-
1 poco
1. agg. indef.малый, небольшой; немногочисленный; немногий; (scarso) недостаточный, скудныйci sono poche speranze — увы, надежды мало!
ha pochi capelli — у него жидкие волосы (мало волос, он лысеет)
2. pron. indef.1) немногое (n.), малое (n.)meglio poco che niente — лучше мало, чем ничего
2) (pl.) немногие, малыеi pochi che l'hanno letto ne hanno parlato bene — те немногие, кто прочитал книжку, отзывались о ней хорошо
3. avv.немного, мало; (raramente) редко; (male) плохо, неважно4. m.1) немногое (n.), малое (n.); (un poco, un po') немного, немножко, чуть-чутьun bel po' — порядочно (немало) (avv.)
vive del poco che guadagna — он живёт на то немногое, что зарабатывает
per il poco che ne so, ha ragione lui — насколько я понимаю, прав он
"Ti annoi?" "Un po'" — - Скучаешь? - Чуть-чуть!
2) (enfatico) -ка (o non si traduce)vediamo un po' che cosa si può fare! — посмотрим, что тут можно сделать!
5.•◆
poco fa — недавно (avv.)poco dopo — вскоре (потом) (avv.)
poco prima — незадолго до + gen.
in poche parole — a) (per farla breve) короче говоря; b) (riassumendo) в общем
ci vuole (basta) poco — не требуется особых усилий (ничего не стоит, нетрудно)
vuole dieci milioni al mese, e scusate se è poco! — он хочет десять миллионов в месяц: у него губа не дура!
per poco non ci rimanevo! — ещё немного, и мне был бы капут!
c'erano a dir poco duemila persone — собралось, по самым скромным подсчётам, две тысячи человек
c'è poco da ridere! — нечему смеяться (не вижу в этом ничего смешного, тут не до смеха)
se poco poco ti ci metti, vedrai che ci riuscirai! — если поднажмёшь, то получится!
guarda che po' po' di macchina s'è comperato! — смотри, какую машину он себе отхватил!
niente po' po' di meno! — ни больше, ни меньше!
a cena da loro c'era niente po' po' di meno che il sindaco — у них на ужине был мэр собственной персоной
pochi, ma buoni! — нас мало, но мы в тельняшках! (важно не количество, а качество)
6.• -
2 ♦ hard
♦ hard /hɑ:d/A a.1 duro; solido; sodo: as hard as steel, duro come l'acciaio; a hard bench, una panca dura; hard soil, terreno duro (o solido)2 arduo; difficile; ostico; duro (lett.): hard questions [words], domande [parole] difficili; DIALOGO → - After an exam- There were a couple of really hard questions, c'erano un paio di domande veramente difficili; a hard task, un compito arduo; un duro compito; a hard case, un caso difficile ( da trattare); to find it hard to do st., fare qc. con grande difficoltà5 forte; grande; accanito, ostinato, tenace: a hard drinker, un forte bevitore; a hard worker, un gran lavoratore; un lavoratore indefesso; a hard smoker, un fumatore accanito6 duro; difficile; pieno di guai: hard life, vita dura; hard times, tempi difficili (o duri); ( di un prodotto) hard to sell, difficile a vendersi8 duro; aspro; brusco; sgarbato: hard words, parole dure (o aspre); hard manners, modi bruschi (o sgarbati)12 duro; aspro; sgradevole; brutto: a hard voice, una voce dura (o aspra); a hard story, una storia sgradevole; una brutta storia; hard light, luce sgradevole16 (agric., chim., fon.) duro: hard wheat, grano duro; hard water, acqua dura; The letter «g» is hard in «go», la lettera «g» è dura in «go»17 (ind. tess.) liscio; rasato18 (econ., fin.) forte; pregiato; solido; sostenuto: hard currency, moneta (o valuta) forte; moneta (o valuta) pregiataB avv.1 energicamente; forte, violentemente: It was raining hard, pioveva forte (o a dirotto); I hit him hard, lo colpii violentemente (o duro)2 accanitamente; molto; sodo; troppo: to fight hard, battersi accanitamente; to study hard, studiare molto; to try hard, fare ogni sforzo; to try one's hardest, mettercela tutta; to work hard, lavorare sodo; to drink hard, bere troppo; to be hard at it (o at work) darci sotto; lavorare sodo3 attentamente; intensamente: to listen hard (to sb.), ascoltare attentamente (q.); to think hard, pensare intensamente; riflettere profondamente5 duramente; gravemente; seriamente: I was hard hit by the slump, sono stato duramente colpito dalla recessioneC n.1 (naut.) approdo dal fondo solido● hard alcohol, alcol ad alta gradazione □ hard-and-fast, categorico, inderogabile, ferreo, rigido □ hard-and-fast rules, regole ferree □ (naut.) Hard aport!, tutto a sinistra! □ (fam. USA) a hard-ass, persona troppa ligia alle regole; tipo inquadrato (fig. fam.) □ (fam. USA) hard-assed, troppo ligio alle regole; inquadrato (fig. fam.) □ hard-baked, troppo cotto, duro ( per eccesso di cottura); (fig. fam.) duro, insensibile □ (naut.) hard beach, spiaggia di alaggio □ (fig.) hard-bitten, agguerrito, temprato; duro, indurito, insensibile □ hard-boiled, ( d'uovo) sodo; (fig.) duro, indurito, incallito, cinico; (fam.) concreto, pratico; ( di un film, ecc.) giallo, con scene di violenza □ hard-bought, acquistato (fig.: conseguito, ottenuto) a caro prezzo □ hard by, proprio vicino; vicinissimo (a) □ hard cash, (econ.) circolante; (fin.) denaro liquido; denaro contante; contanti: to demand hard cash, voler essere pagato in contanti □ hard coal, antracite □ (comput.) hard copy, copia cartacea; copia a stampa □ hard core, (pietrisco per) massicciata ( di strada); (fig.) nucleo intransigente, nucleo di irriducibili ( di un gruppo); (polit.) zoccolo duro (fig.); (mus.) hardcore □ hard-core, intransigente; irriducibile; duro; inflessibile; ( anche) cronico, incurabile; (mus.) hardcore; ( di pornografia) molto spinto, hard-core: hard-core opposition, opposizione irriducibile; (econ.) hard-core unemployment, disoccupazione cronica; a hard-core film, un film hard-core; un film pornografico spinto ( con scene di sesso non simulato) □ ( tennis) hard court, campo in terra battuta (o di cemento, ecc.) □ (comput.) hard disk ( drive) (abbr. HD/D/), hard disk; disco rigido □ to be hard done by, essere trattato male (o in modo ingiusto) □ hard drink, bevanda forte; superalcolico □ hard drinking, eccesso nel bere; alcolismo □ hard drug, droga pesante □ hard-earned, guadagnato con grande fatica (o col sudore della fronte): a hard-earned victory, una vittoria sudata □ hard-edged, ben delineato; risoluto □ (comput.) hard error, errore hardware □ the hard facts, i fatti incontrovertibili; la realtà nuda e cruda (fam.) □ hard-featured, dai lineamenti duri; ( di un viso) ruvido; grossolano (fig.) □ hard feelings, inimicizia; rancore: No hard feelings!, senza rancore!; amici come prima! □ hard-fisted, dalle mani forti; (fig.) duro, severo; ( anche) avaro, spilorcio, tirchio □ hard-fought, combattuto, sofferto; tirato (fam.): a hard-fought match, un incontro tirato □ hard freeze, gelo duro □ hard frost, freddo intenso, rigido □ (econ.) hard goods, beni di consumo durevoli □ hard going, faticoso; pesante (fig.) □ hard-handed, dalle mani incallite; (fig.) che ha la mano pesante, duro □ hard hat (o hard-hat), elmetto da edile; casco di protezione; (fam.) operaio edile, muratore; (fig. fam. USA) ultraconservatore, reazionario □ hard-head ► hardhead □ (fig.) to have a hard head, avere la testa dura; essere cocciuto □ hard-headed, pratico, realistico; accorto, avveduto; ( USA) caparbio, ostinato, testardo □ hard-hearted, dal cuore duro; insensibile; crudele □ hard-heartedness, insensibilità; crudeltà □ ( anche fig.) hard-hit, duramente colpito □ ( sport) a hard-hitter, uno che colpisce duro □ (di discorso, ecc.) hard-hitting, energico, vigoroso, incisivo; ( anche) che non usa giri di parole □ (metall.) hard iron, ferro magnetizzabile □ (leg., stor.) hard labour, lavori forzati ( aboliti in GB nel 1948) □ ( di corda, ecc.) hard-laid, strettamente intrecciato □ hard landing, (aeron.) atterraggio duro; (econ. fig.) atterraggio duro, brusca frenata □ (metall.) hard lead, piombo duro (o all'antimonio) □ (polit.) the hard left, l'estrema sinistra □ ( anche polit.) hard line, linea dura: to take a hard line, seguire la linea dura; non fare concessioni □ hard-line, duro, inflessibile, rigido, intransigente: a hard-line policy, una politica intransigente □ hard liner, chi segue la linea dura; (un) intransigente, irriducibile, integralista □ (fam.) hard lines = hard luck ► sotto □ hard liquor = hard drink ► sopra □ (fin.) hard loan, prestito in valuta forte; ( anche) prestito a tassi di mercato □ hard luck, sfortuna, malasorte; disdetta, scalogna (fam.): Hard luck!, che sfortuna!; che peccato! □ (fam.) a hard-luck story, una storia pietosa (o strappalacrime, fam.) □ a hard man, un duro □ (econ.) hard market, mercato stabile ( nel quale la domanda è alta e i prezzi sono elevati) □ hard money, (econ.) moneta metallica; (polit. USA) contributo diretto alla campagna elettorale di un candidato □ hard-mouthed, ( di cavallo) ribelle al morso; (fig.) indisciplinato, ribelle; testardo, ostinato □ (fam.) hard-nosed, concreto; pratico; realistico; duro □ (fam. fig.) hard nut, osso duro; brutto cliente □ (fam. fig.) a hard nut to crack, una bella gatta da pelare □ hard of hearing, duro d'orecchi; sordastro; che ci sente poco □ hard on, (avv.) = hard upon ► sotto □ (volg.) hard-on, erezione ( del pene); ( slang) to have a hard-on for st., fare una passione per qc.; avere la fregola di qc. (fig.) □ to be hard on, ( di persona) essere duro (o scortese, sgarbato, severo) con (q.); ( di persona) logorare in fretta, maltrattare ( abiti, scarpe, ecc.); ( di cosa) essere dannoso, fare male a: Don't be too hard on your son, non essere troppo duro (o severo) con tuo figlio!; Sitting at a computer all day is hard on the eyes, stare davanti al computer tutto il giorno fa male agli occhi □ to be hard on sb. 's heels, essere alle calcagna di q. □ ( sci) hard-packed snow, neve compatta; neve dura □ (anat.) hard palate, palato duro □ ( nella ceramica) hard paste, pasta dura, pasta compatta □ hard-paste porcelain, porcellana dura □ hard porn, pornografia spinta □ hard-pressed, inseguito da vicino, incalzato; (fig.) oberato, sovraccarico; in difficoltà, alle strette: to be hard-pressed for money, essere a corto di denaro □ to be hard put ( to it) to do st., trovarsi in imbarazzo (o in difficoltà) a fare qc. □ (polit.) the hard right, l'estrema destra □ (ind.) hard rubber, ebanite □ hard science, scienza «dura»; scienze «dure» ( fondate su metodi rigorosi e sperimentali) □ hard science-fiction, fantascienza «dura» ( verosimile sul piano scientifico) □ (market.) ( the) hard-sell, vendita aggressiva □ (market.) hard selling, tecnica di vendita aggressiva □ hard-set, fermo, fisso, ben saldo; ( di cemento, ecc.) indurito; (fig.: di lineamenti) duro, rigido; ( di persona) caparbio, ostinato □ (autom. GB) hard shoulder, corsia d'emergenza ( d'autostrada) □ (mil., miss.) hard site, rampa di lancio protetta □ hard sleep, sonno duro (o profondo) □ (metall.) hard solder, lega per brasatura (o per saldatura forte) □ (naut.) Hard starboard!, tutto a dritta! □ (fam.) the hard stuff, i superalcolici; ( anche) la droga pesante □ ( sport) a hard team to beat, la squadra da battere; un osso duro (fig.) □ hard to please, difficile da contentare; esigente □ hard-to-reach, difficile da raggiungere; di difficile accesso □ hard up, a corto di quattrini; al verde; ( anche) in fregola, eccitato; allupato (fam.) □ hard up for, a corto di, giù a (fam.): I'm hard up for ideas, sono a corto d'idee □ (lett.) hard upon, subito dopo; poco dopo □ hard wear, uso intenso ( d'abiti e sim.) □ ( d'abito e sim.) hard-wearing, robusto; resistente all'uso □ hard-wired ► hardwired □ ( anche mil. e sport) hard-won, contrastato; ottenuto a caro prezzo □ hard-working, laborioso, operoso □ (fig.) to be (as) hard as nails, essere forte, muscoloso; essere duro di cuore, insensibile □ (fig.) to come hard, essere dura: It comes hard to say goodbye, è dura dire addio □ to die hard, ( di un'abitudine e sim.) essere duro a morire; ( di una persona) vendere la pelle a caro prezzo □ to do st. the hard way, fare da sé, ma con fatica; imparare a fare qc. con la dura pratica □ to freeze hard, diventare solido per il gelo; gelare □ to get hard, indurirsi; solidificarsi □ (fam.) to give sb. a hard time, rendere la vita difficile a q.; fare soffrire q.; farla trovare lunga a q. (fam.) □ to go hard with sb., essere dura (o un duro colpo) per q. □ to have a hard time, passarsela male; essere nei guai □ to have a hard time doing st., avere difficoltà a fare qc., trovare duro fare qc. (fam.) □ to learn st. the hard way, imparare qc. a proprie spese □ (fam.) to play hard to get, farsi desiderare; fare il prezioso (fam.) □ to take st. hard, prendere male qc., essere sconvolto da qc. □ (pop. Austral. e NZ) to put the hard word on sb., chiedere soldi a q.; ( anche) fare un'avance sessuale a q.; ( anche) minacciare q. □ to take a ( long) hard look at st., esaminare qc. con calma; ponderare (su) qc. □ too hard to take, troppo forte; troppo scioccante; indigesto. -
3 перезвонить
( позвонить ещё раз) richiamare, telefonare un'altra voltaплохо слышно, перезвоните! — si sente poco, richiami!
* * *vcolloq. risonare -
4 слышать
1) ( воспринимать слухом) sentire2) ( обладать слухом) sentirci3) ( иметь сведения) sentir parlare, sentir dire, sapere••4) (замечать, чувствовать) sentire, percepire, avvertire* * *несов. В1) udire vt, sentire vtплохо слы́шать — essere duro d'orecchio
2) о + П, про + В ( иметь сведения) sapere vtя о нём и слы́шать не хочу — non voglio più saperne di lui
3) разг. ( ощущать) sentire vtслы́шать запах — sentire l'odore
•- земли под собой не слышать••слышал звон, да не знает, где он — ср. capire fischi per fiaschi
* * *vgener. intendere, sentire, udire -
5 sentire
1. v.t.sentire pietà — жалеть + acc. (сочувствовать + dat.)
senti com'è saporita questa minestra! — попробуй, какой вкусный суп!
ho sentito subito che il vino era acido — я сразу почувствовал, что вино прокисло
2) (udire) слышатьti sento poco, parla più forte! — я плохо тебя слышу, говори громче!
hai sentito che cosa ha combinato? — ты слышал, что он натворил?
non ti ho sentito arrivare — я не слышал, как ты пришёл
l'hai sentita cantare? — ты слышал, как она поёт?
ho sentito che lasci il lavoro — я слышал, (что) ты уходишь с работы?
3) (ascoltare) слушатьsentiamo! — послушаем, что ты скажешь!
va a sentire cosa vuole! — пойди, послушай, чего он хочет!
