queriendo con su lenguaje decirnos, que aquella xuxeante folixa (crecido ruido, alegría, juerga, etc., etc.) que tan amanicomiadamente entamábamos (enloquecido ruido que hacíamos) no iba a reportarnos buenos resultados. Lo cierto fue que mi querido amigo Muel, no atinó a deshacer aquella rojiza piedra contra la que había disparado, y yo alegrándome por su fracaso, cargué con rapidez mi escopeta, me la puse en el hombro, y disparé contra aquel blanco otros dos disparos, tampoco pude yo hacer puntería, y él mofándose de mí, cargó de nuevo su escopeta con notoria alegría, a la vez que me aseguraba que de aquella no fallaría, volvía a disparar sin importarle para nada el tremendo culatazo que nos solían dar aquellos guerreros artefactos. Y así, una y otra vez, atenazados por un gozo y felicidad que nunca con tanta fuerza a nuestros juveniles espíritus había con entera libertad creado, disparábamos con alegría ilusionada contra aquel aproxetáu cuctu (enrojecida piedra), creyéndonos guerreros invencibles, o cazadores afamados. Muy posible yo me creyera un jefe poderoso, justiciero y honrado, que cada disparo que hacía, l'eszarapaba les vidatches d'uno de lus baldreyus homes, que habíen achuquináu ‘l miou padre. (Le deshacía las sienes de algunos de los cobardes hombres que habían asesinado a mi padre). Lo cierto fue, que tras de quemar veintitantos cartuchos cada uno, la piedra seguía en su sitio, y nosotros un poco desilusionados, hicimos un pequeño descanso, en el que acordamos cambiar de blanco. Disponíamos de nuevo hacer más atinadas prácticas sobre el rugoso y fuerte tronco de una encina, cuando Pelayu salió de junto nosotros y con apremiante prisa ladrando, contra un intruso que nos visitaba, guiado al parecer por el atronador ruido, que con nuestros alegrativos disparos formábamos. Era nuestro mal recibido visitador un rapazacu (mozalbete) que andaba por aquellos montes a la caza de la perdiz, que había endemasía nutridos bandos, que bajaban a veces hasta los sembrados d'arbeyinus y'oitres semáus (de guisante y otros sembrados) más alejados de la aldea, y ni el gran espantapáxaru tenía llixa de xebrayus (espantapájaros tenía fuerza para espantarlos). Jerónimo se llamaba aquel jovenzuelo indeseable, que había heredado de su padre toda la cobardía y males tales, que muchas gentes de mis lugares, le estarían rabiosa y odiativa, despreciable y asquerosamente maldiciendo, hasta que el Hacedor les llevara de este mundo tan poco lleno de humanidades. Era hijo de este sujeto tan maldecido, cacique de mi aldea con vuelos tales, que no del todo satisfecho con enviar para el otro barrio algunos de sus inocentes convecinos, en el acaecer se dedicaba, a que a sus vecinos la ley, que había, muy moldeable para dar por buenas todas las denuncias avaladas por caciques facciosos como él, se ensañara con crecidas multas, que al no tener dinero la gente aldeana para satisfacerlas, tenían que vender parte de sus ganados, y sabedores los tratantes por ser lobos de la misma camada aunque con diferente collor (color), que los campesinos tenían que vender sus reses con abonda priexa (mucha prisa) para satisfacer aquellas multas antes que se enrodietcharen (enredaran) peores males, pues como cuento, aquellas aves de rapiña de tratantes, se unían todos de tal manera, que lograban desbaratar los mercados hasta tal punto, que más que comprar, lo que hacían, era robar dentro de la ley a los aflijidos y siempre maltratados campesinos. Al quedarse los desdichados aldeanos sin sus ganados, por la causa de aquellas multas, que la verdad era nadie sabía que era lo que castigaban, aquellas asesinantes multas que la ley les inxertaba (injertaba), que les hacía dentro del acuciante temor que en aquel lleldar (ácaecer) era aterrante, deshacerse de sus ganados para pagar tan diabólicas y desnaturalizantes sanciones. Y como los campesinos, por lo menos en todas las embrujadoras aldeas de mi melgueira tierrina (dulce tierra), y me supongo que tal sucederá en todas las aldeyuelas del mundo, sin ganados de tiro no pueden trabajar sus erus (tierras), tenían que por fuerza mayor, agenciárselo aunque fuese dentro de las más viles condiciones, y así, el canalla de cacique de mi aldea, daba vacas, yegüas, cabras, y ovejas a la comuña (condición) que tan sólo el agobio de la desesperante necesidad hacíales aceptar, con lo que se condenaban a ser esclavos de un ganado que no era de ellos, siendo en la mayor parte de las ocasiones las ganancias completamente nulas, pues si una res se moría, se despeñaba, la mataban los lobos o la devoraba el oso, no la perdía el dueño, sino el comuñero, y así, de esta miserable forma, este canalla de cacique, explotaba vilmente a muchos campesinos que por imperativa necesidad, eran comuñeros de este indeseable asesino, que no había hecho la guerra en las trincheras, porque su cobardía era tan grande, que le había obligado a pasar toda la contienda escondido en los montes, y ahora que la guerra ya terminara, era cuando él verdaderamente la hacía, en la entristecida y enlutada paz que poseían las gentes de mis aldeas. ¿Cuántos despreciables seres como este nefasto individuo había en mi Patria... ? ¡¡Yo creo que honradamente debemos todos de reconocer, que había un par de ellos en cada aldea, y en las villas y ciudades me supongo que morarían muchos más!! Cuento que llegó el Jerónimo con su escopeta al hombro acompañado de su perro perdiguero ante la nuestra presencia, y ufanándose altaneramente quizás pensando que nos iba a hacer, lo que le diera la gana, nos dijo con apariencia muy enojada, al mismo tiempo que nos ofendía con sus palabras: ¡Haber decirme pronto, ¿dónde habéis robado estas escopetas?, si no queréis que vos falague ‘l llombu con ista bardiaca! (que nos moliera a palos todo el cuerpo con una vara que portába en sus manos). No despegó sus labios en el momento mi amigo Muel, porque el padre de aquel llabasquín (cerdo pequeño) era el dueño de los ganados de su casa, y por aquello de que el amo siempre, sin la razón con la ganancia anda, no le refutó pequeña palabra. Pero yo que ya me había creído que aquel babayu de guaxón (farolero, fantasma de mozalbete) se iba apoderar de mis armas, las que yo creía que eran de mi entera propiedad, le dije sin miedo y desafiantemente, que aquellas escopetas eran mías, y que ni él ni nadie sería capaz de quitármelas. Entonces Jerónimo mirándome acusadoramente me replicó seguidamente con estas palabras que me condenaban: ¡Entonces... tu fuiste el que mató antes de ayer al chivo de Manín? ¡Si yo fui!, le dije envalentonado y poseído de una airada rabia, a la vez que le encañonaba con la escopeta y amenazándole firmemente le aconsejaba: ¡Fáinus el favore de dexanus nel nuexu antroxu, ya colar pel mesmu xeitu per únde sen chamate 'llegasti, se nun quiés que faiga nel tou ventrón, el mesmu buracu quei fexe nus fégadus del cabrón de Manín! (¡Haznos el favor de dejarnos con nuestra alegría, y márchate por el mismo sitio, por donde sin llamarte has llegado, si no quieres que haga en tu barriga, un orificio parecido, al que le hice en los hígados del cabrón de Manín!). —Y fue entonces cuando Muel valientemente apoyándome con su amenazante escopeta y con sus advertientes palabras le dijo: ¡Mira Jerónimo, no tiene nada que ver que mi padre se arrastre frente a vosotros, por el miedo de que le quitéis el ganado, pero yo ahora no soy mi padre, y si no sales en el momento corriendo como una exhalación (centella, rápido), me parece a mí, que te vamos a coser a perdigonazos! Justificándose Jerónimo con el atropello que en el miedo se cosecha, dio media vuelta y casi a las carreras, tomó las de villadiego, a la par que se alejaba murmurando no se qué amenazas. Su perro, quedose unos instantes olisqueándose con Pelayu, al que yo achuché (azuzé), y Pelayu que para engarradiercharse (pelearse) era una ardorosa fiera, saltó como un león, atacando con un furor endemoniado al fino can perdigonero, y si no es por Muel, me parece que allí en el mismo lugar que había muerto el chivo, Pelayu hubiera despachado, aquel hermoso, cariñoso e inocente perro. Quedámonos muy satisfechos y gozosos, a la par que en nuestros espíritus, navegaba el orgullo perfumándose con la vanidad Humana, y todo, por haber acoyanáu ya féchule moscar ameruxáu de miéu (acojonado y haberle hecho huir, lleno de miedo) al hijo de uno de los amos de la aldea, que en un principio se había creído, que le sería sencillo hacer con nosotros cuanto le viniese en gana. Durante algún tiempo, estuvimos llindiándu (vigilando, cuidando) a Jerónimo por ver el camino que se tomaba, pues teníamos el temor que se ocultara para después sorprendernos, pero no fue así, y al final muy contentos ya le vimos corriendo que se las pelaba en compañía de su perro, desembocando en el pedregoso camino que le conducía a la aldea. Sabiéndonos libres del temor del adefesio de Jerónimo, y olvidándonos en el mismo instante de cuanto con él nos había acontecido, volvimos a nuestro peligroso juego, de disparar las escopetas contra diferentes blancos, y así, hablando de nuestras cosas con satisfacción que nos embargaba dentro de una felicidad pasajera, deslizábase el tiempo sin enterarnos, hasta que a la postre, dimos fin a todos los cartuchos que teníamos, y fue entonces, cuando decidimos esconder las armas en la cueva, y con los hombros doloridos por las sacudidas que nos propinaban las escopetas por los disparos, disponíamosnos muy contentos en el regreso para nuestras casas, y para simular que veníamos de la leña, agenciámosnos unos tochacus de pochiscus (leños de encina) y poniéndonoslos al hombro, bajamos corriendo por entre los vericuetos y las serpenteantes sendas, hasta llegar al camino real que nos conduciría a la aldea. El ubérrimo valle de alegría alborazada, que poblaba por entero nuestros espíritus, viose en unos segundos nublado y con rapidez cubierto, por un zozobrante y temeroso manto, nacido del retrato que nuestros ojos hicieran, cuando a la entrada de la aldea, justamente en el mismo lugar donde por costumbre, mi amo solía esperarme para xebrar (apartar) sus cabras, estaban aguardándonos los guardias, en la alegre compañía de Jerónimo, que poseyendo las mismas indeseables zunas (costumbres) que su padre, no había perdido ningún tiempo en ir hasta el cuartelillo para delatarnos. Yo tentado estuve cuando me percaté que eran los mismos guardias que el día anterior me habían cobardosamente martirizado, de tirar los garbetus (leños) que llevaba en el hombro, y salir corriendo para huir de aquel verdugo que sonriéndose ladinamente, quizás estuviese pensando su enrevesada y nefastosamente, el volver a esforgayame (arrancarme, estriparme, deshacerme) la única oreja que me quedaba sana. Sin embargo, logré dominar el miedo, y dejando a Muel que abriera la marcha, llegamos a la postre ante la presencia de ellos, y aquel canalla de guardia, no se dirigió a Muel a pesar que unos metros delante de mí iba, sino que vino sonriendo malignamente hacia mí, con las mismas asesinas intenciones que el hambriento lobo lleva, cuando para satisfacer sus ansias del espíritu y la carne, sin el menor miedo se lanza, sobre el inocente corderillo que no tiene a nadie que le defienda. Antes de dirigirme la palabra, aquel demonio con tricornio, que a fe mía desprestigiaban, porque hermosa para el pueblo es la esclava de la Justicia, cuando todas sus obligaciones y credos justamente da cumplidas. Digo yo, que lo primero que hizo fue cogerme mi oreja sana, apretarme un poco para ponerme en atención, y luego mirándome altanera y sonrientemente me dijo: ¡Ahora ya no me negarás de que no has sido tu quien disparó sobre el cabrón de tu amo, y me supongo que también me dirás, dónde has conseguido las armas, maldito pilluelo, hijo de una bruja y de un rojo republicano, o comunista sin entrañas! Tiré los tochucus (leños secos) al suelo apremiado por el dolor que de rabia me desencaldaba (deshacía), con tan mala fortuna que por mí no había sido pensada, que diéronle en las piernas de aquella fiera uniformada, y gran dolor en él tuvo que lleldarse (hacerse), porque dejó de esfarugarme (deshacerme la oreja), para acariciar con gestos de dolor la caña de una de sus piernas, al mismo tiempo que yo hacía lo propio con mi oreja, que ya colorada como una guinda, me resquemaba como si estuviese ardiendo. Mirome con ojos extraviados por la rabia que le enloquecía, y siendo mayor la fuerza de su cobardosa entraña ya en poder de las iras que lo movilizaban, que el dolor que su cuerpo sentía, soltome de revés dos guantazos, que dieron conmigo en tierra, con el rostro manando abundante sangre. Fácil siguiese abofeteándome, pues ya estaba enclicándose (agachándose) para hacer conmigo vayan ustedes saber qué, cuando intercedió su compañero que asiéndole por un hombro, con desprecio y enfado le dijo: ¡Lo que terminas de hacer con este pequeño es una canallada, y como otra vez intentes tocarle del pelo la ropa, te las vas a entender conmigo! ¡¡Estoy harto de tus abusos, y de tus odios y desprecios por todas las gentes desgraciadas!! Ayudome aquel buen guardia a levantarme, y después con su propio pañuelo limpiábame el rostro de sangre, y al parojo que esto hacía cariñosamente me decía: ¡Te juro que nadie