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Quella burina dalle guance gonfie mi guardò e rispose, con superbia: «Chi disprezza, compera». (A. Moravia, «Racconti romani»)

Nel cuore di Luca regna il disprezzo. Credo di essergli divenuto amico anche per questo: perché ammiro la sua superiorità, sebbene conosca ormai il suo tallone di Achille. Chi disprezza, vorrebbe comprare. (P. Spalletti, «Esame di riparazione»)

Il giorno che la Rapisarda dovè tornare definitivamente in città... su un treno che batteva la fiacca... si mise subito al letto, benché fosse arrivata che era ancora la mattina verso le dieci. (B. Tecchi, «La terra abbandonala»)

...quando suo figlio compì i quattordici anni, pensò di metterlo a scuola, perché imparasse il miglior sistema per battere la fiacca. (I. Calvino, «Fiabe italiane»)

Ci furono subito i risultati, perché la ragazza nei lavori batteva la fiacca, sudava, e sua madre capì che era incinta. (A. Cervi, «I miei sette figli»)

«Perder la faccia», venir meno a dignità. Locuzione dell'Estremo Oriente. Il contrario è salvar la faccia. (A. Panzini, «Dizionario moderno»)

Nel commercio aveva valore la parola data e chi non l'osservava perdeva la faccia col risultato di non poter più esercitare il commercio. (G. Comisso, «Le mie stagioni»)

Bonavia. — Il primo che lasciava il campo avrebbe perso la faccia. Rizzo lo sapeva. (D. Damiani, «Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica»)

Non pochi emigravano, consolandosi con un vecchio proverbio: Bella l'Italia, bella la Spagna, più bello il paese dove si magna. (A. Panzini, «Il libro dei morti»)

— Nessuno l'ha assistito, meschino! Solo, senza neppure un requiem è andato al mondo di là. (F. Perri, «Emigranti»)

— La lingua batte dove il dente duole, — interruppe il Barzola: — e il tuo debole, sappiamo bene, è la gola, vecchia peccatrice. (R. Bacchelli, «Tre giorni di passione»)

...costano le femmine, occasionali o fisse, costano sempre più di quello che uno si può permettere, ti succhiano le ossa, te le spolpano e, se ci riescono, ti mandano all'altro mondo. (P. A. Buttita, «Il volantino»)

Di studiare non ho voglia; sono andato invece all'opera, in poltrona e colla marsina di nostro padre che mi va a pennello. (T. Landolfi, «Un amore del nostro tempo»)

— Mi squadri dalla testa ai piedi. Che cosa ho di particolare?

—...Mi è venuto a dire che non ci andava più. Per me andava a pennello. (F. Giovannini, «La babelle»)

Lo chiamano il Callo: e come gli torna a pennello questo soprannome. (E. Pea, «Il forestiero»)

—...Poi il capitano Sandrini e quell'altro terribile che ci fece tanta paura quel giorno.

Si batte il petto chi ama troppo la comodità... Chi cioè prende delle medicine senza star male ma soltanto per paura di soffrire. (C. Cederna, «Signore & Signori»)

«Avete niente da dire in vostra difesa?» Carlone si alzò dalla panca molto lentamente. «Che volete che dica? Chi ha più polvere spara. Però fate un gran brutto mestiere e non vorrei stare nei vostri panni». (L. Bigiaretti, «Carlone. Vita di un italiano»)

— Nuota a pancia nel fango chi ci ha pulci tra le squame! — che doveva essere un modo di dire dei suoi tempi (sul tipo del nostro proverbio nuovo, e molto più rapido: «chi ha prurito si gratti»). (I. Calvino, «Le Cosmicomiche»)

Ilde... — Lei ha detto: chi rompe paga: ed io pago, signor Spacca...

Io ho commesso un grande sproposito, e chi rompe, paga. (E. Castelnuovo, «L'onorevole Paolo Leonforte»)

E continuò finché fu ben persuaso che predicava al deserto; poi concluse: «Basta: non c'è peggior sordo di chi non vuole udire...». (E. Calandra, «La bufera»)

Gli si rispondeva: «Il caso non ci interessa». Peggio che parlare al vento. Davvero non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. (A. Campanile, «Gli asparagi e l'immortalità dell'anima»)