2. v.i.3. sentirsi v.i.4.•◆
bisogna sentire il medico — надо обратиться к врачу (надо послушать, что скажет врач)sentire il polso — a) пощупать пульс; b) (fig.) прощупать, выяснить
senti senti! — нет ты только послушай! (ну и ну!, ну и дела!)
hai sentito l'ultima? — a) (notizia) слышал, что творится?; b) (barzelletta) ты слышал последний анекдот?
ci sentiamo! — созвонимся! (gerg. перебибикнемся!)
sentirsi in debito con qd. — быть в долгу перед + strum.
senti se ha bisogno di qualcosa! — спроси, не надо ли ей чего!
adesso mi sentirà! — я ему задам! (я ему скажу пару тёплых слов; он у меня получит; я ему покажу, где раки зимуют)
a sentire te, sono tutti stupidi! — послушать тебя, (так) все дураки!
non vuol sentire ragioni! — ему возжа под хвост попала! (он упорствует, никого не слушает, заартачился)
non passerà l'esame, me lo sento! — чует моё сердце, ему не сдать экзамена!
da quest'orecchio non ci sente — он делает вид, что не слышит (пропускает мимо ушей)
gli dico di andare a lavorare, ma da quell'orecchio non ci sente! — мой совет идти работать он пропускает мимо ушей
5.•non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire — труднее всего достучаться до того, кто не хочет слышать
-
6 near
niə
1. adjective1) (not far away in place or time: The station is quite near; Christmas is getting near.) cerca2) (not far away in relationship: He is a near relation.) próximo
2. adverb1) (to or at a short distance from here or the place mentioned: He lives quite near.) cerca2) ((with to) close to: Don't sit too near to the window.) cerca
3. preposition(at a very small distance from (in place, time etc): She lives near the church; It was near midnight when they arrived.) cerca de
4. verb(to come near (to): The roads became busier as they neared the town; as evening was nearing.) acercarse a- nearly- nearness
- nearby
- nearside
- near-sighted
- a near miss
near adj adv cercais the station near here? ¿está cerca la estación?tr[nɪəSMALLr/SMALL]1 cercano,-a■ where is the nearest bank? ¿dónde está el banco más cercano?2 (relations) cercano,-a3 (time) próximo,-a4 (similar) parecido,-a■ this is the nearest we have, I'm afraid lo siento, pero esto es lo más parecido que tenemos1 cerca1 cerca de1 acercarse a■ we are nearing the day when... nos acercamos al día en que...\SMALLIDIOMATIC EXPRESSION/SMALLto come near acercarseto come near to doing something estar en un tris de hacer algoto draw near acercarsenear miss (shot) tiro que no da en el blanco por poco 2 (situation) situación que no se produce por poco■ the lorry almost hit us, it was a near miss por poco nos da el camión, nos escapamos por los pelosnear ['nɪr] vt1) : acercarse athe ship is nearing port: el barco se está acercando al puerto2) : estar a punto deshe is nearing graduation: está a punto de graduarsenear adv1) close: cercamy family lives quite near: mi familia vive muy cerca2) nearly: casiI came near to finishing: casi terminénear adj1) close: cercano, próximo2) similar: parecido, semejantenear prep: cerca deadj.• afín adj.• allegado, -a adj.• aproximado, -a adj.• cerca adj.• cercano, -a adj.• estrecho, -a adj.• inmediato, -a adj.• propincuo, -a adj.• próximo (Cercano) adj.• vecino, -a adj.• íntimo, -a adj.adv.• cerca adv.prep.• cerca de prep.• hacia prep.• sobre prep.v.• acercarse v.
I nɪr, nɪə(r)adjective -er, -est1)a) ( in position) cercano, próximob) ( in time) cercano, próximoc) ( in approximation) parecidothat's the nearest thing to an apology you can expect from him — eso es lo más parecido a una disculpa que se puede esperar de él
d) < relative> cercano2) ( virtual) (before n)3) (BrE Auto, Equ) izquierdo
II
adverb -er, -est1)a) ( in position) cercab) ( in time)c) ( in approximation)the total will be nearer to $1,000 than $500 — el total va a estar más cerca de 1.000 que de 500 dólares
d) ( on the verge of)near to something/-ing: she was near to tears estaba al borde de las lágrimas or a punto de echarse a llorar; I came very near to hitting him — estuve a punto de pegarle, por poco le pego
2) ( nearly) casiI'm nowhere near finished — me falta mucho or (colloq) un montón para terminar
that's nowhere near enough — (colloq) con eso no alcanza, ni mucho menos
it'll cost $1,000, near enough — (colloq) costará 1.000 dólares, o por ahí (fam)
III
preposition -er, -esta) ( in position) cerca deb) ( in time)c) ( in approximation)damage was estimated at somewhere near $2,000 — los daños se calcularon en cerca de 2.000 dólares
d) ( on the verge of)
IV
transitive verb acercarse* a[nɪǝ(r)]1. ADV1) (in place) cercadon't come any nearer! — ¡no te acerques más!
•
so near and yet so far, the shore was so near and yet so far — la orilla estaba al alcance de la mano pero llegar a ella era imposiblevictory was so near and yet so far — la victoria parecía estar asegurada pero ese último esfuerzo para obtenerla les resultó imposible
2) (in time)•
the agreement brings peace a little nearer — este acuerdo nos acerca un poco más a la paz•
winter is drawing near — el invierno se acerca•
the nearer it gets to the election the more they look like losing — a medida que se acercan las elecciones mayor parece la posibilidad de que pierdan•
to be near at hand — [object] estar al alcance de la mano; [event, season] estar a la vuelta de la esquina3) (in level, degree)•
the nearest I ever came to feeling that was when... — la única vez que llegué a sentir algo parecido fue cuando...•
you as near as dammit killed me * — no me mataste, pero por un pelo *•
you won't get any nearer than that to what you want — no vas a encontrar otra cosa que se aproxime más a lo que buscas"have you finished it yet?" - "nowhere near" — -¿has terminado ya? -qué va, me falta muchísimo
4) (=almost) casi•
I came near to telling her everything — llegué casi a decírselo todo•
near on 3,000 people — casi 3.000 personas•
it's in near perfect condition — está casi en perfectas condiciones•
I could hardly see it in the near total darkness — apenas lo veía en la oscuridad que era casi total2. PREP(also: near to)1) (of place) cerca deis there a bank near here? — ¿hay algún banco por aquí cerca?
•
we don't live anywhere near Lincoln — vivimos bastante or muy lejos de Lincoln•
if you come near me I'll kill you — como te me acerques, te mato•
the passage is near the end of the book — el trozo viene hacia el final del libro•
don't go near the edge — no te acerques al borde•
we were nowhere near the station — estábamos bastante or muy lejos de la estación2) (in time)3) (=almost)•
she was near death — estaba al borde de la muerte, tocaba a su fin liter3. ADJ1) (in place) cercanomy house is near enough to walk — mi casa está muy cerca, se puede ir andando
where's the nearest service station? — ¿dónde está la gasolinera más cercana?