te volverá a martirizar más pequeño, y ahora si tu quieres, y que conste que ni te ordeno ni te obligo a contarnos nada, dinos de una vez dónde están esas malditas armas que tanto doloroso daño te han originado! Dime cuenta pronto que de seguir negando no sacaría en limpio nada, ya que el baldroyán (cobarde) de Jerónimo había descubierto ya todo, y a poco listos que fuesen, nada más que les conduciese al lugar donde nos había sorprendido, darían pronto con la cueva, donde se ocultaban las armas. Así que acompañado de Muel y de Pelayu, y seguido de cerca por los dos guardias y el delator de Jerónimo, guielos a paso rápido por entre las vegetativas y pedregosas sendas que serpenteaban por casi inaccesibles lugares, pronto me alegré al comprobar cómo aquel despreciable guardia que tan sañudamente me había martirizado, abarquinaba (respiraba) con penoso trabajo, al mismo tiempo que se deshacía en copiosos sudores el condenado, lo mismo que la manteca fresca expuesta al sol en el verano. Al observar el penoso esfuerzo que aquel guardia repugnante y gordo, imbécil y malvado, tenía que realizar para seguirnos, apreté más aun el paso, que casi se convirtió en carrera y que sólo Muel y Pelayu pudieron aguantarme alejándanos en cuestión de segundos un largo trecho de nuestros enemigos, que en el lleldar (acontecer), ya se habían detenido para hacer acopio de energías unos momentos. Aproximadamente aun no habíamos caminado ni una décima parte del trayecto que nos separaba de la cueva, y ya el llimiagu (baboso) de aquel guardia, se encontraba casi d'afechu despaxaretáu (deshecho), seguramente que antes de llegar al final, en la mente de aquel fucheiru (estercolero) humano, se dibujaría el ruin pensamiento, de maldecir a la ley que como enyordiáu pioyu (sucio piojo) servía, al cachiparru (parásito) que me había delatado, y a mí, por no haber seguido negando. Muel y yo con satisfacción nos reíamos de aquellas gentes, que en nuestras infantiles y sin cultivar mentes, habíamos retratado como personas que tenían menos llixa (fuerza, arte, valer, etc.) que un mure entre las zarpas de un gato. Estaríamos como a la mitad de la andadura, cuando la distancia que nos separaba ya era enorme, y a pesar que de continuo nos ordenaban que no corriésemos tanto y que procuráramos ir siempre a su lado, la verdad es, que ya les habíamos perdido todo miedo y que no les hacíamos el menor caso. Fue entonces cuando se me ocurrió la idea de decirle a mi amigo Muel, que cuando llegásemos al potchisquéiru (encinal), yo me adelantaría corriendo con todas mis fuerzas, para volver aquel mismo lugar antes que ellos lo hicieran, pero después de haber ya ido a la cueva, para poder esconder para nosotros, dos pistolinas muy atongadetas (bonitas, curiosas), que era una pena que se llevaran los guardias, y que nosotros podíamos esconder en cualquier lado. Y así lo hice, y logré regresar, mucho antes de que ellos, llegaran escadriláus (derrengados), claro que descontando a Jerónimo, porque éste andaba tanto como con la lengua si quisiera andarlo. El caso fue que los guardias aquel día se llevaron las armas, y a los cinco o seis días, regresaron a la aldea preguntando por mi madre y el padre de Muel, para llevarles hasta el cuartelillo, con el fin de no sé qué preguntarles o darles. Cuando mi madre en compañía del padre de Muel regresaron del cuartel, estábamos nosotros xugaretiándu (jugando) debajo del ñoceón (nogal grande) que había a la entrada de la aldea, que tanto como tenía de frondoso y grande, eran de pequeñas, escasas e insípidas sus nueces. De donde viene un adagio asturiano que dice: ¡Mucher grandie ande óu non ande, peru tantu s'espatuxa, comu senún lu fixera, en dalgún lláu fae bona atongadura! (Mujer grande, ande, o no ande, pero tanto si camina, como si no lo hace, por grande en todos los lugares estorba). «Claro que se me olvidó decir, que menos en el catre, para añuedar el cibietchu cundu nun hay oitra, pequenina, atongaina ya melgucira». (Para hacer el amor, cuando no hay otra, pequeñita, bien hecha, y tan dulce como lo que debe ser vivir en la gloria). Digo yo que al ver nuestros padres corrimos hacia ellos, y cuando ante su presencia nos encontramos, casi sin darme cuenta vi a mi amigo rodar por el suelo, por la fuerza vigorosa del tremendo castañazo que su padre le llantó nuna mexietcha (le plantó en una mejilla), pero antes de que yo me percatara del peligro que sobre mí se cernía, vime acochetáu (cojido, sacudido) por mi madre, que me allumbróu (alumbró) un mamplenáu (muchos) pescozones, tan seguidos y atinados, que me parecía que todos me llegaban en ringlera, no teniendo que esperar uno por el otro, para que no se enfadasen ninguno. Y allí mismo por este procedimiento que nuestros progenitores nos hacían, comprendimos que nada bueno los guardias a nuestros padres les habían hecho. Y claro que no era nada respetable ni justo, sino un atropello despiadado, inhumano, mezquino, repugnante y apartado de la Justicia a tanta distancia, como la que existe desde la Tierra hasta el Infinito Cielo. Resulta que la canallesca ley que en aquella para mí inolvidable época existía, nos había condenado a ir a un reformatorio, o a que pagasen nuestros padres una multa de ciento cincuenta pesetas en papel del Estado, en el término de treinta días. Y fue entonces cuando yo empecé a preguntarme, ¿que qué era lo que tenían que reformar en mi...? ¿Acaso entraba en la reforma que aquella ley que estaba por todos los rincones de la Patria haciendo encima de los vencidos y sus descendientes, asesinar a nuestros padres, hermanos, parientes y hasta madres, privarnos de nuestra libertad, y robarnos cuánto teníamos? —¿Aquella ley digo, todavía tenía que reformar algo más en mí, que en un principio ya no hubiese inhumana y endemoniadamente reformado? Yo que era en aquel lleldar un pobre niño de poco más de ocho años, condenado precisamente por la misma ley, a no tener jamás ya el amoroso cariño de mi padre, yo que había sido condenado como todos los jóvenes hijos de los vencidos y encarcelados y asesinados padres, yo que estaba lleno de hambre, de miseria, de sufrimiento y de una soledad inconsolable, yo que si quería comer un trozo de pan duro, tenía que caminar descalzo y medio desnudo, por entre las zarzas y guijarros de las montañas, esclavizando mi cuerpo y mis sentidos, en el cuidado de unos ganados que no eran míos, a mí, a un ser así de natural, puro, desamparado y desgraciado, ¿aún quería aquella entroyada (sucia) ley reformarme por considerarme malo? —Yo nunca he sido político, pienso ahora, ni tampoco con mis palabras harto vulgares y aldeanescas, pretendo fomentar el odio hacia nadie, soy ante todo un liberal disciplinado, que ama a mi Patria, por la que estoy en cualquier momento dispuesto a morir, pero me creo con el suficiente derecho de contar al mundo de cuanto yo he sufrido, que es el retrato de tantos otros huérfanos de guerra que lo mismo que yo tanto sufrieron, aunque más en duda, pongo que lo hubieran hecho, quiero contar todo lo que considero que siendo verdad, no debe ser olvidado, y desearía con toda mi alma, que mis palabras tuviesen repílos (ecos) más clarividentes, que los que en su origen se formaron, para que llegasen a todos los oídos, y en sus mentes gigantesca Humanidad digna y justa edificasen, que diera paso a una libertad liberal y disciplinada, que atrancase (cerrase, peslase) sus puertas a todo cuanto no fuese digno y honrado, de esta sencilla y natural manera, la fraternidad sería por primera vez, el tesoro más puro, luminoso y deseado, que la Humanidad en toda su existencia hubiese conquistado. En este relato, que para muchos críticos comedores, que sólo saben fartase comu gochus (comer como cerdos) e intentar con sus medios deshacer lo que alguien con más capacidad creativa que ellos, más bien o peor ha edificado, digo yo, que muchos críticos fanáticos defensores de normas idealísticas, que con sus leyes en la ocasión asquerosamente convencionales, que lograron deshacer el destino que a mi vida creo que le pertenecía, al igual que a toda la generación de los hijos de los perdedores, no les agradara en absoluto, que un hombre que fue despojado de cuanto poseía, y empujado vengativa y canallescamente al arroyo, cuando él por ser un niño, no podía defenderse, tenga ahora la osadía, con sus pobres medios culturales, d’abayucar la trelda (revolver la porquería), que nadie hasta el presente, tan ajustada y verídicamente pudiera contar jamás. Digo porquerías, pues es eso precisamente lo que suelen dejar las secuelas de una guerra civil, y pobre de aquellos países que la sufran, porque sus hijos quedarán divididos, y los perdedores, tendrán que soportar un yugo, que más flojo, o menos prieto, esclavizándolos los ha de postergar. En este relato retrato yo, al vencedor y al vencido, menos al perdedor de quien soy hijo, ya que he tenido la desgracia de conocerle cuando el desventurado ya era un vencido, pero con el vencedor he vivido siempre, sirviéndole con decencia y honradez, silenciosamente observándole siempre, y no recibiendo de él, nada más que calamidades y ofensas, y sin embargo, nunca le odié, siempre disciplinadamente le serví, y si en el lleldar se siente ofendido por lo que de verdad digo, espero que se comporte conmigo, de la misma manera que con él siempre yo he hecho. Sé que estas narraciones no se han de publicar en mi Patria, porque la censura no permitirá que el hijo más humilde, cuente una verdad que denigra no a mi querida y noble España, sino algunos de sus inamovibles sistemas, pero tengo la firme certeza, que algún querido hermano país, sin el menor odio ni rencor sí ha de hacerlo, y con esta mi voz del pueblo, sencilla y natural, ubérrima y estéril, millones de seres de la Tierra habrán de saber, que hoy todavía, vive en mi Patria, la mitad de una generación, descendiente de los perdedores de la sanguinaria Guerra Civil que empobreció a la más maravillosa nación del mundo como es mi España, apartados de todo acceso a cualquier puesto de responsabilidad, bien en el gobierno, en los sindicatos, o en cualquier otro lugar, de responsabilidad de la Patria. Y desde aquí, invito a todos los españoles para que investiguen esto que he dicho, y ya verán como es una verdad, que no admite discusión posible. Cuánto placer sentiría yo si me pudiese expresar con ustedes en la maravillosa, ancestral y rica Lengua Asturiana, pues para mí, decir las cosas en Castellano es un verdadero fastidio, con tantos puntos y comas, y demás signos ortográficos, que para un hombre sin estudios de ninguna clase como yo, es una verdadera tortura, pues mi imaginación que idea y piensa con la fuerza de un enorme río enloquecido, a la hora de querer contar estas copiosas cosechas, que hasta en los mismos sueños me alumbra, cuando me pongo a escribir todos estos pensamientos y acaeceres, al expresarlos en español, meto la pata hasta los corbétchones, por esto ruego me perdonen, y háganse a la idea, de quién les está hablando, no es nada más que un humilde aldeano, sin más escuela que la siempre dura universidad de la vida. Y con la fortuna o desgracia de haber nacido con el embrujador duende de ser soñador, no por aparentar, por ocio o por estudio, sino con la intima necesidad que me tortura el alma, al mismo tiempo que me embarga dentro de una felicidad, que me hace en ocasiones ser dichoso, sin jamás haber sido feliz, y en otras dimensiones me llena de tal tristeza, que en apariencia sin sucederme nada, me encuentro tan apenado y deprimido, que todo cuanto me rodea y hasta yo mismo, me parece la pestilente porquería, con que se harta sin jamás hastiarse, el nefasto diablo al que entusiasmados y egoístas servimos. Enteponíu colaba you dellantre de miou madre, espatuxandu caleya adiantre, afalau per las engafuráes pallabres de miou má, camín de la nuesa teixá. (Conducido corría yo delante de mi madre, caminando rápido calleja arriba, arreado por las envenenadoras palabras que mi madre me dirigía, a la vez que hacia nuestro hogar nos acercábamos. Yo miraba arisco para ella, pensando que me iba alcanzar presto, para propinarme ante mis vecinos, otra somanta (paliza) como la que de aun mi cuerpo se condolía. Al fin llegamos a nuestra casa, y ya en ella encoyíu (encogido) por el temor, aguardaba resignado que mi madre calmara su furia dándome una nueva cuera, que mereciéndola, no la merecía. Estaba visto que llevaba unos días, que todos los golpes me habían elegido a mí para sus descansos, primero el cobarde de mi amo, que con sus asquerosas manos, me había puesto el rostro, tan descalabrado que no había en él un lugar sano donde coyera una guya (cupiera una aguja), después el canalla del guardia, que me dejara las orejas tan maltratadas, que me parecía que no eran mías, y para finalizar mi madre con aquella argurtóuxa tocata que m'apurriera (alta paliza que me propinara), que según me parecía, no había sido nada más que la parba (desayuno breve) de la que se esperaba Furibunda y desesperada asiome mi madre por mis maltrechos hombros, y al mirarme yo en sus hermosos y enojudos ojos, pude ver en lo más profundo de ellos, el desmesurado amor que la pobre me tenía, y lejos de azotarme como yo pensaba, sólo me preguntó muy apenada y preocupada: ¿De dónde vamos a sacar esas ciento cincuenta pesetas Xulín? ¡En alguna parte hijo, nos las agenciaremos, porque yo no permitiré que esta canallesca ley, hecha por indeseables sin entrañas, te lleven al reformatorio, donde ellos se tenían primero que reformar, para no seguir sembrando entre los desventurados vencidos, tanta vengativa y nefastosa canallada! Al día siguiente al rayar el alba, después de desayunar el rabón, (leche ácida cocida con harina de maíz) del que yo sí que me harté, pero ella la pobre apenas comió unas cucharadas, armada mi madre de un azáu (hacha) que había pedido prestado a un vecino, y yo de una foiceta (hoz) de podar la leña, fuimos al monte comunal a baltiar (cortar) leña, pues un carro de leña de encina, roble y espinero, que pesaba más de tres mil kilos, pagaba el maestro panadero, de la única panadería que había en el concejo, cincuenta pesetas por él, así que teníamos todo un mes por delante, para preparar los nueve mil kilos de leña, que nos proporcionarían las ciento cincuenta pesetas, con las que calmaríamos las iras de aquella inhumana ley, que tan despiadadamente nos había castigado. Parecía que mi madre poseía la fuerza del más intrépido de los hombres, talmente era un gigante que con una fiereza incomparable, chorreando sudor y espelurciada su rubia cabellera al viento, cortaba sin el menor descanso encinas, robles y espineros, mientras que yo imitándola en cuanto podía, podaba aquellos arbustos con el más grande de todos mis entusiasmos. Serían las tres de la tarde y no habíamos hecho aun el más pequeño descanso, cuando mi madre me dijo que buscase caracoles, que se criaban en abundancia por aquellos lugares, tal cosa hice mientras que ella prendía un buen fuego, y allí asamos los caracoles que al ser atacados por el calor, estiraban su cuerpo asándose perfectamente, y fue aquella asquerosa comida la que mitigó nuestra hambre. Y así un día, y quince, y veinte, hasta que logramos preparar sin desfallecer ni descansar, los tres carros de leña, acarreándolos a las costillas, en otras ocasiones poleándolos (haciéndoles rodar) por entre los zarzales y las peñas, hasta poder llegar con tan copiosa cantidad de leña, al estratégico lugar donde el panadero con su carro, pudiera cargar la leña. Estábamos embalagándola (apilándola) mi madre y yo muy ufanos y satisfechos, de la difícil victoria que habíamos en tan escaso tiempo conseguido, porque en duda pongo, que pocas gentes en todo el Universo en las circunstancias que nosotros nos encontrábamos hubieran podido lograrlo. Digo yo que en tal trabajo nos encontrábamos amontonando aquella leña, que todos los tochos (leños) medio descortezados por la cantidad de veces, que fue menester rodarlos por entre los cuetus (piedras) que poblaban aquel xerrapeíru (sierra) daban señales y no por los cortes de las herramientas, de haber sufrido lo indecible por encontrarse despeyexáus (despellejados) hasta casi el total emporricamiento (desnudez) de las arnas (cortezas) que los cubrían. Nuestras físicas humanidades se encontraban tan maltrechas después de tantos días de sobrehumano trabajo y de raquíticos y deplorables alimentos, que tal parecía que éramos cadabres (cadáveres) vivientes, sino supiesen cuantos nos conocían, que éramos dos invencibles barras del más puro acero. Yo descalzo de afechu (del todo) y mi madre con las alpargatas dándoles vueltas alrededor del tobillo, imposibilitadas del menor encatesu (remiendo) todas nuestras escasas vestiduras lucíanse tan acuchilladas, como si fatáus (muchos) puñales anárquicamente las hubieran rasgado. Y nuestras pieles por todos los lados se encontraban arraguñáes (arañadas), pinchadas, magulladas, en definitiva martirizadas por las piedras, por los espinos, por la infinidad de arbustos que en aquella sierra casi inaccesible para las mismas cabras, yo y mi madre como dos guerreros invencibles, cortamos aquellos tres carros de leña, que al decir de mi madre, servirían estupendísimamente bien para amagostar (asar) a la propia ley, y a los sinvergüenzas y deshumanizadores fascistones que la vieran fechu (hubieran hecho). Y en postura tan deplorable se empobrecían nuestros desventurados cuerpos, por todo lo contrario, nuestros espíritus se lucían sanos y fortalecidos, orgullosos y alegres, por haber conseguido aquel trabajoso y casi imposible triunfo. También solía decir mi madre dentro de una rabia y desilusión enfurecida, que si los «roxus» (rojos) hubiesen batallado con el mismo ardor, e indómito entusiasmo que nosotros habíamos puesto, todos los fascistones de Europa serían nada para vencerlos, ni en lo más mínimo. Vuelvo a repetir, que concluíamos mi madre y yo de empericotar (apilar) los cuatro leños que faltaban para dar por terminada aquella proeza, cuando la diosa fortuna nos vino a visitar en la forma de Falu el maderero, que más o menos, esto fue lo que nos hizo, y nos dijo: ¡Buenas tardes Lluza!, que así era como llamaban en asturiano a mi madre, ya que en castellano su gracia es Luzdivina. ¡Se ‘l tou home allevantara la motchera, ya te viera a tí ya ‘l tuo fiyiquín, nel estáu que vus deixó la llamazoúsa ley del venceor, paime amín, qu'el probetayu espavoríu per tan grandie inxusticia, oitra vez se morrería! (Si tu marido volviera al mundo y te viera a ti y a tu pequeño hijo, en la situación que os ha dejado la fangosa ley del vencedor, me parece a mí, que el pobre lleno de un enloquecedor pavor por tan grande injusticia, otra vez se volvería a morir). —Recuerdo yo muy bien, lo mismo que si en este momento de nuevo lo estuviese viviendo, lo que me ha hecho esta canallesca ley que ahora a ti te martiriza, cuando en los frentes de Teruel me cogieron prisionero. Me internaron en un campo de concentración, y me dieron más palos que días me quedan de vida, aunque muerra tan viétchu (muera tan viejo) como Marcelín el de Fresnedo, que le llevó Dios cuando pasaba de los ciento diez años. Como comida nos daban una lata redonda de sardinas o bonito, que los prisioneros le llamábamos «el reloj», ya que así era de pequeña. Cuando te salía podre, que sucedía la mayor parte de las veces, te pasabas el día haciendo vigilia. ¿Cuánto te va a dar el panadero por esta leña Lluza? ¡Hombre yo creo que son tres carros buenos, y como está pagándose a diez duros el carro, pues me dará treinta! ¿Algamate? (alcánzate para la multa). ¡Sí Falu, ye lu xustu! (Es lo justo). Rafael, que así se llamaba Falu, (uno de los hombres más honrados, trabajadores y enteros que yo he conocido), a la vez que del bolsillo interior de su chaqueta sacaba la cartera dijo: ¡Mera compañera, voy a venir con el camión de la compañía maderera y llevar toda esta montaña de leña a Trubia, yo te voy a entregar ahora por ella trescientas pesetas, si después vale más, ya te daré el resto, y si vale menos, considera ese dinero que te di, como regalo de un roxu decente ya honráu comu tú le yes miou neña! (Rojo decente y honrado como tú lo eres mujer). Al día siguiente que era feria semanal en la capital del concejo, pidiole mi madre prestado a una buena vecina amiga suya un paxiechacu (traje, vestido) y unas zapatillas, y así vestida de prestado la pobre, se trasladó bien de mañana a la Villa, pagó la multa a aquellos canallas que servían a una ley tan ultrajante, que a los vencidos y sus inocentes descendientes peor que a apestosos esclavos nos trataba. Luego, después, compró ella un paxietyín (un vestidito), unas zapatillas y unas madreñas, para mí, un buzo, que era la vestimenta que entre los pobres se estilaba, unas alpargatinas y unas fuertes madreñas, y después de mercar algunas cosas necesarias, vino para casa la mar de contenta y satisfecha. Y ahora yo me pregunto a muchos años de distancia, viviendo aquellos por mí vividos pisoteados y vengativos tiempos, ¿a qué asesinas, sucias y cobardosas manos, irían a parar, aquellos nuestros dineros, ganados con el sobrehumano esfuerzo y la más justa honradez, manchados por la sangre de nuestras heridas producidas en el agotador trabajo, y mojados por tantas gotas de sudor, como de estrellas debe de haber en el infinito cielo? ¿No se dan cuenta amigos lectores, que injusticias como ésta, o de otra índole aun mayores, deben de contarse al Mundo, pese a quien pese, para quienes las escuchan forjen en sus sentimientos, de que en toda guerra, y sobre todo las civiles, dejan tras de sí, primeramente el dolor más deshumanizante, después las venganzas más pervertidas, que darán vida con fuerza ilimitada, a la repugnante, sanguinaria y odiosa fiera, que todo ser humano, desde los primitivos tiempos de su nacencia, lleva celosamente escondida, en el apartamiento más oscuro y más brillante de su espíritu, donde se mueve gozoso el sentimiento humano, tras de saber que a su Prójimo bien le ha hecho, y se revuelve envilecido, encanallado y airado por el odio y las iras endiabladas, cuando también comprende que a sus semejantes, en el dolor y el sufrimiento los ha sumergido. Y fue precisamente a estos desatinados sentimientos, manejantes en aquellos tristes momentos, de las inhumanas leyes que regían los destinos de mi Patria, donde fueron a parar mis dineros, mis primeros dineros, ganados con más santidad y honradez, que pueda llevar dentro la propia Hostia Santa, que es tanto como decir, que sólo los mismos demonios faltos de toda conciencia y sin el más mínimo sentimiento de honestidad, podrían sin sentir asco de sus propias personas, apoderarse de los honrados y muy fatigosos trabajos, de una viuda de los roxus (izquierdistas, rojos, por el mismo estilo), y de un huérfano de los mismos. ¡¡Yo creo, que como aún no habían satisfecho sus ansias asesinas, con la muerte de mi padre y de tantos inocentes, precisaban en el momento que preciso les venía, afestinarse en postres con el esfuerzo y sufrimiento de sus deudos!! Durante algunos días viví yo jugueteando por la aldea, mi vida sin ninguna preocupación, muy contento porque iba vestido con aquel mono nuevo, más delgado que un papel de fumar, ya que se me había esgazáu (roto) por más de media docena de lugares, pero aún así, a mí me parecía que llevaba puesto, mejores galas que el mismo vencedor, que poco lucía sobre sus costillas, que se le pudiera denominar verdaderamente honrado. Mi madre mientras tanto, seguía incansablemente trabajando por las tierras de los vecinos, sin jamás cobrarles ni una peseta de sueldo, pues ella tan sólo quería, que al cambio de sus sudores le dieran una cestina de patatas, una fontadina de farina, ou de fabes lu mesmu foran prietes que blanques, d'arbeyinus ou d'oitra cebeira, dalgún terreñaín de lleiche, mazá, tarabazá, ‘n culiestrus ou cabantes de brañar. (Una fuente de harina, o de alubias de cualquier marca o color que fueran, de guisantes o de cualquier otro cereal que fuera, algún jarro de leche, desnatada, cuajada, o la que alumbran las vacas recién paridas, o de la que terminasen de ordeñar a una vaca de leche). Ella llegaba todos los atardeceres a nuestra casa, sudorosa y cansada, pero resplandeciente de alegría, porque en su mandil traía mi comida. Luego, después de que yo me hartaba, nos acostábamos los dos en aquel jergón de sacos, repleto de hojas de maíz y también de pulgas, y abrazada a mí, se quedaba muy pronto profundamente dormida. Yo que desde niño he dormido poco siempre, quizás para hacer bueno el dicho que de camino me invento, que considera al que poco duerme más infeliz, que quienes tienen la dicha de dormir prácticamente, dentro de estos mis desvelos, en la silenciosa tranquilidad de la noche de aquella amplia sala desmueblada, cuyas paredes y techo estaban del sarro que deja el humo, y plagadas de arroxetáus (enrubiecidos) goterones, que ponían al descubierto las primeras pinturas que habían tenido, fendíu (cortado) de continuo este silencio, por el risueño y sórdido murmullo que alumbraba el pequeño río que vertiginosamente se deslizaba a menos de diez metros de nuestra casa, y otras veces también era enruxeráu (alterado) aquel silencio, por los ladridos de los perros de la aldea, o por el cante siempre misterioso y apabullador que hacen las curuxas (buhos) en la noche, cuento yo en que estos desvelos, observaba el placenteroso dormir de mi madre, con su respirar acompasado, fuerte y sano, con todos sus acerosos músculos, con naturalidad relajados, talmente parecía mi madre del todo inofensiva, mas sin embargo, aquel perfecto y vigoroso cuerpo que acoplaba fuerzas en el descanso, de la misma natural manera que agigantadamente dormido descansaba, cuando despierto se hallaba, se transformaba en un invencible e incansable guerrero, condenada ya a luchar en l'engarradiétcha del trabayu (la pelea del trabajo), todos los momentos de su vida, por los mismos endemoniados vencedores, que primeramente le habían achuquináu ‘l sou home ya lus sous fíus. (Asesinado a su marido y a sus hijos). Y ahora que ya todo ha pasado, y lejos de olvidarlo se agiganta cada día más en mi mente, yo me pregunto, que si mi madre no hubiese sido así de luchadora, de brava, de valiente y honrada, qué seria de mí y de ella misma, acosados en todo momento por la ley insana del vencedor, y xunius (uncidos) también para siempre, en el desventuroso carro de la esclavitud bien vigilada, por el látigo y la pistola del triunfador.