2) (in time) próximo•
the time is near when... — falta poco cuando...3) (in level, degree)that's the nearest thing to a compliment you'll get from him — iro eso es lo más parecido a un elogio que vas a conseguir de él
a near thing —
she won, but it was a near thing — ganó, pero por los pelos
4) [relative] cercano4. VT1) (in space) acercarse a2) (in time)he is nearing 50 — frisa en los 50, tiene casi 50 años
3) (in level, degree)5.VI acercarse6.CPDnear miss N — [of planes] casi colisión f ; (when aiming) casi acierto m ; (in competition) (=near-victory) casi victoria f
he had a near miss — (Aer) no se estrelló por poco; (Aut) no chocó por poco
it was a near miss — (target) no dio en el blanco por poco
near money N — (Comm) activos mpl realizables
* * *
I [nɪr, nɪə(r)]adjective -er, -est1)a) ( in position) cercano, próximob) ( in time) cercano, próximoc) ( in approximation) parecidothat's the nearest thing to an apology you can expect from him — eso es lo más parecido a una disculpa que se puede esperar de él
d) < relative> cercano2) ( virtual) (before n)3) (BrE Auto, Equ) izquierdo
II
adverb -er, -est1)a) ( in position) cercab) ( in time)c) ( in approximation)the total will be nearer to $1,000 than $500 — el total va a estar más cerca de 1.000 que de 500 dólares
d) ( on the verge of)near to something/-ing: she was near to tears estaba al borde de las lágrimas or a punto de echarse a llorar; I came very near to hitting him — estuve a punto de pegarle, por poco le pego
2) ( nearly) casiI'm nowhere near finished — me falta mucho or (colloq) un montón para terminar
that's nowhere near enough — (colloq) con eso no alcanza, ni mucho menos
it'll cost $1,000, near enough — (colloq) costará 1.000 dólares, o por ahí (fam)
III
preposition -er, -esta) ( in position) cerca deb) ( in time)c) ( in approximation)damage was estimated at somewhere near $2,000 — los daños se calcularon en cerca de 2.000 dólares
d) ( on the verge of)
IV
transitive verb acercarse* a -
7 carraca
Carraca, esta palabra significa comida, condimentos, conquivus, (cacharros, etc.). Cuando íbamos a llindiar el ganáu disdi ‘l albiar el díe fasta que tapecíe, (cuidar el ganado desde el amanecer hasta el oscurecer) llevábamos la carraca nun cabaxín, zurronacu ou cestacu cualquier, (cabás, zurrón o cualquier otro cesto). Les muyeres baxaben al merquéu ya traíen la carraca pa toa la xemana. (Las mujeres bajaban al mercado y compraban si tenían dinero lo que se necesitase en la casa para toda la semana). Carraca tamén lu ye lu que lus vaqueirus chebaban disdi la teixá pal sou cabanu ou corte de la braña, dunde a lu mexor taben un fatáu de díes xin baxar a l'aldina, per ístu llebaben un carracáu de couxes que ñecexitaben. (Carraca también es lo que los vaqueros llevaban desde casa para sus cabañas del puerto, las morteras o los prados, donde a lo mejor estaban unos días sin bajar a la aldea, por esto subían muchas cosas que necesitaban y no todas eran para comer sino que algunas eran simples cacharros, o humildes mantas. Y carraca hermanos míos, era la que hacía mi madre y todas las vindas de los rojos, cuando todas las semanas iban a visitar a sus maridos a la Cárcel Modelo de Oviedo, como por las demás no puedo hablar, porque yo no sé cómo se arreglaban las pobrecitas, aunque me supongo que muchas hasta pidiendo limosna, sí que lo puedo hacer de mi madre, que todos los martes era el día que tenía de comunicación, y ella nunca sabía si le iba encontrar vivo, porque por aquellos tiempos fechus de llágrimes ya xufriencies, tous lus díes na carxel d'Uviéu achuquinaben cambrionáus enteirus de xóvenes astures y'anxina d’ista maneira tan achuquina, encalducá per prexones xin concencia, nin dinidá nin «Xusticia Humana», fexérun bon amagüestu de toes les xuventúes roxes d'Asturies, ya les pouques que nun achuquinarun llantárunlas nus batallones de trabayadores, dunde munchus morrierun achindi fartus de fames, de llatigazus ya vexaciones, ya lus oitres que xuerti tubieren de golguer pa la sou teixá, fexérunlu mamplenáus d'amollexíes que per mor d'echus tamén fatáus morrieron. Falaba you que carraca yera lu que miou má le chevaba ‘l miou pá tous lus martes a la carxel, que you nun séi lu que yera, perque na nuexa teixá nun había esconxolancia de nagua, peru lu que fora écha llantábalu tou nuna fardelaca, ya colaba na xuntura d'oitres muyeres de l'allina camín d'Uviéu tres ou catru gores endenantes qu’almaneciera, pos teníen qu'espatuxar alrreór de cuarenta quilómetrus andandu ya oitres tantus pa la regolguía, pos entoncenes nun valía faer el auto-stop que güéi se fae, perque tous lus cambriones ya coches cuaxi yeren millitares, y'angunus oitres yeren de lus drechistes, ya lus roxus nun teníamus namái que goxetáus mexeries, ya manegáus de miéu ‘l nuexu hermenu ‘l venceor, perque lus nuexus homes morrieran lluchandu nel frinti, ya lus oitres taben arretrigáus per les cárxeles dunde poucu a poucu lus achuquinaben ou lus esclavizaben nus batallones de trabayaóres, anxina yera que tou Asturies taba xemada de viudes, de vieyus ya de guaxiquinus güerfaninus, que tous nuexóitres, viétchus, muyeres ya nenus de lus roxus, díbamus ser esclavizáus inhumanamente baxu 'n enfernal xugu que nun nus dexaba más llibertá que la que nel xuenu cheldábamus. —Ya n'agora vou xebrame del trabayu d'enfilerar pallabres p'encalducalus cuamigu dientru d’ista hestoria dou tán lus raigones ya l'escola de nuexes costumes ya llingua. TRADUCCIÓN.—Por aquellos tiempos hechos de lágrimas y de grandes sufrimientos, todos los días que el Hacedor alumbraba, en la cárcel de Oviedo asesinaban camiones enteros de jóvenes astures, y así de esta manera tan despiadada y asesina, llevada a cabo por personas sin conciencia, ni dignidad ni ninguna clase de «Justicia Humana», llevaron a término casi el total exterminio de las juventudes rojas de Asturias, y las pocas que no asesinaron, las esclavizaron en los famosos batallones de trabajadores, donde muchos allí murieron hartos de hambre, de vejaciones y latigazos, y los pocos que tuvieron la suerte de volver a sus hogares, lo hicieron llenos de enfermedades que por mor de ellas también murieron bastantes. —Decía yo que carraca también era lo que mi madre le llevaba todos los martes a mi padre a la cárcel, que yo no sé lo que pudiera ser, porque en nuestra casa no había ninguna cosa de nada, pero lo que fuese ella lo metía dentro de una saca y marchaba en unión de otras mujeres de la aldea camino de Oviedo tres o cuatro horas antes que amaneciese, pues tenían que caminar alrededor de cuarenta quilómetros y otros tantos de retorno y todos los hacían andando, pues no servía hacer el auto-stop que hoy se hace, porque todos los camiones y coches casi eran militares, y algunos otros que había eran de los derechistas, pues los izquierdistas no teníamos nada más que grandes cantidades de miseria, así como de miedo a nuestro hermano el vencedor que jamás se portó nada bien con nosotros, porque nuestros hombres habían muerto en el frente, y los otros estaban presos en las cárceles, donde poco a poco les iban asesinando, o los esclavizaban en los campos de concentración o batallones de trabajadores, así era que toda Asturias estaba sembrada de viudas, de viejos y de niños huérfanos, que todos nosotros, viejos, mujeres y niños de las izquierdas, íbamos a ser esclavizados inhumanamente bajo el infernal yugo que no nos dejaba más libertad que la que en el sueño hacíamos. Y ahora me voy alejar del trabajo de poner en orden las palabras en este diccionario, para llevarles conmigo a los lugares donde yo he aprendido la dulce lengua de Asturias, que no es otro lugar que la escuela donde vivían las raíces y costumbres de Nuestro Pueblo, pues no se pueden buscar nuestras falancias en ningún otro lugar ni parte. Por esto les digo ahora, que si yo no hubiese vivido tan simple, sencilla, pobre, miserable, esclavizadora y dentro de la más natural de la «RAIZ ANCESTRAL DE ASTURIAS», ni yo ni nadie podría legarle a mi «AMADA ASTURIAS» ni a sus «HIDALGAS GENTES», la documentación pura, natural y sencilla que pueda tener este diccionario, porque desde estas mis simples líneas y mirándome muy mucho de lo que digo, les afirmo que hay muy poco fiable por no decir nada, escrito de nuestras costumbres y lengua. «DIES D’ENFERNU» (DÍAS DE INFIERNO) —Yera you 'n zaragoletu, 'n guaxiquín, un nenacu, 