    Primer Diccionario Enciclopédicu de la Llingua Asturiana > carraca

  • 29 votare

    Большой итальяно-русский словарь > votare

  • 30 votare

    votare I vt v. vuotare votare II (vóto) 1. vi (a) голосовать, подавать голос votare per..., votare a favore di... -- голосовать за (+ A) votare contro -- голосовать против votare con alzata di mano -- голосовать поднятием руки votare per alzata e seduta -- голосовать вставанием votare con appello nominale -- проводить поименное голосование, голосовать поименно votare a scrutinio segreto -- проводить тайное голосование votare punto per punto -- голосовать постатейно 2. vt 1) вотировать, принимать <утверждать> путем голосования votare una proposta -- голосовать за предложение votare una legge -- принимать закон 2) давать обет votarsi( a qc) посвящать себя (+ D) votarsi alla morte -- обрекать себя на смерть

    Большой итальяно-русский словарь > votare

  • 31 votare

    votare I vt v. vuotare votare II (vóto) 1. vi (a) голосовать, подавать голос votare per …, votare a favore di … — голосовать за (+ A) votare contro — голосовать против votare con alzata di mano — голосовать поднятием руки votare per alzata e seduta — голосовать вставанием votare con appello nominale проводить поимённое голосование, голосовать поимённо votare a scrutinio segreto — проводить тайное голосование votare punto per punto — голосовать постатейно 2. vt 1) вотировать, принимать <утверждать> путём голосования votare una proposta — голосовать за предложение votare una legge — принимать закон 2) давать обет votarsi ( a qc) посвящать себя (+ D) votarsi alla morte обрекать себя на смерть

    Большой итальяно-русский словарь > votare

  • 32 ♦ free

    ♦ free /fri:/
    (compar. freer, superl. freest)
    A a.
    1 libero: free choice, libera scelta; free press, stampa libera; free enterprise, libera iniziativa; libera impresa; free spirit, spirito libero; free translation, traduzione libera; This is a free country, questo è un paese libero; Are you free this afternoon?, sei libero oggi pomeriggio?; DIALOGO → - Free time- What do you do in your free time?, cosa fai nel tempo libero?; Is this seat free?, è libero questo posto?; free to choose, libero di scegliere; to go free, andarsene libero; to set sb. free, mettere q. in libertà; liberare q.; to feel free to do st., sentirsi libero di fare qc.; sentirsi autorizzato a fare q.; Feel free to ask, chiedi pure liberamente; DIALOGO → - In a meeting- If anyone has a question then please feel free to interrupt, se qualcuno ha una domanda interrompetemi pure; DIALOGO → - Television- Feel free, fa' pure; accomodati
    2 sciolto; slegato; libero: the free end of a rope, il capo libero di una corda
    3 sgombro; libero: The road is free, la strada è sgombra
    4 gratuito; gratis; libero; omaggio: free admission, ingresso gratuito (o libero); DIALOGO → - At the museum- It's free admission on Tuesdays, il martedì l'ingresso è gratuito; free health care, cure sanitarie gratuite; DIALOGO → - Enrolment- The course is free, il corso è gratuito; free copy, copia omaggio; DIALOGO → - At the station 2- The boy goes free but the girl pays half price, il bambino entra gratis mentre la bambina paga la metà
    5 (comm.) esente: free of duty (o duty free,) esente da dazio; in esenzione doganale
    6 (dog., trasp.) franco; franco spese: free port, porto franco; free of charges, franco di ogni spesa; franco a domicilio; free of freight, franco di nolo; free delivery, consegna franco spese (o gratuita)
    7 free from (o of) privo di; libero da; senza; esente: free from pain, senza dolori; free from worries, senza preoccupazioni; free from (o of) difficulty, privo di difficoltà; free from doubt, privo di dubbi; free of debt, privo di debiti; free from mortgage, libero da ipoteca; free of tax, esente dal pagamento delle imposte; esentasse
    8 ( nei composti) senza; privo di; esente da: fat-free, senza (o privo di) grassi; rent-free, senza canone d'affitto
    9 (di gesto, movimento) ampio; disinvolto; sciolto; spigliato: free step, passo disinvolto (o sciolto)
    10 dai modi franchi, liberi; (spreg.) troppo confidenziale: She's too free with everyone, si prende troppa confidenza con tutti; free manners, maniere troppo confidenziali; eccessiva familiarità
    11 free with, generoso di; largo di; prodigo di; munifico di: free with one's advice, prodigo di consigli; free with praise, largo di lodi
    12 abbondante: a free flow of capital, un abbondante afflusso di capitali
    13 (naut.: del vento) favorevole
    14 (mecc.) libero; in folle
    15 (chim., fis.) libero; allo stato libero: free carbon [electron], carbonio [elettrone] libero; free oxygen, ossigeno allo stato libero
    17 (fon.: di vocale) libero; in sillaba aperta
    B avv.
    1 gratis; gratuitamente: to get in free, entrare gratis; for free, gratuitamente; gratis
    2 liberamente: to run free, correre liberamente
    3 (idiom.): to pull (o to push, etc.) free, estrarre (districare, o liberare, ecc.): I pulled the wounded man free from the wrecked car, estrassi il ferito dai rottami dell'auto; He shook himself free, si è liberato con uno scrollone; The bolt has worked itself free, il bullone si è allentato
    free agent, persona indipendente; persona libera di agire; individuo padrone di sé □ (trasp.) free allowance, franchigia ( di peso) per il bagaglio □ (trasp., naut.) free alongside ship (abbr. F.A.S.), FAS partenza; franco lungo bordo □ free and easy, rilassato; accomodante; (spreg.) molto disinvolto □ (psic.) free association, libera associazione ( d'idee, ecc.) □ (trasp.) free baggage, bagaglio in franchigia □ (telef.) free call out, chiamata gratuita □ (comm.) free carrier, franco vettore □ the Free Churches, le Chiese non conformiste (d' Inghilterra) □ ( alpinismo) free climb, arrampicata libera ( singola); libera □ ( alpinismo) free climbing, arrampicata libera ( lo sport); libera □ (market., econ.) free competition, libera concorrenza □ (leg.) free consent, libero consenso □ free diving, immersione senza scafandro □ free economy, economia di mercato □ free fall, caduta libera: free-fall drop, lancio a caduta libera ( dall'aereo) □ free fight, mischia generale; ( anche) zuffa, rissa; (fig.) competizione aperta a tutti □ free-floating, ► free-floating □ ( di prodotto) free from vice, senza difetti; esente da imperfezioni □ free-form, ► free-form □ (market.) free gift, omaggio □ (pubbl.) free-gift advertising, pubblicità con l'invio di campioni gratuiti □ free gold, oro allo stato puro; (fin., USA) oro che eccede il fabbisogno della riserva legale □ (econ.) free good, bene non economico ( come l'aria) □ free hand, mano libera: to give sb. a free hand, dare mano libera a q.; to have (o to get) a free hand in st., avere (o ottenere) mano libera in qc. free-handed, generoso; munifico □ free-handedness, generosità; munificenza □ free-hearted, franco, spontaneo, sincero; generoso, munifico, prodigo □ ( polo) free hit, tiro libero (o di punizione) □ (GB) free house, pub non legato a una determinata fabbrica di birra □ (trasp., naut.) free in and out, franco di spese di caricazione e discarica □ (trasp., ferr.) free into wagon, franco vagone partenza □ (fin.) free issue, emissione di azioni gratuite □ ( sport) free kick, ( calcio) (calcio di) punizione; ( rugby) tiro libero □ (GB) free labour, operai non iscritti a sindacati □ (leg.) free legal aid, patrocinio gratuito; difesa d'ufficio □ free library, biblioteca con prestito gratuito □ free list, (comm. est.) lista di merci d'importazione libera; (teatr.) elenco delle entrate di favore □ free living, che fa vita libera, da gaudente; (biol.) che vive libero, non in simbiosi □ free love, libero amore □ (trasp.) free luggage, bagaglio in franchigia □ (econ.) free market, libero mercato; libero scambio, liberismo □ (econ.) free-market capitalism, capitalismo liberista □ free-market economy, economia di libero mercato □ (ass., naut.) free of ( all) average, franco d'avaria □ (trasp.) free of carriage, franco di porto □ free of charge, gratuitamente; gratis; (fisc.) esente da imposta (o da tassa); (leg.) a titolo gratuito □ (leg.) free of mortgage, libero da ipoteche □ (market.) free offer, offerta gratuita □ (trasp., naut.) free on board (abbr. F.O.B.), franco a bordo; FOB partenza □ (trasp., ferr.) free on rail (abbr. F.O.R.), franco stazione (di partenza); franco vagone □ (trasp., naut.) free on wharf, franco banchina □ (trasp., naut.) free overside, franco sotto paranco; FOB destino □ free paper, giornale locale distribuito gratuitamente □ (leg.) free pardon, condono □ free pass, lasciapassare; (ferr.) biglietto di libera circolazione □ ( a scuola) free period, ora libera; ‘buco’ (fam.) □ (chim.) free radicals, radicali liberi □ free-range chicken, pollo ruspante □ free-range eggs, uova di fattoria (o di campagna); uova di gallina allevate in libertà □ free ride, viaggio senza pagare; (fig.) uso indebitamente gratuito o agevolato □ (econ.) free rider, opportunista; (fam.) portoghese; ‘free rider’ ( chi trae beneficio da un bene pubblico senza pagarne il costo): the free-rider problem, il problema del free rider □ free-running, libero; regolare; di regime: (ferr.) free-running speed, velocità di regime □ ( Internet) free search, ricerca a testo libero □ free shop, negozio in franchigia doganale □ ( sport) free skating, pattinaggio libero □ (comput.) free space, spazio libero □ free speech, libertà di parola □ free spender, spendaccione □ free-spoken, franco; esplicito; sincero □ (stor. USA) free State, Stato antischiavista □ (econ.) free supply, offerta libera □ ( basket) free throw, tiro libero □ (TV, di canale e trasmissioni satellitari) free-to-air, gratuito; in chiaro □ (econ.) free trade, libero scambio; liberismo, liberoscambismo: free trade area, area di libero scambio; (dog.) free trade zone, punto franco □ (leg.) free union, unione libera □ ( poesia) free verse, versi sciolti □ (leg.) free waters, acque internazionali □ (mecc.) free wheel, ruota libera ( di bicicletta) □ (relig., filos.) free will, libero arbitrio □ of my own free will, di mia spontanea volontà □ free-will, volontario; spontaneo □ (antiq.) the free world, il mondo libero; i paesi occidentali □ (dog.) free zone, punto franco □ to be free of st., sbarazzarsi di qc.; essersi sbarazzato di qc. to be free with one's money, spendere con larghezza; essere uno spendaccione □ (fam.) for free, gratis □ to get free, liberarsi; sciogliersi ( da corde o vincoli) □ to give sb. free rein, dare completa libertà d'azione a q.; dare carta bianca a q. to have one's hands free, avere le mani libere ( anche fig.); essere libero da lavori o impegni □ to make free with sb., prendersi delle libertà con q. to make free with st., servirsi liberamente di qc.; approfittare di qc. □ (naut.) to sail free, navigare a vento largo (o con il vento favorevole) □ (fig., scherz.) There's no such thing as a free lunch, nessuno fa qualcosa per niente; niente è gratis nella vita.
    ♦ (to) free /fri:/
    v. t.
    1 liberare; mettere in libertà: All the prisoners were freed, tutti i prigionieri sono stati liberati; to free from captivity, liberare dalla prigionia; to free from jail, scarcerare; He freed himself from the wreckage of his car, si è liberato dai rottami dell'auto
    2 liberare; affrancare, emancipare: to free slaves, emancipare gli schiavi
    3 ( anche leg.) esonerare; esentare: to free sb. from a duty, esonerare q. da un dovere
    4 (econ., fin.) liberalizzare; togliere le restrizioni a: to free capital movements, liberalizzare i movimenti di capitali
    5 (autom., mecc.) sbloccare.

    English-Italian dictionary > ♦ free

  • 33 HAND

    I 1. [hænd]
    1) mano f.

    he stood there, suitcase in hand — stava lì con la valigia in mano

    to get o lay one's hands on mettere le mani su [ money]; mettere le mani addosso a [ person]; to keep one's hands off sth. tenere giù le mani da qcs.; to keep one's hands off sb. lasciare in pace qcn.; hands off! colloq. giù le mani! to take sb.'s hand prendere la mano di qcn.; to take sb. by the hand prendere qcn. per mano; they were holding hands si tenevano per mano; to hold sb.'s hand tenere la mano a qcn.; fig. (give support) tendere la mano a qcn.; to do o make sth. by hand fare qcs. a mano; the letter was delivered by hand la lettera fu recapitata a mano; "by hand" (on envelope) "Sue Proprie Mani", s.p.m.; to have one's hands full avere le mani piene; fig. avere molto da fare; hands up, or I shoot! mani in alto o sparo! to be on one's hands and knees essere carponi; we can always use another pair of hands — possiamo sempre trovare qualcun altro che ci dia una mano

    2) (handwriting) scrittura f., calligrafia f.

    to have a hand inavere parte o mano in [ project]; partecipare a, prendere parte a [ demonstration]

    to stay o hold one's hand — trattenersi, indugiare

    to give o lend sb. a (helping) hand — dare una mano a qcn

    to give sb. a big hand — fare un bell'applauso a qcn

    to ask for sb.'s hand (in marriage) — chiedere la mano di qcn

    to be in sb.'s hands — essere nelle mani di qcn.

    to fall o get into the wrong hands finire nelle mani sbagliate; to be in good o safe hands essere in buone mani; to put one's life in sb.'s hands affidare la propria vita nelle mani di qcn.; to place o put [sth.] in sb.'s hands affidare [qcs.] a qcn. [ office]; mettere [qcs.] nelle mani di qcn. [ matter]; to play into sb.'s hands fare il gioco di qcn.; the matter is out of my hands — la questione non è di mia pertinenza

    to get out of hand — [ inflation] sfuggire al controllo; [ children] diventare indisciplinato; [ demonstration] degenerare

    to take sth. in hand — prendere in mano [ situation]; affrontare, occuparsi di [ problem]

    to take sb. in hand — fare rigare diritto o tenere a freno qcn

    9) gioc. (cards dealt) carte f.pl.; (game) mano f.
    10) (worker) lavoratore m. (-trice), operaio m. (-a); mar. membro m. dell'equipaggio, marinaio m.

    to have [sth.] on one's hands — avere [qcs.] sulle spalle [ unsold stock]

    to take sb. off sb.'s hands — levare di torno qcn. a qcn.

    to have sth. off one's hands — non essere più responsabile di qcs

    to have sth. to hand — avere qcs. a portata di mano o sottomano

    to be on hand — [ person] essere a disposizione o disponibile

    to be close to hand o near at hand essere portata di mano; to come to hand — capitare sottomano

    to try one's hand at — cimentarsi in [photography, painting]

    to set o turn one's hand to sth., doing dedicarsi a qcs., a fare; to keep one's hand in non perdere la mano a; to get one's hand in — fare o prendere la mano a

    14) (on clock, dial) lancetta f.

    I got the information first, second hand — ho avuto queste informazioni di prima, di seconda mano

    16) (side)

    on the one hand..., on the other hand... — da un lato... dall'altro... o da un canto... d'altro canto

    on the other hand (conversely) d'altra parte, tuttavia, però

    the matter in hand — l'argomento in questione; (underway)

    the preparations are well in hand — i preparativi sono già a buon punto; (to spare)

    18) out of hand [reject, dismiss] d'acchito, subito
    19) at the hands of da parte di, ad opera di
    2.
    ••

    to know sth. like the back of one's hand — conoscere qcs. a menadito o come le proprie tasche

    many hands make light workprov. l'unione fa la forza

    II [hænd]

    to hand sb. sth. o to hand sth. to sb. — dare o consegnare o passare qcs. a qcn

    ••

    you've got to hand it to him... — bisogna riconoscergli che

    * * *
    [hænd] 1. noun
    1) (the part of the body at the end of the arm.) mano
    2) (a pointer on a clock, watch etc: Clocks usually have an hour hand and a minute hand.) lancetta
    3) (a person employed as a helper, crew member etc: a farm hand; All hands on deck!) membro dell'equipaggio; operaio
    4) (help; assistance: Can I lend a hand?; Give me a hand with this box, please.) mano
    5) (a set of playing-cards dealt to a person: I had a very good hand so I thought I had a chance of winning.) mano
    6) (a measure (approximately centimetres) used for measuring the height of horses: a horse of 14 hands.) palmo
    7) (handwriting: written in a neat hand.) scrittura, grafia
    2. verb
    (often with back, down, up etc)
    1) (to give (something) to someone by hand: I handed him the book; He handed it back to me; I'll go up the ladder, and you can hand the tools up to me.) dare
    2) (to pass, transfer etc into another's care etc: That is the end of my report from Paris. I'll now hand you back to Fred Smith in the television studio in London.) consegnare, passare
    - handbag
    - handbill
    - handbook
    - handbrake
    - handcuff
    - handcuffs
    - hand-lens
    - handmade
    - hand-operated
    - hand-out
    - hand-picked
    - handshake
    - handstand
    - handwriting
    - handwritten
    - at hand
    - at the hands of
    - be hand in glove with someone
    - be hand in glove
    - by hand
    - fall into the hands of someone
    - fall into the hands
    - force someone's hand
    - get one's hands on
    - give/lend a helping hand
    - hand down
    - hand in
    - hand in hand
    - hand on
    - hand out
    - hand-out
    - handout
    - hand over
    - hand over fist
    - hands down
    - hands off!
    - hands-on
    - hands up!
    - hand to hand
    - have a hand in something
    - have a hand in
    - have/get/gain the upper hand
    - hold hands with someone
    - hold hands
    - in good hands
    - in hand
    - in the hands of
    - keep one's hand in
    - off one's hands
    - on hand
    - on the one hand... on the other hand
    -... on the other hand
    - out of hand
    - shake hands with someone / shake someone's hand
    - shake hands with / shake someone's hand
    - a show of hands
    - take in hand
    - to hand
    * * *
    HAND
    sigla
    ( Internet, telef., have a nice day) buona giornata.
    ♦ (to) hand /hænd/
    v. t.
    1 dare; porgere; consegnare; passare; rimettere: Please hand me the salt, per favore, passami il sale; The papers were handed to me by the clerk, i documenti mi sono stati consegnati dall'impiegato
    2 aiutare; guidare, sorreggere ( con la mano): I handed the old lady out of ( o down from) the coach, ho aiutato l'anziana signora a scendere dal pullman
    3 (fam.) ammettere, concedere (qc.): You've got to hand it to him, he's a good player, devi ammettere che gioca proprio bene
    4 (naut.) serrare, ammainare ( le vele)
    5 ( slang USA) raccontare frottole (o balle) a (q.); darla a bere a (q.)
    ● (fig.) handed you on a plate, servito su un piatto d'argento (per te).
    * * *
    I 1. [hænd]
    1) mano f.

    he stood there, suitcase in hand — stava lì con la valigia in mano

    to get o lay one's hands on mettere le mani su [ money]; mettere le mani addosso a [ person]; to keep one's hands off sth. tenere giù le mani da qcs.; to keep one's hands off sb. lasciare in pace qcn.; hands off! colloq. giù le mani! to take sb.'s hand prendere la mano di qcn.; to take sb. by the hand prendere qcn. per mano; they were holding hands si tenevano per mano; to hold sb.'s hand tenere la mano a qcn.; fig. (give support) tendere la mano a qcn.; to do o make sth. by hand fare qcs. a mano; the letter was delivered by hand la lettera fu recapitata a mano; "by hand" (on envelope) "Sue Proprie Mani", s.p.m.; to have one's hands full avere le mani piene; fig. avere molto da fare; hands up, or I shoot! mani in alto o sparo! to be on one's hands and knees essere carponi; we can always use another pair of hands — possiamo sempre trovare qualcun altro che ci dia una mano

    2) (handwriting) scrittura f., calligrafia f.

    to have a hand inavere parte o mano in [ project]; partecipare a, prendere parte a [ demonstration]

    to stay o hold one's hand — trattenersi, indugiare

    to give o lend sb. a (helping) hand — dare una mano a qcn

    to give sb. a big hand — fare un bell'applauso a qcn

    to ask for sb.'s hand (in marriage) — chiedere la mano di qcn

    to be in sb.'s hands — essere nelle mani di qcn.

    to fall o get into the wrong hands finire nelle mani sbagliate; to be in good o safe hands essere in buone mani; to put one's life in sb.'s hands affidare la propria vita nelle mani di qcn.; to place o put [sth.] in sb.'s hands affidare [qcs.] a qcn. [ office]; mettere [qcs.] nelle mani di qcn. [ matter]; to play into sb.'s hands fare il gioco di qcn.; the matter is out of my hands — la questione non è di mia pertinenza

    to get out of hand — [ inflation] sfuggire al controllo; [ children] diventare indisciplinato; [ demonstration] degenerare

    to take sth. in hand — prendere in mano [ situation]; affrontare, occuparsi di [ problem]

    to take sb. in hand — fare rigare diritto o tenere a freno qcn

    9) gioc. (cards dealt) carte f.pl.; (game) mano f.
    10) (worker) lavoratore m. (-trice), operaio m. (-a); mar. membro m. dell'equipaggio, marinaio m.

    to have [sth.] on one's hands — avere [qcs.] sulle spalle [ unsold stock]

    to take sb. off sb.'s hands — levare di torno qcn. a qcn.

    to have sth. off one's hands — non essere più responsabile di qcs

    to have sth. to hand — avere qcs. a portata di mano o sottomano

    to be on hand — [ person] essere a disposizione o disponibile

    to be close to hand o near at hand essere portata di mano; to come to hand — capitare sottomano

    to try one's hand at — cimentarsi in [photography, painting]

    to set o turn one's hand to sth., doing dedicarsi a qcs., a fare; to keep one's hand in non perdere la mano a; to get one's hand in — fare o prendere la mano a

    14) (on clock, dial) lancetta f.