'n rapacín (un niño de unos ocho años), cundu la ñecexidá más prieta me fexera depriender lu que yera ‘l dollor, la xufriencia, l’inxusticia, lu pior qu'el Home pudiés encaldar d'enría lus sous xemexantes, you yera ún de lus miles d'anxelinus de miou Tierra que diba faer arroxaúra nel vivir d’ enfernu que m’aguardaba. Xin, fatáus de güérfanus lu mesmu que you, que güéi nel díe xuntu con nuexes familias, ente fius, ñetus, ya tou ‘l andecháu de parantela xomus más de la metá de les xentes d'Asturias, peru naquechus tempus d'achuquinus ya inxusticies nun yéramus namái qu'unus guaxiquinus dexamparáus de la man del Faidor ya del Home, ya tous noxóitres tubiemus que catanus el xustentu de fatáus de maneires diferientes, la miou per exemplu fó'ísta. COLOCOUME MIOU Má de cabrieru na teixá d'un amu baldrayu y atuñáu, llabascu y'achuquín tan solu per que me diera de comer ya me vistiera dalgu, peru ‘l condenáu matábame de fame, ya la vestimenta que punxu d'enría ‘l miou llombu conxistía nun calzáu que la metá ‘l tempu espatuxaba con las patas arregañás, apaxiétchau con unus fatucus tous esgacicáus que per tous lus lláus diben les mious carnis al entestate, acaniláes per el callor ya ‘l fríu en tou ‘l tempu. —Tenía yo aproximadamente ocho años de edad cuando me asesinaron a mi padre, y me recuerdo con toda exactitud cómo la ley de aquel tiempo llevó a cabo tan imperdonable, deshumanizante y vandálica felonía. —Nuna nuétche (una noche) llegaron a la casa de unos tíos míos que en mi aldea vivían y donde mis padres y yo nos refugiamos al término de la guerra en Asturias cuatro desalmados, cuatro bandoleros, cuatro inmundicias humanas, que escudados tras de sus armas empuñadas, representaban l'enñordiada Lley (LA SUCIA LEY) que en aquellos tiempos a la Justicia traicionaba, cuento yo, que aquellos cuatro merucus (gusanos), atemorizando e insultando a toda mi familia, detuvieron a mi padre, le amarraron como a la bestia que se lleva al matadero y se lo intentaron llevar de la casa, sin que mis tíos, (y la cosa no era para menos), intentasen pronunciar asustados como se encontraban ni la más mínima palabra de súplica o protesta. Pero mi madre no les secundó, sino que bravamente intentó defender al sou home (a su marido) no sólo con la palabra, que mi madre la tenía d'aguxa lu mesmu qu’un bon obreiru (de afilada lo mismo que un buen aguijón), sino que temerariamente se abalanzó sobre ellos y fuele preciso a uno de aquellos cobardes y desalmados representantes de la deshumanizada ley que corría en aquellos tiempos, de propinarle varios golpes con la pistola, dejándola mal herida y ensangrentada, tirada en el suelo con el conocimiento perdido. Mientras que aquellos bandidos, se llevaban a mi padre sin permitirle que de mi se despidiera, y tan solamente le he podido ver por última vez, tres les rexes de la cárxel d'Uvieu 'n die 'ndenantes que l'achuquinaren. (Detrás de las rejas de la cárcel de Oviedo, un día antes de que le asesinasen). Pronto mi madre y yo, llenos de la más desolante de las tristezas, y vestidos con el traje de las más indigentes miserias y pobrezas, nos marchamos de la casa de mis tíos y nos asentamos en la abandonada, vieja y destartalada casa de mi abuela. Y sin muebles, ni nada, los dos juntos, como grandes e indomables luchadores que hemos sido siempre, dimos comienzo sin desfallecer ni un momento, a la dura lucha por la vida, sin que nadie jamás nos ayudara. Empecé a ganarme la vida como pastor, a la corta edad de que cualquier niño sólo pensaría en jugar, comer cuando tuviese hambre y recibir de continuo montones de caricias y de amor, yo sin embargo, a pesar de no poseer nada de todas estas maravillosas cosas, era en extremo a mi manera feliz. Marchaba todas las mañanas con mi ganado al monte, donde permanecía todo el día, tan sólo con la compañía que me brindaba mi fiel y siempre por mí con cariño recordado Pelayu, que era un perro, de una inteligencia y sentimientos, que más bien que un chuchu (perro), parecía aquel singular animal un ser humano. Luego por las tardes, cuando el sol se escondía por detrás de las altas cumbres, retornaba feliz a la aldea, siempre lleno de contentura, cantando las más de las veces, amenizado por el potente tañir del zumbiétchu (cencerro) que llevaba colgado al cuello el semental del rebaño. Una mañana como tantas otras me encaminé con mi rebaño al monte y seria como a la media tarde cuando a la entrada de una cueva que se asentaba en un lugar casi inaccesible me encontré medio enterrado con las piedras y la escasa tierra que hacían la reducida plataforma de la portada de la caverna, un pequeño aro de oro, yo he tenido por así decirlo desde mi infancia la inmensa suerte de poseer una imaginación tan inmensamente dislocada, que por tal solían decirme mis vecinos, que era yo el rey de las mentiras, así como el más hábil inventor de endemoniados cuentos. El caso era, que aquel misterioso anillo abandonado a tan larga distancia de mi aldea y en lugar tan argutosu (estrecho, alto, inaccesible), hiciéronme presto pensar, que aquella joya no había llegado a tal escondrijo por sí sola, sino que desde luego alguien la había traído. En el momento mi imaginación desbordante de una alegría que no encontraba un fin para frenarla, comenzó a fomentar sin el menor titubeo la fantástica idea de que en el interior de aquella caverna debía de encontrarse un tesoro de preciosas joyas y valorativas monedas, y quién le había ocultado sabe Dios cuando, seguramente habría perdido aquel anillo que por casualidad yo encontrara. Así pues, ya firmemente convencido, adentreme temerariamente sin el menor temor por la angosta cueva con las miras de apoderarme de aquella inmensa riqueza que según mi soñativa imaginación me había hecho comprender que en su interior me estaba aguardando. Pero aquel día no conseguí mi feliz propósito, porque era la caverna más larga de lo que había pensado y la oscuridad que en ella reinaba me hacía ciego de toda luz. Senteme en su entrada muy desilusionado al no poder lograr lo que había soñado, pero pronto mi mente empezó a dibujarme mil dispares tesoros, pues por el rastro que descubriera seguramente que dentro de la gruta se hallaría escondida alguna chalga (tesoro) guardado con toda seguridad por una Xana, Xumiciu, Trasgu o Culiebru (dioses de la Mitología asturiana), pues al decir de el abuelo Nicomedes cuando en las largas veladas de los inviernos y sin jamás interrumpirle con grande contentura le escuchábamos las leyendas, cuentos e historias que él lúcida y socarronamente nos contaba, afirmándonos siempre que eran tan ciertos sus relatos, como que todos habíamos nacido para morir. Y cuando hablaba de las chalgas aseguraba que tal o cual vecino, morador de esta o aquella aldea, se había hecho de la noche a la mañana rico al haber encontrado una chalga. También afirmaba poniéndose muy serio alegando unos razonamientos que convencían, que las montañas que rodeaban nuestra aldea había muchas chalgas escondidas, que fueron sepultadas hacía muchos siglos por los invasores moros, que al ser vencidos por los astures y al no poder huir con tan pesados tesoros, los ocultaban en las montañas con las miras de poder regresar algún día a desenterrarlos. Como cuento, yo en aquellos momentos vivía alborozado, sumergido en una disloca alegría al saberme ya dueño de aquella incontable riqueza, haciendo que mis inocentes ojos sonriesen felices inmersos en la imaginativa dicha de poder muy pronto liberar a mi madre de la pobreza y quitarla del agobiador trabajo que faenaba trabajando en los eros de los vecinos de estrella a estrella por un miserable sueldo andechandu (en cuadrilla) todos los días. Y así pensando todas las dichas que mi infantil mente podía imaginar, rodeado por el sepulcral silencio que envolvía la grandiosidad de las montañas, rasgado de vez en cuando por el potente y agudo graznido que desde los peñascos más inaccesibles, o desde los infinitos espacios donde con majestuosidad planeaban, lanzaban las útres (águilas), que con ojos inquisitivos oteaban con hambrientas intenciones los escabrosos riscos y las empinadas fistietchas (pequeños valles encajonados entre las peñas), con la esperanza achuquinante (asesina) de poder atrapar con la rapidez del rayo, algún recental que se hubiese xebrau (apartado) de su madre. También aquel silencio que invitaba a la