    I got the information first, second hand — ho avuto queste informazioni di prima, di seconda mano

    16) (side)

    on the one hand..., on the other hand... — da un lato... dall'altro... o da un canto... d'altro canto

    on the other hand (conversely) d'altra parte, tuttavia, però

    the matter in hand — l'argomento in questione; (underway)

    the preparations are well in hand — i preparativi sono già a buon punto; (to spare)

    18) out of hand [reject, dismiss] d'acchito, subito
    19) at the hands of da parte di, ad opera di
    2.
    ••

    to know sth. like the back of one's hand — conoscere qcs. a menadito o come le proprie tasche

    many hands make light workprov. l'unione fa la forza

    II [hænd]

    to hand sb. sth. o to hand sth. to sb. — dare o consegnare o passare qcs. a qcn

    ••

    you've got to hand it to him... — bisogna riconoscergli che

    English-Italian dictionary > HAND

  • 34 ♦ light

    ♦ light (1) /laɪt/
    n.
    1 [uc] luce; lume; lampada; fanale; chiarore; splendore; (fig.) aspetto, punto di vista: the light of the sun [of an electric bulb], la luce del sole [di una lampadina elettrica]; artificial light, luce artificiale; bright light, luce intensa; dim light, luce fioca; The light went off, la luce si è spenta; Switch on the light, will you?, accendi la luce, per favore; I saw a distant light, vidi un lume in lontananza; There was a strange light in the girl's eyes, c'era una strana luce negli occhi della ragazza; to put sb. [st.] in a bad light, mettere q. [qc.] in cattiva luce; to bring new facts to light, portare alla luce fatti nuovi; a five-light chandelier, un lampadario a cinque luci (o lampade); by the light of, a lume di; a shaft of light, un raggio di luce
    2 fiammifero; fuoco: to strike a light, accendere un fiammifero; to give sb. a light, dare del fuoco (o da accendere) a q.; DIALOGO → - Asking for a light- Excuse me, have you got a light please?, mi scusi, ha da accendere?
    3 (fig.) luminare: He was one of the leading lights of the century, fu uno dei luminari del secolo
    4 [u] (poet.) luce degli occhi; vista
    5 (pl.) ( slang) (gli) occhi; (le) luci (poet.)
    6 (edil.) luce; lastra di vetro; apertura in un muro ( per finestra, ecc.); lucernario
    7 (autom., = indicator light) spia: main-beam light, spia degli abbaglianti; warning light, spia luminosa
    8 (= traffic light) luce di semaforo ( stradale); (pl.) semaforo: to wait for the green light, aspettare il verde; (pl.) semaforo: When you get to the ( traffic) lights, turn right, quando arrivi al semaforo, volta a destra
    9 (pl.) (teatr.) luci della ribalta
    to be light, fare giorno; farsi luce □ (pitt.) the lights and darks of a painting, le zone di luce e ombra di un quadro □ ( arte) light and shade, luce e ombra; zone in luce e zone in ombra □ light bar, barra luminosa ( sul tettuccio di un'automobile, ecc.) □ light beam, raggio di luce □ l-box, tavolo luminoso; visore ( per negativi, diapositive, ecc.); ( anche) lampada a cubo □ (elettr.) light bulb, lampadina □ (naut.) light buoy, boa luminosa □ (naut.) light list, elenco dei fari e fanali □ (tecn.) light meter, fotometro portatile; esposimetro □ (elettron.) light-negative, fotoresistente □ ( di una persona) to be the light of sb. 's life, essere la luce degli occhi di q. lights-out, ora di spegnere le luci ( in collegio, ecc.); (mil.) ordine di spegnere le luci ( in caserma); (il) silenzio □ light-pen, penna luminosa; penna ottica □ (edil.) light point, punto luce □ light range, portata luminosa □ ( ottica) light ray, raggio di luce; raggio luminoso □ (elettron.) light-sensitive, fotosensibile □ (naut.) light station, stazione semaforica □ light-tight, a tenuta di luce □ (naut.) light vessel, faro galleggiante; nave faro □ (archit.) light well, pozzo di luce; lucernario □ (astron.) a light year, un anno luce; (fig.) secoli, un'eternità □ according to one's lights, secondo i propri lumi; a proprio giudizio □ to bring st. to light, portare qc. alla luce; mettere qc. in luce; rivelare qc. by the light of the moon, al chiaro di luna □ to cast (o to throw) light on st., far luce su (o chiarire) qc. to come to light, venire alla luce; manifestarsi □ (autom.) to cut the lights, bruciare il semaforo; passare col rosso □ to go out like a light, addormentarsi di colpo □ (fig.) green light, via libera, autorizzazione □ ( Bibbia) to hide one's light under a bushel, mettere la fiaccola sotto il moggio; tenere celate le proprie virtù □ ( arte) the high lights, i chiari; la zona d'un quadro in piena luce □ in the light of ( USA in light of), alla luce di: in the light of what he told me later, alla luce di quello che mi disse in seguito □ (autom., ingl.) to jump the lights, bruciare il semaforo; passare col rosso □ to put out sb. 's lights, tramortire q. to see the light, vedere la luce, nascere; venire al mondo; ( anche) cominciare a capire, accettare un'idea; ricevere l'illuminazione, convertirsi ( a una religione) □ to set light to st., dare fuoco a qc. to shed (o to throw) light on st., gettare (o fare) luce su qc. to stand in one's own light, togliersi la luce, farsi ombra; (fig.) nuocere a sé stesso □ to stand in sb. 's light, togliere la luce (o fare ombra) a q.; (fig.) danneggiare (o ostacolare) q.
    ♦ light (2) /laɪt/
    a.
    1 chiaro; luminoso; rischiarato: on a light summer day, in una luminosa giornata d'estate
    2 ( di colore) chiaro: light blue, azzurro; light green, verde chiaro
    4 ( di carnagione) pallido: a light complexion, una carnagione pallida
    5 (= light-coloured) chiaro: a light-coloured dress, un vestito chiaro
    6 (tipogr.; di un carattere) chiaro: light face, chiaro; carattere chiaro
    the Light Bluesblue □ light-skinned, dalla pelle chiara.
    ♦ light (3) /laɪt/
    a.
    1 leggero ( in ogni senso); lieve; agile; (fig.) incostante, frivolo, spensierato, allegro: a light box, una scatola leggera; light clothing, abiti leggeri; (mil., naut.) a light cruiser, un incrociatore leggero; (mil.) light weapons, armi leggere; a light blow, un lieve colpo; a light wind, un lieve vento; un venticello; light wine, vino leggero; a light rain, una lieve pioggia; una pioggerella; with light steps, a passi leggeri; a light meal, un pasto leggero; light sleep [work], sonno [lavoro] leggero; light behaviour, comportamento leggero (o frivolo, incostante); light comedy, commedia leggera; a light sentence, una condanna lieve [o mite]; with a light expense, con lieve spesa; a light heart, un animo spensierato; un cuor contento; I did it with a light heart, lo feci a cuor leggero
    2 troppo leggero; scarso ( di peso): to give light weight, dare il peso scarso; rubare sul peso; a light coin, una moneta di peso scarso
    3 friabile; soffice: light soil, terreno friabile; light bread, pane soffice
    ● (aeron.) light aircraft, aereo da turismo □ light ale, birra a bassa gradazione alcolica □ (mil.) light-armed, con armamento leggero □ light cream, panna light; panna da caffè; mezza panna □ (naut.) light displacement, dislocamento a vuoto □ a light drink, una bevanda poco alcolica, un drink leggero □ light-fingered, dalle dita agili (o veloci); (fig.) lesto di mano, bravo a rubare □ ( sport) light fly weight, minimosca; peso minimosca □ light-footed, agile; lesto; svelto □ light-footedness, agilità, sveltezza □ light-handed, dalla mano leggera, dal guanto di velluto □ light-handedness, l'avere la mano leggera; (fig.) tatto □ light-headed, stordito, che ha le vertigini; sbadato, sventato, frivolo; ( anche) brillo □ light-headedness, giramento di capo; sbadataggine; sventatezza, frivolezza □ light-hearted, gaio; allegro; spensierato □ light-heartedness, gaiezza; allegria; spensieratezza □ ( sport) light heavyweight, mediomassimo, peso mediomassimo □ (mil.) light horse, cavalleria leggera □ light in the head, che ha il capogiro; sempliciotto, stolto, stupido □ (econ.) light industry, industria leggera □ (mil.) light infantry, fanteria con armamento leggero □ (mil.) light machine gun, mitragliatrice leggera; fucile mitragliatore □ (metall.) light metal, metallo leggero; lega leggera □ ( sport) light middleweight, medioleggero; peso medioleggero □ light-minded, frivolo, leggero □ light-mindedness, frivolezza; leggerezza □ light on one's feet, agile di gambe; svelto □ (mus.) light opera, operetta □ a light railway, una ferrovia secondaria ( per traffico leggero) □ light reading, letture amene □ light remarks, osservazioni frivole □ a light sleeper, uno che ha il sonno leggero □ a light smoker, uno che non fuma molto □ (mil.) a light tank, un carro (armato) leggero □ (trasp.) light truck, autocarro leggero □ (polit.) a light vote, un numero scarso di votanti □ (fis. nucl.) light water, acqua leggera □ (fis. nucl.) light-water reactor, reattore ad acqua leggera □ ( sport) light welterweight, superleggero; peso superleggero; welter junior □ (fam.) to get off light, cavarsela a buon mercato □ to have light fingers, avere dita agili; (fig.) essere svelto di mano (o bravo a rubare) □ to have a light hand (o touch), avere la mano leggera; essere abile (o bravo) ( nel far dolci, ecc.); (fig.) essere pieno di tatto □ to make light of st., non dar peso a qc.; prender qc. alla leggera □ (aeron.: di un aeromobile) lighter-than-air, aerostatico.
    (to) light (1) /laɪt/
    (pass. e p. p. lighted, lit)
    A v. t.
    1 accendere; dare fuoco a: to light a fire, accendere un fuoco
    2 illuminare; rischiarare: Lamps light the streets, le lampade (o i fanali) illuminano le strade; A shining smile lit (up) her face, un sorriso luminoso le rischiarò il viso
    3 far luce a; illuminare la strada a: The moon lit my way, mi fece luce la luna
    B v. i. ( spesso to light up)
    1 accendersi; prendere fuoco: The bonfire lit up at once, il falò si accese subito
    2 illuminarsi; rischiararsi.
    (to) light (2) /laɪt/
    (pass. e p. p. lighted, lit)
    A v. i.
    1 ( raro) scendere, smontare ( da cavallo, da un veicolo; ► to alight)
    2 ( di uccelli) posarsi: We waited for the ducks to light, abbiamo aspettato che le anitre si posassero
    B v. t.
    (naut.) ► to lighten (2) A, def. 2.

    English-Italian dictionary > ♦ light

  • 35 ■ score over

    ■ score over
    v. t. + prep.
    segnare un punto a proprio favore su (q.); essere superiore a, battere (q.) in un punto.

    English-Italian dictionary > ■ score over

  • 36 sound

    I 1. [saʊnd]
    1) fis. telev. rad. suono m.
    2) (noise) rumore m.; (of bell, instrument, voice) suono m.
    3) (volume) audio m., volume m.

    by the sound of it,... — a quanto pare

    2.
    modificatore [engineer, technician] del suono
    3.
    1) (in good condition) [building, constitution] solido; [ heart] forte; [lungs, physique] sano; [ health] buono
    2) (well-founded) [basis, education] solido; [ judgment] sensato; [ advice] valido
    4) econ. comm. [ investment] sicuro; [ management] oculato
    5) (deep) [ sleep] profondo
    6) (correct, acceptable)
    4.

    to be sound asleep — essere profondamente addormentato, dormire della grossa

    II 1. [saʊnd]
    1) fare suonare [ siren]; suonare [ trumpet]
    2) ling. pronunciare [ letter]
    3) med. auscultare [ chest]
    4) (express) dare [ warning]
    2.
    1) (seem) sembrare

    to sound banal, boring — sembrare banale, noioso

    3) (convey impression) fare, suonare

    it may sound silly, but... — può sembrare stupido, ma

    4) (make a noise) [trumpet, alarm, buzzer, siren] suonare
    III [saʊnd]
    nome geogr. stretto m.
    * * *
    I adjective
    1) (strong or in good condition: The foundations of the house are not very sound; He's 87, but he's still sound in mind and body.)
    2) ((of sleep) deep: She's a very sound sleeper.)
    3) (full; thorough: a sound basic training.)
    4) (accurate; free from mistakes: a sound piece of work.)
    5) (having or showing good judgement or good sense: His advice is always very sound.)
    - soundness
    - sound asleep
    II 1. noun
    1) (the impressions transmitted to the brain by the sense of hearing: a barrage of sound; ( also adjective) sound waves.)
    2) (something that is, or can be, heard: The sounds were coming from the garage.)
    3) (the impression created in the mind by a piece of news, a description etc: I didn't like the sound of her hairstyle at all!)
    2. verb
    1) (to (cause something to) make a sound: Sound the bell!; The bell sounded.)
    2) (to signal (something) by making a sound: Sound the alarm!)
    3) ((of something heard or read) to make a particular impression; to seem; to appear: Your singing sounded very good; That sounds like a train.)
    4) (to pronounce: In the word `pneumonia', the letter p is not sounded.)
    5) (to examine by tapping and listening carefully: She sounded the patient's chest.)
    - soundlessly
    - sound effects
    - soundproof
    3. verb
    (to make (walls, a room etc) soundproof.) insonorizzare
    III verb
    (to measure the depth of (water etc).)
    - sound out
    * * *
    sound (1) /saʊnd/
    a.
    1 sano ( anche fig.); buono; in buone condizioni fisiche; solido; valido; efficace; fondato (fig.): a sound mind in a sound body, mente sana in corpo sano; safe and sound, sano e salvo; a sound economic policy, una sana politica economica; sound advice, buoni consigli; consigli validi; a sound ship, una nave in buone condizioni; a sound bank, una banca solida; a sound method, un metodo valido; sound criticism, critiche efficaci, fondate
    2 accurato; completo: a sound investigation, un'accurata indagine
    3 ( del sonno) profondo; tranquillo: to be sound asleep, dormir della grossa; dormire profondamente
    4 (comm.) solvibile
    5 ( di persona) integro; onesto; fidato: a sound friend, un amico fidato
    7 (fam.) buono; bravo; capace: a sound player, un bravo giocatore
    8 (fam.) forte; sonoro; bello (fam.): a sound defeat, una bella batosta; a sound slap, un sonoro ceffone, un bello schiaffo
    sound-headed, equilibrato (fig.) □ (fam.) sound in life and limb, in buona salute; in forma □ (fin.) a sound investment, un investimento sicuro □ sound-minded, dotato di buonsenso □ (fin.) sound money, moneta stabile □ sound sense, buonsenso □ a sound thrashing, una bella bastonatura; un fracco di botte (pop.) □ sound views, vedute giuste; idee sane □ (fam.) as sound as a bell, ( di persona) sano come un pesce; ( di cosa) in perfette condizioni.
    ♦ sound (2) /saʊnd/
    A n. [uc]
    1 suono ( anche fig.); rumore; rombo; rimbombo; rintocco: (fon.) vowel sounds, suoni vocalici; What was that sound?, cosa è stato quel rumore?; the sound of footsteps, il rumore dei passi; The sound of aircraft landing, il rombo degli aerei che atterrano; the sound of bells, il rintocco delle campane; a metallic sound, un suono metallico
    2 tono: I like the sound of her voice, mi piace il tono della sua voce
    3 ( radio) suono; voce (fam.)
    4 (cinem.) (il) sonoro
    5 (TV) (il) sonoro; audio: loss of sound, scomparsa del sonoro; Turn down the sound, will you?, abbassa l'audio (o il volume), per favore!
    6 (fig.) modo in cui si mettono le cose: From the sound of it, I'm afraid the strike may go on for weeks, da come si mettono le cose, temo che lo sciopero vada avanti per delle settimane; by the sound of it, a quanto pare
    B a. attr.
    1 (fis.) acustico: sound absorption, assorbimento acustico
    2 (mus., cinem., TV) sonoro: a sound film, un film sonoro; sound effects, effetti sonori
    3 (ling.) fonetico: sound law, legge fonetica; sound system, sistema fonetico
    ● (aeron.) sound barrier, muro del suono: to break the sound barrier, superare il muro del suono □ (fam.) sound bitesound-bite □ (mus.) sound bodysoundbox □ (cinem., TV) sound by…, tecnico del suono… ( seguito dal nome) □ (comput.) sound card, scheda audio □ (tecn.) sound check, controllo dell'audio □ sound conditioned, insonorizzato □ (tecn.) sound deadener, materiale fonoassorbente □ sound engineer, tecnico del suono; (cinem.) fonico □ (comm.) sound equipment, attrezzature acustiche □ (mus.) sound grill, griglia sonora ( di fisarmonica) □ (fis.) sound-level meter, fonometro □ sound library, fonoteca □ sound meter = sound-level meter ► sopra □ sound mixer, apparecchio per il missaggio ( di un film, ecc.), mixer; tecnico addetto al missaggio □ (mus.) sound post, anima ( di un violino, ecc.) □ sound projector, proiettore sonoro □ ( anche mil.) sound ranging, fonotelemetria □ (tecn.) sound-ranging altimeter, altimetro acustico □ sound recorder, fonoregistratore □ ( slang USA) sound sheet, disco fonografico inserito in una rivista; dischetto ( da pochi soldi) □ (ling.) sound shift, cambiamento fonetico; rotazione consonantica □ (cinem., radio, TV) sound technician (o recordist), fonico; tecnico del suono □ (cinem.) sound track, colonna sonora □ ( USA) sound truck, furgone con altoparlante □ (fis.) sound wave, onda sonora □ out of sound, fuori del campo uditivo □ to be within sound of st., essere in grado di udire qc.; essere a portata di orecchio □ We liked the sound of his report, il tenore della sua relazione ci fece piacere.
    sound (3) /saʊnd/
    n.
    sonda ( anche med.); scandaglio.
    sound (4) /saʊnd/
    n. (geogr.)
    1 braccio di mare; stretto
    2 ( USA) laguna.
    sound (5) /saʊnd/
    n.
    ♦ (to) sound (1) /saʊnd/
    A v. i.
    1 suonare ( anche fig.); echeggiare; rimbombare; risuonare; squillare: His last words sounded in my ears, le sue ultime parole mi risuonavano nelle orecchie; The bugles sounded, squillarono le trombe; This sentence doesn't sound well, questa frase suona male
    2 sembrare, apparire, parere ( al suono): His idea sounds like a good one, la sua idea pare buona; DIALOGO → - After the cinema- That sounds good, buona idea; His voice sounded troubled, la sua voce appariva turbata; Your cough sounds better, sembra che la tosse ti stia passando; to sound as if (o as though) sembrare che: It sounds as if the economic situation is getting worse and worse, sembra che la congiuntura peggiori sempre più
    B v. t.
    1 suonare; ( dell'orologio) battere: (mil.) to sound the alarm [the retreat], suonare l'allarme [la ritirata]; The clock sounds the hour, l'orologio batte l'ora
    2 far risuonare; battere su (qc. per controllarne il suono): to sound the wheels of a railway carriage, battere sulle ruote di una carrozza ferroviaria
    3 (med.) auscultare
    4 (fon.) pronunciare: The «h» in «heir» is not sounded, l'«h» nella parola «heir» non si pronuncia (o è muta)
    5 (lett.) celebrare; proclamare; cantare (fig.): to sound sb. 's praises, cantar le lodi di q.
    to sound hollow, dare un suono cupo (o sordo); ( di scusa, pretesto, ecc.) suonare falso (o fasullo) □ (autom.) to sound one's horn, suonare (il clacson) □ (fig.) to sound a note of warning, far squillare un campanello d'allarme □ to sound off, (mil.) suonare; dare un segnale suonando; ( di soldati in marcia) cadenzare il passo ad alta voce; (fig. fam.) cantarla chiara, parlare apertamente; (fam. USA) concionare, pontificare; ( anche) lagnarsi, protestare, fare rimostranze □ to sound sb. 's praises far and wide, fare lodi sperticate a q.; portare q. alle stelle.
    (to) sound (2) /saʊnd/
    A v. t.
    1 sondare; (naut.) scandagliare; (med.) esaminare con la sonda: to sound the bottom of the sea, scandagliare il fondo del mare; to sound the depth of a channel, sondare la profondità d'un canale marittimo; (med.) to sound the bladder, esaminare la vescica con la sonda
    2 (fig., spesso to sound out) scandagliare; sondare; indagare su; sondare l'animo di, tastare il terreno (fig.): to sound sb. 's feelings, sondare i sentimenti di q.; Did you sound him out on ( o about) the subject?, hai tastato il terreno con lui in proposito?
    B v. i.
    1 (naut.) affondare lo scandaglio; misurare la profondità dell'acqua
    2 ( delle balene e di alcuni pesci) immergersi; puntare verso il fondo.
    * * *
    I 1. [saʊnd]
    1) fis. telev. rad. suono m.
    2) (noise) rumore m.; (of bell, instrument, voice) suono m.
    3) (volume) audio m., volume m.

    by the sound of it,... — a quanto pare

    2.
    modificatore [engineer, technician] del suono
    3.
    1) (in good condition) [building, constitution] solido; [ heart] forte; [lungs, physique] sano; [ health] buono
    2) (well-founded) [basis, education] solido; [ judgment] sensato; [ advice] valido
    4) econ. comm. [ investment] sicuro; [ management] oculato
    5) (deep) [ sleep] profondo
    6) (correct, acceptable)
    4.

    to be sound asleep — essere profondamente addormentato, dormire della grossa

    II 1. [saʊnd]
    1) fare suonare [ siren]; suonare [ trumpet]
    2) ling. pronunciare [ letter]
    3) med. auscultare [ chest]
    4) (express) dare [ warning]
    2.
    1) (seem) sembrare

    to sound banal, boring — sembrare banale, noioso

    3) (convey impression) fare, suonare

    it may sound silly, but... — può sembrare stupido, ma

    4) (make a noise) [trumpet, alarm, buzzer, siren] suonare
    III [saʊnd]
    nome geogr. stretto m.

    English-Italian dictionary > sound

  • 37 appoggio

    m
    2) перен. опора; поддержка
    dare appoggioоказать поддержку
    essere d'appoggioслужить поддержкой, быть опорой
    vantare molti appoggiпользоваться широкой поддержкой
    Syn:
    sostegno; перен. aiuto, favore

    Большой итальяно-русский словарь > appoggio

  • 38 позиция

    1) ( расположение) posizione ж., situazione ж.
    2) ( для ведения боя) posizione ж.
    ••
    3) (точка зрения, принцип поведения) posizione ж., punto м. di vista
    4) ( поза) posa ж.
    * * *
    ж.

    передовые пози́ции — posizioni avanzate, prima linea; fronte avanzato

    исходная пози́ция — posizione di partenza

    выбор пози́ции спорт.piazzamento

    2) ( точка зрения) ( presa di) posizione; principii m pl; vedute f pl ( взгляды)

    с пози́ции силы — da posizione di forza

    отстаивать свои пози́ции — difendere le proprie posizioni

    терять пози́ции — perdere posizioni / terreno / quota

    отступить от своих пози́ций — recedere dalle proprie posizioni; arretrare vi (a)

    занять пози́цию против / за... — schierarsi / allinearsi <contro / a favore di...>

    * * *
    n
    2) liter. trincea
    3) account. situazione
    4) fin. esposizione, posto, voce (договора, контракта)

    Universale dizionario russo-italiano > позиция

  • 39 -sometime, sometimes o some time?-

    Nota d'uso
    Sometime è un avverbio che significa principalmente “prima o poi, a un certo punto, un giorno” in riferimento al futuro o al passato: Shall we meet up sometime soon? ci incontreremo presto? Some time (due parole) significa “un po' di tempo”: Please give me some time to think through all the issues, per favore, dammi un po' di tempo per pensare a tutte le questioni. L'avverbio sometimes, infine, significa “a volte, talvolta”: Sometimes I get awful headaches, a volte mi vengono dei tremendi mal di testa; Sometimes I travel by bus into work, sometimes I drive, a volte vado al lavoro in autobus, a volte ci vado in auto.