meditación era con más continuidad cortado, por el dinámico tañir del zumbiétchu (pequeño cencerro) que colgaba del brioso cuello del macho cabrio, conductor y semental del rebaño. Como cuento, allí permanecía ensimismada mi mente en el soñar despierto, fabricando sin trabas de la misma nada, las más disparatadas y fabulosas dichas, que harían la felicidad de mi madre junto con la mía. Llegó casi sin enterarme el atapecer del día (al oscurecer) y fue entonces cuando desperté con prisa del maravilloso soñar donde vivía, y raudo, con agilidad y destreza que hoy al recordarla me causa dicha, reuní en pocos minutos mi rebaño, ayudado con eficacia por Pelayu, mi fiel, obediente, valiente y amaestrado perro, que no le tenía miedo a nada ni a nadie si exceptuamos al siempre mal intencionado y vigoroso macho semental de la reciétcha que yo allindiaba (ganado menudo que yo cuidaba). Y cuando ya el día agonizaba entre las negras vestimentas de la noche, entré en mi aldea conduciendo orgullosamente mi rebaño. A la entrada del pueblo sentado plácidamente fumándose un cigarro, estaba esperándome mi amo preocupado por mi tardanza y acercándose a mí, con palabras desaforadas e insultantes, a la par que me reprendía con dureza, me preguntaba el por qué me había demorado tanto. No recuerdo lo que le contesté, ni la historia que le largué, lo que si sé, que no se creyó de ella nada, pues todas las gentes que me conocían bien sabían, que yo confundía la verdad con la mentira haciendo con entrambas las más inverosímiles y dislocadas historias. Sin embargo, lo que yo sabía muy bien, era que aquel miserable labriego de mi aldea, que tenía la desgracia de cuidarle sus ganados, por la triste desgracia de una comida infame y peor vestimenta, no le incomodaba en absoluto que yo llegase tarde o que me despeñara desde un serapu (peña) y me escontonara la motchera (rompiera la cabeza), lo único que le preocupaba al condenado, era que llegasen a su teixada (casa) sanos y fartus (hartos) todos sus ganados. Al siguiente día bien de mañana como de continuo hacía, con un poco de sabadiegu (chorizo malo) un cantezu (pedazo) de pan moreno y cuatro manzanas dentro de mi zurrón, salí de mi aldea afaluchandu (arreando) el rebaño, y con aquellas miserables viandas que llevaba en mi morral, tenía que aguantar todo el día en el monte corriendo sin descanso tras aquella veceira (rebaño) de cabras. Lo que no sabía el condenado de mi amo, era que yo siempre que tenía hambre, le ordeñaba sus cabras dentro de una lata que tenía escondida en la montaña, hartándome tanto yo como mi fiel Pelayu de espumosa y fresca leche hasta el golifar (hastiar). Si el bastruya (zafio) de mi amo tan sólo hubiese sospechado que le mucía (ordeñaba) sus cabras todos los días, me hubiera eszarapau (despedazado) mi frágil cuerpo con un mamplén de cibiétchazus (con muchos palos). Espatuxaba (caminaba) yo muy contento aquella mañana, quizás lo hiciera mucho más feliz que nunca, arreaba mi rebaño con desacostumbrada prisa, porque ansias locas tenía de llegar a la montaña, para entrar de nuevo en la misteriosa cueva, pues ahora ya no tendría problemas con la obscuridad que en ella reinaba, ya que conmigo llevaba una caja de cerillas y un pequeño candil que le había arrapiegáu (hurtado, quitado) de la corte (cuadra, establo) a mi amo, y con aquella luz, sería capaz de bajar hasta las mismas entrañas de la tierra, si a tal lugar la caverna se extendiese. Aquella noche había dormido poco y soñado mucho, tanto despierto como dentro del desvelado sueño, y tanto de una manera como de la otra, siempre llegaba a la conclusión, de que dentro de aquella para mi misteriosa gruta se ocultaba una fabulosa chalga de la que iba ser yo su señor y dueño, y cuando tal me sucediese, ya no sería yo más criado de ningún rapiegu (zorro) amo, ni tampoco a mi querida madre se le encallecerían jamás las manos, efectuando esclavizantes trabajos, nunca para el prójimo bien servidos y siempre por él peor pagados, ni se partiría sus costillas refrescándose el cansancio en su propio sudor por las fincas de nuestros vecinos, por donde se arreventaba todos los días del año, por la mezquina soldada de una fuente no muy grande de harina, un cesto de patatas, o cualquier otra vianda que mitigase el enorme fantasma del hambre, que desde el fin de la guerra se había enseñoreado de nuestro indigente char (lar), que nos obligaba despiadadamente a unos ayunos tan sumamente raquíticos, que el día que comíamos algo en traza (algo mas), tal parecía que habíamos cometido un grave pecado. Cuando yo fuese dueño de aquel tesoro, (abanzaba seguido de Pelayu arreando con prisa los ganados camino de la argutosa «abrupta» montaña, a la par que imaginativamente iba pensando), compraremos una casa decente, buenas fincas y mejores ganados, y entonces nuestros vecinos nos mirarán con respeto, y no nos tratarán con el menosprecio y la esclavitud a que ahora nos someten. Llegué al fin hasta el lugar que por costumbre tenía de enveredar el ganado para que a su aire subiesen guareciendu (pastiando) como siempre hacían hasta llegar al final de la tarde que era cuando el rebaño solía alcanzar lo más alto de la montaña. Pero aquel día no seguí yo al redil como siempre hacía, sino que me adelante a él corriendo sin el menor cansancio laderas arriba, hasta que por fin sudoroso y galopante en la alegría llegué a la vecindad de la caverna. Pude comprobar sonriente a la par que cariñosamente acariciaba a Pelayu, cómo éste me miraba contrariado al ver que yo por primera vez había cambiado todos mis cotidianos hábitos. Ya que siempre nada más llegar al monte y dejar a las cabras a su albedrío pastiando, nos sentábamos en el lugar acostumbrado, y zampábamos sin pérdida de tiempo a partes iguales como buenos compañeros, la miserable comida que nos había servido nuestro amo. Después jugábamos incansablemente en mil dispares entretenimientos hasta quedarnos rendidos, y muchas veces tras de nuestros juegos, los dos juntos abrazados nos quedábamos profundamente dormidos y al despertarnos sino avistábamos el rebaño, corríamos alocados por la preocupación, por entre los abruptos riscos, y las espinosas malezas hasta lograr encontrarlo. Después otra vez gozosos retornábamos a nuestros juegos, o yo me quedaba mirando a las montañas ensimismado pensando, mientras que Pelayu se entretenía cazando grillos, u otros insectos, y otras veces con sus blancos y poderosos colmillos recorría con rabia su pelambrudo cuerpo, diezmando la cabanada (rebaño) de pulgas y otros parásitos que con su sangre se alimentaban. Como cuento, aquella mañana mi fiel Pelayu me miraba preocupado, pudiendo yo observar en sus vivarachos, picarescos e inteligentes ojos, una recriminación que me estaba haciendo, por su forma de ponerme sus fuertes patas en mi pecho, a la vez que me lamía entre pequeños y cariñosos ladridos mi rostro. Si con sus ladridos pudiese hablar mi lenguaje, seguramente que me diría. —No seas un iluso soñador, mi más querido y preciado compañero, no llegues con tu fantástico pensamiento hasta el extremo de acariciar ni tan siquiera cuanto te has imaginado. Comámonos con la alegría de que hacemos gala todos los días, esa mezquina comida que nos da nuestro despreciable amo, y juguemos con la inocente felicidad de siempre, ya que éste será el más grande tesoro que jamás podrás superar en tu vida. ¿Dónde podrás hallar una riqueza que se pueda comparar a la natural y sencilla felicidad que hoy gozas, aunque ésta se haga su camino dentro de la gran pobreza que te acompaña? Pero hoy yo sé fijamente, que aunque mi perro pudiese hablar, haciendo que en tal momento me asustase al presenciar tan grande milagro, y me dijese que no entrase en la cueva, porque lo que dentro de ella iba a encontrar sería mi propia muerte, la verdad es, que ni al mismo Faidor (Dios) en aquellos momentos yo no obedecería, y así de resuelto, encendí el candil, y sin el menor asomo de miedo, ya que la ilusión y la alegría que poblaban mi espíritu en aquel encaldar (hacer) eran tan inmensos, que empequeñecían hasta el ignoro cualquier otro sentimiento. Adentreme en la cueva que era iluminada tenuemente con la pobre luz que el candil despedía, siempre acompañado de Pelayu que tras de mí, el muy tuno de mi aventura se reía, no era larga la caverna, pues a treinta metros no alcanzaría, y cuando llegué al