    English-Italian dictionary > -sometime, sometimes o some time?-

  • 40 ♦ call

    ♦ call /kɔ:l/
    n.
    1 grido; invocazione; richiamo; chiamata; voce: a call for help, un grido (o un'invocazione) di aiuto; the call of the sea, il richiamo del mare; Give me a call when you're ready, chiamami (o dammi una voce) quando sei pronto; This is the last call for Flight Z 87, ultima chiamata per il volo Z 87; (teatr.) This is your five minute call, in scena tra cinque minuti
    2 ( di uccello) verso; grido; richiamo
    3 appello; invito: a call for action, un invito ad agire; a call for order, un invito all'ordine; a call to strike, un appello allo sciopero; a call to free the hostages, un appello per la liberazione degli ostaggi; to put out a call for st., diramare un appello per qc.
    4 richiesta; domanda: a call for reforms [for a pay rise], una richiesta di riforme [di aumento salariale]; (fin.) call for funds, richiesta di fondi; There is little call for this kind of article, c'è poca richiesta per un simile articolo
    5 telefonata; chiamata: telephone call, chiamata telefonica; telefonata; to make a call, fare una telefonata; DIALOGO → - Showing guest to room- If you want to make external calls, dial 0 for the line, se volete effettuare chiamate esterne, premere 0 per avere la linea; to return sb. 's call, telefonare a q. ( in risposta a una sua telefonata); to take a call, prendere una telefonata; rispondere (al telefono); DIALOGO → - Refusing a call- I don't want to take that call right now, non voglio prendere la chiamata adesso; I have a call for you, c'è una telefonata per te; I got a call from Tom yesterday, ieri mi ha telefonato Tom; I'll give you a call tomorrow, ti chiamo (o ti telefono) domani; local call, chiamata (o telefonata) urbana; hoax call, falso allarme telefonico
    6 ( anche leg.) convocazione; chiamata: a call to the Palace, una convocazione del sovrano; The ambassador received a call to the Foreign Office, l'ambasciatore è stato convocato al Ministero degli Esteri
    7 vocazione; chiamata: his call to be a missionary, la sua vocazione a fare il missionario
    8 (in frasi neg. e interr.) bisogno; motivo: There's no call to shout, non c'è bisogno di gridare (o di alzare la voce); Is there any call for me to worry?, c'è motivo che io mi preoccupi?
    9 visita (spec. ufficiale o professionale); to pay a call on sb., fare visita a q.; The doctor is out on a call, il medico è fuori per una visita; (med.) house call, visita a domicilio
    10 (ferr.) fermata, sosta
    11 (naut.) scalo: port of call, porto di scalo
    12 (mil.) adunata: to sound the call, suonare l'adunata
    13 ( in albergo, ecc.) sveglia: I asked the night porter for a five o'clock call, chiesi al portiere di notte di darmi la sveglia alle cinque
    14 ( caccia) richiamo: a duck call, un richiamo per anatre
    18 ( Borsa) = call option ► sotto
    19 (comput.) chiamata ( a una procedura, ecc.): call instruction, istruzione di chiamata
    20 ( sport) richiamo, segnalazione, fischio ( dell'arbitro); ( anche) decisione dell'arbitro
    21 (a bridge) (turno di) chiamata: Whose call is it?, a chi tocca chiamare?
    call-bell, campanello □ call bird, (uccello da) richiamo □ (GB) call box, cabina telefonica □ call boycallboy □ call centre ( USA call center), call center ( fornitore di servizi, tramite telefono) □ ( banca) call deposit, deposito a richiesta ( non vincolato) □ (telef.) call diverter, commutatore telefonico □ (leg.) call for bids (o for tenders), (bando di) gara d'appalto □ call girl, (ragazza) squillo □ ( USA) call house, casa d'appuntamenti; bordello □ (org. az.) call-in pay, indennità di pronta disponibilità □ ( radio, TV, USA) call-in ( program), programma con telefonate ( del pubblico) in diretta □ (fin.) call letter, lettera di richiamo dei decimi □ ( radio, TV, USA) call letters, = call sign ► sotto □ ( banca) call loan, prestito (rimborsabile) a richiesta ( con il preavviso di 24 ore) □ call money, ( Borsa) denaro investito a brevissima scadenza; ( banca) = call loan ► sopra □ call note, richiamo ( di uccello) □ ( USA) call number, segnatura ( di libro di biblioteca) □ (eufem.) call of nature, bisogno fisiologico □ (leg.) call on guarantor, chiamata in garanzia □ (fin.) call on shares, richiamo dei decimi □ ( Borsa) call option, contratto a premio del compratore (o da pagare); (contratto) dont; opzione di dont (o d'acquisto) □ call-out, chiamata ( di riparatore, ecc.): call-out charge, (diritto di) chiamata □ (GB, antiq.) call-over, appello ( a scuola) □ (fin.) call premium, premio di rimborso (o di richiamo) □ (fin.) call price, prezzo di riscatto □ (fin., Borsa, GB) call rate, tasso di interesse passivo su denaro a richiesta □ ( radio) call sign (o call signal), segnale di chiamata; nominativo □ (leg., in Inghil.) call to the Bar, abilitazione all'esercizio della professione forense □ (mil.) call to quarters, ritirata □ call-up, (mil.) chiamata alle armi, ( di riservisti) richiamo; (i) richiamati (collett.); ( sport) convocazione ( di un giocatore) □ (mil.) call-up papers, cartolina precetto □ calls on one's time, impegni □ above and beyond the call of dutyabove □ at call = on call ► sotto □ to have first call on st., avere diritto per primo a qc. □ (telef.) free call, telefonata gratuita; numero verde □ (naut.) «no calls», «senza scali intermedi» □ on call, a disposizione, reperibile; ( di medico) di servizio, di reperibilità; (fin.: di titolo) pagabile a richiesta; esigibile a vista □ (leg.) on first call, in prima convocazione □ (teatr.) to take a call, essere chiamato alla ribalta □ within call, a portata di voce.
    ♦ (to) call /kɔ:l/
    A v. t.
    1 gridare; dire forte: Joan called my name, Joan ha gridato il mio nome
    2 chiamare (per attirare l'attenzione; per far venire, anche per telefono): I called her but she didn't stop, la chiamai ma lei non si fermò; He called me aside [to the window], mi ha chiamato in disparte [alla finestra]; to call the lift, chiamare l'ascensore; Shall I call you a taxi?, ti chiamo un taxi?; Call the police, chiama la polizia!
    3 telefonare; chiamare: Please call me at 6, telefonami alle 6, per favore
    4 svegliare; chiamare: What time would you like to be called in the morning?, a che ora vuole essere svegliato domani?
    5 convocare; chiamare; citare (leg.): I was called before the committee, sono stato convocato davanti alla commissione; to call a court martial, convocare una corte marziale; to be called to give evidence, essere chiamato a testimoniare; essere citato come testimone
    6 (al passivo) essere chiamato; sentire la vocazione
    7 indire; convocare; proclamare: to call a meeting, indire una riunione; to call an election, indire le elezioni generali; to call a strike, proclamare uno sciopero
    8 dare ( un nome) a; chiamare; mettere ( un nome) a: We're going to call her Lucy, la chiameremo Lucy; What are we going to call the new model?, che nome daremo al nuovo modello?
    9 chiamare (con un dato nome, titolo, ecc.): I was always called by my surname, venivo sempre chiamata per cognome; DIALOGO → - Arriving for a meeting- Please, call me Sheila, la prego, mi chiami Sheila
    10 (al passivo) chiamarsi; avere nome; (rif. a soprannome, ecc.) essere chiamato, essere detto; ( di libro, film, ecc.) intitolarsi, essere intitolato, avere come titolo: What's this thing called?, come si chiama questo?; DIALOGO → - Discussing books 1- What's the book called?, qual è il titolo del libro?; His friend was called Jasper, il suo amico si chiamava Jasper; King John, also called John Lackland, Re Giovanni, detto anche Giovanni Senzaterra
    11 definire; dire; chiamare: I wouldn't call him a close friend, non lo definirei un amico intimo; That's what I call a miracle, io questo lo chiamo (o per me è) un miracolo; She calls herself an artist, si definisce un'artista; dice di essere un'artista
    12 dare a (q. del…): He called me a cheat, mi ha dato dell'imbroglione
    13 ( sport: di arbitro, ecc.) dichiarare: to call the ball in, dichiarare buona la palla
    15 (fin.) richiamare ( un titolo)
    17 (comput.) chiamare ( una procedura, ecc.)
    B v. i.
    1 chiamare: I heard you call, ti ho sentito chiamare; Duty calls!, il dovere chiama!
    2 ( d'uccello, ecc.) emettere il richiamo; chiamare
    3 telefonare; chiamare: I'm calling about your ad, telefono per il suo annuncio; Where was he calling from?, da dove chiamava?; DIALOGO → - On the phone- Who's calling, please?, scusi, chi parla?
    4 andare; venire; passare; far visita; andare a trovare: Has anybody called?, è venuto nessuno?; The nurse called every day, l'infermiera passava tutti i giorni; to call at the bank, passare in banca; to call into the post office, passare all'ufficio postale; We called on our neighbours to see if everything was all right, siamo passati dai vicini per vedere se andava tutto bene
    to call sb. 's attention to st., richiamare l'attenzione di q. su qc. to call the banns, fare le pubblicazioni (matrimoniali) □ to call sb. 's bluffbluff (3) □ (fin.) to call bonds, riscattare obbligazioni □ (leg.) to call a case, chiamare una causa; fissare un'udienza □ (telef., USA) to call collect, fare una telefonata a carico del destinatario □ (aeron., trasp.) to call a flight, annunciare un volo □ to call a halt, dare l'alt; fermare □ to call into being, dar vita a; creare □ to call into play, chiamare in gioco; mettere in moto □ to call into (o in) question, mettere in dubbio □ to call it ( seguito da una cifra), fare…; Let's call it $100, facciamo cento dollari □ (fam.) to call it a day, aver lavorato abbastanza; fare punto (e basta); chiuderla lì: It's getting dark: let's call it a day!, si fa buio: chiudiamola qui; DIALOGO → - In a meeting- I think we'll call it a day there, credo che concluderemo qui □ to call it quits, considerarsi pari; chiudere la faccenda; chiuderla lì; ( anche) farla finita, lasciare tutto, chiudere: Take these ten pounds and let's call it quits, prendi queste dieci sterline e chiudiamola lì □ to call sb. names, insultare q. □ (fam. USA) to call the shots, essere quello che decide, che comanda; comandare □ to call a spade a spade, dire pane al pane; parlare chiaro □ to call to account, chiamare alla resa dei conti; chiedere conto a q. (di qc.) □ to call to arms, chiamare alle armi □ to call to mind, richiamare alla mente (o alla memoria) □ to call to order, richiamare all'ordine □ to call the tune, essere quello che decide, che comanda; comandare; dirigere la musica □ to call st. one's own, dire che qc. ci appartiene: The study was the only place I could call my own, lo studio era l'unico posto che potevo dire (o che fosse) veramente mio □ (leg., in GB) to be called to the Bar, essere ammesso all'esercizio della professione forense □ (leg., in GB) to be called within the Bar, essere nominato ► «King's (o Queen's) Counsel» (► counsel) □ (eufem. fam.) Don't call us, we'll call you, la chiameremo noi; le faremo sapere ( equivalente a una risposta negativa data a un candidato, un postulante, ecc.) □ ( radio) London calling, qui Londra.

    English-Italian dictionary > ♦ call

См. также в других словарях:

  • segnare — se·gnà·re v.tr. (io ségno) FO 1a. in un testo scritto, notare, distinguere, porre in rilievo qcs. con l uso di segni convenzionali: segnare le pagine da studiare, segnare le notizie più interessanti, segnare gli errori da correggere Sinonimi:… …   Dizionario italiano

  • segnare — [lat. signare segnare, distinguere; indicare, esprimere , der. di signum segno ] (io ségno,... noi segniamo, voi segnate, e nel cong. segniamo, segniate ). ■ v. tr. 1. a. [dare rilievo mediante uno o più segni: s. gli errori con la matita rossa ; …   Enciclopedia Italiana

  • autogol — au·to·gòl s.m.inv. 1. TS sport spec. nel calcio, punto a favore della squadra avversaria segnato mandando involontariamente il pallone nella propria rete Sinonimi: autorete. 2. CO fig., gesto che si ritorce contro chi lo ha compiuto: la… …   Dizionario italiano

  • civaia — ci·và·ia s.f. 1. BU spec. al pl., le piante leguminose e i loro semi commestibili; anche in funz. agg.: lenticchia civaia 2. OB voto, punto a favore (un tempo espresso con un legume secco) {{line}} {{/line}} DATA: av. 1388. ETIMO: dal lat.… …   Dizionario italiano

  • segnare — {{hw}}{{segnare}}{{/hw}}A v. tr.  (io segno ) 1 Notare, rilevare, mediante uno o più segni: segnare le note in margine a un libro. 2 Indicare mediante un segno particolare: segnare la pagina con un segnalibro; una linea bianca segna il confine |… …   Enciclopedia di italiano

  • plus — /plus, ingl. plʌs/ [lat. plus «più», in uso spec. nella lingua ingl.] s. m. inv. (econ.) vantaggio, punto a favore …   Sinonimi e Contrari. Terza edizione

  • tenere — /te nere/ [dal lat. tenēre ] (pres. indic. tèngo [ant. tègno ], tièni, tiène, teniamo [ant. tegnamo ], tenéte, tèngono [ant. tègnono ]; pres. cong. tènga..., teniamo, teniate, tèngano [ant. tègna..., tegnamo, tegnate, tègnano ]; imperat. tièni,… …   Enciclopedia Italiana

  • Leyes raciales fascistas — Las leyes raciales fascistas son un conjunto de medidas legislativas y administrativas (leyes, decretos, circulares, etc.) que fueron lanzadas en Italia entre 1938 y los primeros cinco años de la década de 1940, inicialmente por el régimen… …   Wikipedia Español

  • Traité de Zurich — Le traité de Zurich met fin à au conflit qui oppose la coalition franco sarde à l’Autriche, le traité est négocié et signé entre le 10 et le 11 novembre 1859: les Autrichiens cèdent la Lombardie à la France qui la cède à la Savoie alors que… …   Wikipédia en Français

  • Maria Rita Saulle — On 4 November 2005 Maria Rita Saulle was appointed Judge of the Italian Constitutional Court by the President of the Republic Carlo Azeglio Ciampi. She was sworn in on 9 November 2005 and died on the 7th July 2011.[1] Maria Rita Saulle was Full… …   Wikipedia

  • — 1sì avv., s.m.inv., agg.inv. FO I. avv. I 1. spec. in risposta a una domanda, affermazione olofrastica equivalente a una proposizione affermativa: «Hai sonno?» «Sì», «Hai studiato la lezione?» «Sì» | ripetuto con valore enfatico: sì sì, ho… …   Dizionario italiano

Поделиться ссылкой на выделенное

Прямая ссылка:
Нажмите правой клавишей мыши и выберите «Копировать ссылку»