final, no encontré ni las Xanas, ni los Trasgus ni Xumicius, ni la chalga, preciado tesoro que yo perseguía, sólo había muchos cascos de avellanas y de nueces, algunas latas de conservas ya vacías, unos trapos manchados de sangre, unas mantas viejas y apoyadas en la rocosa y húmeda pared de la cueva, había varias armas de fuego que pronto me hicieron olvidar la riqueza que en un principio había imaginado que allí me aguardaría. Por primera vez en mi vida iba a tener juguetes, auténticos juguetes de verdad de los que usaban los hombres para asesinarse vilmente al igual que hacen los lobos cuando por su cuenta cogen un apacible rebano de ovejas. Dejé el candil en el suelo y elegí entre todas aquellas armas una brillante escopeta, lleno de contentura me senté encima de aquellas mantas y empecé a maniobrar con aquel peligroso juguete, yo sabía cómo se manejaba supuesto que mi amo tenía una escopeta muy parecida y le había visto limpiarla y cazar con ella algunas veces, durante algún tiempo estuve jugando con ella, de una canana que allí había saqué dos cartuchos que metía y sacaba dentro de su recámara, yo me creía en aquellos mis felices instantes el más grande cazador del universo. Pelayu que ya se había cansado de husmear por todas las partes y no habiendo encontrado nada donde llancái el diente (hincar) se tumbó en el suelo frente a mi mirándome sonriente y burlonamente, (porque aunque ustedes no lo crean, yo sé que los chuchos saben sonreir). Enojeme de Pelayu al ver como tan descaradamente se mofaba de mí, por eso encañonele con la escopeta con ánimo de amenazarle, pero cambió Pelayu de gesto rápidamente, levantose con rapidez del lugar donde estaba achucáu (costado), enseñome los clientes ladrándome muy enfadado y a la velocidad del rayo salió de la cueva, quizás porque el inteligente animal presentía, de que alguna desgracia iba a lleldar (hacer) yo con aquel mortífero artefacto, y no quería ser él quien primeramente la recibiese en su cuerpo. Aun permanecí algún tiempo en la gruta jugando a mi manera con las armas, y solamente cuando el candil por su guiños me hizo comprender que su luz ya se le estaba escosando (terminando), salí de la caverna con la escopeta en una mano, dos cartuchos en su recámara y el candil en la otra. En el exterior Pelayu correteaba detrás de los grillos y las camporinas (mariposas) al parecer ya libre de todo enfado. Ya cansado de jugar dejé la escopeta en el suelo y senteme tranquilamente al lado del zurrón, y en cuanto mi perro vio que ya había abandonado el arma, vino corriendo hacia mí, moviendo la cola y sonriéndome amigablemente. Allá abajo en la mitad del valle pude ver a mi rebaño cómo subía espenandu (comiendo) los pochitcus (enanas encinas), y yo de nuevo me volví a sentir feliz y contento a pesar de no encontrar la chalga que tanto con su riqueza había soñado e ideado. Comimos a hora desacostumbrada mi perro y yo aquella pobreza de comida, y tras de jugar un rato, él se quedó adormilado y yo comencé a pensar de quién serían aquellas armas. No me cabía la menor duda de que aquel arsenal de armas debía de ser de los fugáus (huidos), seguramente que eran de aquellos cuatro rapazones (mozos) que se entregaran a los soldados que estaban destacados en mi aldea. Yo los había visto en el cuartel que los militares tenían que era en la escuela de mi aldea, un amplio edificio que fuera regalado a la parroquia por unos indianos del chugar (lugar) que retornaran de las américas con la corexa betchá de cuartus (con la cartera llena de dineros). Recuerdo que aquel día que yo los vi, un soldado que de seguro sería el barbero, les estaba cortando el abundante pelo que lucían, y uno de los rapazus le dijo sonrientemente al militar. ¡No hace falta que te molestes mucho camarada, pues cuando un día de estos nos trasladeís a la cárcel de Oviedo, allí lo más seguro es que nos rebanen el pescuezo! EL MACHO CABRÍO Güelgu coyer el filu dóu d'endenantes m'enduébitchaba algamiandu na miou motchera alcuerdancies de cundu you yera guaxe, ya comu tóus non se puén cuntar per filera, per ísu xebreme d'aquín, pa dir p'acuchá, perque toes les couxes tienen la sou xaceda, ya non la quixéramus cataye nuexotrus. (Volviendo coger el hilo de los aconteceres que anteriormente en mi cerebro se barajaban dentro de las añoranzas de mi niñez, y como todos estos acaeceres no se pueden relatar en hilera, por eso me marché de éste, para ir al de más allá, que es de donde vengo ahora, porque todas las cosas tienen su propia postura, y no la que quisiéramos darle nosotros). Y aunque parecía que me había perdido por estar tan llargu lonxe (tan largo lejos) la verdad es que yo no pierdo el tiempo adornando los hechos que no deben de ser adornados, nin fiéndume en xebraures que van esfaese 'n probeces, perque 'l que non ye llicenciáu 'n filloxofía e lletres, non pué faer munches froritures con les pallabres nin les lletres, ya per ístu, tien que encaldase 'n aforrador d'istus dellicáus y'artifixusus monumentus, perque si lus mesmus que güéi día que lus manexan y'atreinan, la metá de les veces non xapien lu que falen, ya llanquen el focicu fasta les urées en telares de Pachu 'l Xabadiegu betcháus de poxa y'escosáus del granu que ye pelu que tóus muramus nista engochá vida, ¿qué fairé you que 'deprendí namái que tres meses nuna escola pública? (Ni me hondeo en deserciones que se deshagan en pobrezas, porque quienes no son licenciados en filosofía y letras, no pueden hacer muchas florituras con las palabras y las letras, y por esta razón, tienen que hacerse ahorrativos de estos delicados y artificiosos monumentos, porque si los mismos que hoy en día los manejan y cuidan, la mitad de las veces no saben muy bien ni la mitad de lo que escriben, ni otra pareja parte de lo que hablan, y meten por estos menesteres el hocico hasta las orejas, en cuestiones que los imposibilitan para después resolverlas, y si se aproximan a este nivelamiento, lo hacen sembrando una hierba productora de mermado grano, que es el punto primordial que todos intentamos recoger en esta cerda vida. Como cuento, si estos señores eruditos en estas materias se equivocan ¿qué puedo hacer yo, ¡pobre de mí!, que tan solamente he tenido la suerte de ir al colegio público tan sólo tres meses?). Cuento yo que me hallaba en aquellos mis infantiles pensares intentando saber a qué huidos pertenecían aquellas armas, y así dejé tal perder el mucho tiempo que me sobraba, cuando mis ojos retrataron el gran combate que a baja altura, muy por debajo de donde yo me encontraba, sostenían tres cuervos, que despiadada y valientemente le atacaban a un águila real, y ésta piando quizás por el dolor que le inferían los efectivos picotazos de los cuervos, o tal vez en su lenguaje maldiciéndoles llena de rabia por el no poder repeler el ataque de que era objeto. No podía defenderse de sus tenaces atacantes, porque todo su cuerpo en gran tensión estaba, ya que al volar tan bajo, todas sus enormes energías las precisaba para mover sin el menor descanso sus grandes alas, con el apremiante fin de salir de aquel espacio que al parecer pertenecía a los belicosos cuervos, que con ardorosa valentía y enquina ofensiva, disputaban tal natural privilegio, a las mismas soberanas de los cielos. Había yo presenciado muchas veces batallas entre las águilas y los cuervos, y siempre éstos las perseguían atacándoles por su parte posterior, hasta la altura donde el águila ya no necesitase mover sus alas para sostenerse, cuando esto sucedía, los cuervos precipitadamente abandonaban el combate, porque ellos sabían, que donde el águila pudiese planear, todo animal viviente que se acercara, encontraría entre sus poderosas garras una rápida muerte. Queriendo yo saber como es natural el por qué los cuervos atacaban a las águilas, un día que cuidando sus cabras junto a mí estaba un paisano llamado Máximo, que por apodo se le llamaba el «Puchegu», porque tenía tantas razones en sus hablares como palabras por su boca se alumbraran, a pesar de que el Puchegu no sabía leer ni escribir, sabía de cuentos más que el mismísimo Quevedo, e igual hacía cuando se le necesitaba de veterinario que de médico, atinaba casi siempre cuando iba a llover o hacer buen tiempo, en fin, que era Máximu el Puchegu en todas aquellas aldeas de mis amores, una Enciclopedia que aventajaría en mucho a todas las que en nuestros días nos sirven las grandes editoriales, industriadas por hombres estudiosos de las ciencias. Empezó mi amigo el Puchegu explicándome, que son los cuervos de las abruptosas montañas más bregáus (valientes) que los que moran en las valladas o pequeñas lomas, y todo porque la escasez de alimentos en las rocosas cumbres, es muy inferior a los que existen en los valles o montículos, y así como a los hombres la abundancia los hace temerosos y a veces hasta pusilánimes, y la necesidad o privaciones los vuelve por ley de vida temerarios y osados, en los animales ocurre en igual medida lo mismo, así pues, el cuervo defiende su pitanza no permitiendo que las águilas cacen a menor altura que la que les pertenece, y si desde tal situación descubren una pieza, y bajan con su endemoniado vuelo de alas plegadas la apresan y luego vuelven a elevarse al lugar que les corresponde, los cuervos no osarán ni tan siquiera molestarlas, pero si por el contrario descienden para dedicarse a cazar desde el lugar que no les pertenece, entonces los cuervos las atacan con verdadera saña y valentía y siempre logran hacerlas ascender hasta la posición que ellos consideran justa. Esto es así, porque desde tal altura las águilas sólo pueden divisar en tierra una pieza que ellos no cazan nunca, como puede ser un conejo, una pequeña res, un zorro, y hasta inclusive el mismo perro que con el pastor cuida el rebano, y también se han dado casos en que las águilas hasta han cazado un lobo, y con él entre sus garras han subido hasta sus utreras (nidos) donde le devoraban con la misma satisfacción que pudieran hacer cuando se afestinaban con las tiernas carnes de un inocente corderillo. Si las águilas pudiesen volar más bajo sin ser por los cuervos molestadas, también podrían cazar con gran facilidad, lagartos, culebras, etc., etc., y es ésta precisamente la comida que el cuervo defiende, por eso ataca al águila cuando ésta intenta apoderarse de la que él cree que es su exclusiva pertenencia. Terminó el águila al fin tras el ardoroso acoso a que la sometieron los cuervos de subir hasta la altura que ellos consideraron lícita, y rápidamente éstos plegando sus alas la abandonaron y en vertiginoso vuelo buscaron el abrigo de los arbustos de sus montañas. Terminó para mí aquel día el maravilloso espectáculo que la soberana del cielo y los bravos cuervos me habían ofrecido, y fue entonces cuando me incorporé del lugar donde me hallaba sentado, para mirar a mis cabras que guarecían (pastiaban) por encima de donde yo estaba a la corta distancia de unos cincuenta metros, lo primero que mis ojos retrataron fue el orgulloso y antipático macho cabrío, que empericotáu (subido) en un cuetaron (peñasco) a la par que espenucaba (arrancaba) las fuéas d'un pótchiscu (hojas de una enana encina), mientras que las enguyía, parecíame a mí que me estaba mirando desafiadora y despreciativamente, con sus grandes y retorcidos cuernos, su larga perilla y enorme cencerro, se me representaba como el diablo que sonriéndose ladinamente se guasaba de mi humilde persona, a la par que de mi buen Pelayu, pues a entrambos y dos el condenado nos había hecho correr infinidad de veces, por eso, tanto Pelayu como yo siempre que teníamos ocasión y traicioneramente, él le mordía sañudamente en sus cadríles (patas) y yo le atizaba barganazus (estacazos) y pedradas donde mejor encaldase (terciase). Ocurriósele a mi mente en aquellos momentos el darle un buen susto a aquel demonio con cuernos y cencerro, por eso así la escopeta con determinación, y cargada como se encontraba con dos cartuchos, apunté por debajo de donde él se hallaba con el firme propósito de tan sólo darle un susto que no olvidase en su vida, y ya sonriéndome adelantadamente por el resultado de la idea que sin más pérdida de tiempo iba llevar a la práctica, apreté los gatillos de la escopeta, y una doble y potente explosión originose que dio conmigo en el suelo por la fuerte sacudida que el arma emburrióu (empujó) con dolor en mi cuerpo. Pero escosóseme d'afechu (marchóseme del todo) tal dolor, cuando entre el repilar (ecos) de la montaña por la explosión, sentí al macho cabrío lanzar al viento grandes berridas, que hiciéronme con preocupada prontitud deducir, que aquel demonio odioso no se quejaba por el susto que pudiera recibir, sino por la perdigonada que sin yo proponérmelo le había albergado en su pelambroso y maloliente cuerpo, levanteme sin demora del pedregoso lecho donde la escopeta con su duro empujón me había acostado, y aún tuve tiempo de ver cómo el semental de mi rebano rodaba por entre los cuetus del xerrapeiru (peñas de la sierra) infiriéndose más heridas en su cuerpo que las que yo por equivocación con los dos disparos le había inferido, siendo quizás su muerte no la perdigonada que le había desequilibrado, sino los argutoxus cuetus (agudos peñascos) que cual cuchillos al rodar su pesado cuerpo por entre ellos le apuñalaban mortíferamente, por eso al detenerse en su poleamientu (rodar) detrás de un pótchiscu (encina) que encontró en su paso, dejó de berrar en el instante, que su vigoroso cuerpo perdiera la vida. Fuime yo corriendo acompañado de Pelayu que me ganó la palma en la carrera, hasta el lugar de aquel desgraciado suceso, y cuando llegué donde el chivo estingarráu (tirado, acostado) ya no contaba como enemigo vivo, vi cómo a torrentes se desangraba, a la par que Pelayu con su nutritiva sangre se fartaba (hartaba). Pensé yo con gran temor cómo decirle a mi amo lo que había pasado, él que sentía por su chivo un orgullo y continuo ponderado casi desmedido, pues siempre que la ocasión se le brindaba cuando con sus vecinos dialogaba, soliales afarrucado (faroleándose, chuleándose) decir, que no había en toda la comarca un macho cabrío que ni con mucho en raza y estatura, se le pudiese parecer al suyo. Era ya casi la hora de afalar (retornar arreando el ganado para casa) cuando se me ocurrió la idea de decirle a mi amo que el chivo por si sólo se había despeñado, así que guardé la escopeta en la cueva y apresuradamente yo temeroso y preocupado y Pelayu contento por hallarse harto, reunimos el rebaño y nos encaminamos hacia la aldea, parecía que hasta las mismas cabras que en otras ocasiones se mostraban rebeldes y saltarinas, aquel desdichado día caminaban cabizbajas y avizorantes, observando en todas las direcciones con pronunciosa alteración, buscando aquel macho cabrío que las dirigía y dominaba con su orgullosa presencia, haciéndose notar en todo momento, por el continuo tañir de su zumbiétchu (cencerro), que por primera vez en el rebaño no se sentía el caidonante ruxíu (dirigente sonido). Pienso yo que solo contento caminaba vigilante mi fiel Pelayu, porque ya nadie en el rebaño se atrevía a discutirle sus ladridos o frágiles mordiscos, cuando por orden mía a las cabras con eficiencia les infería. Más sin embargo yo, al igual que a mis cabras, algo me tenía también apresado, algo extraño para mí, por primera vez a mi espíritu esclavizaba, que ni era tristeza ni pena, pero sí era miedo y grande desesperanza. Siempre que retornaba con mi rebaño a la aldea, cuando en las atardecidas la montaña abandonaba, mi corazón ameruxáu d'allegría (rebosante de alegría) a mi garganta un torrente de cante le rogaba, y ésta inocente y falta de todo perjuicio, sintiéndose tan dichosa como los mismos celestiales ángeles, cantaba recias asturianadas, mientras que todo mi ente, afanosamente afalaba (arreaba) las cabras. Quizás cantara yo aquellas horas con más gracia que en todo el día por alegre que fuera y pudiera tener, porque por así decirlo me acercaba al sencillo y noble vivir de las gentes de mi aldea, pues diez o doce horas en la continua soledad que en las montañas me acompañaba, para un rapacín como yo era, eran muchas horas desamparado de la comunidad humana, y sobre manera yo, que con ser mi cuerpo ágil y fuerte hasta casi rayar en el desuso, empequeñecido se quedaba si le comparaba con mi espíritu tan ensoñador e imaginativo, que todas las cosas al engrandecerlas confundía, menos el miserable pan de la maxera (artesa) que mi amo me entregaba, que a pesar de ser tan escaso, jamás supe imaginar nada para engrandecerle. Estaba mi amo a la entrada de la aldea esperándome como siempre hacía para ayudarme a xebrar el rebaño, ya que como eran tantas cabras, no cogían todas en la misma corte (establo), y había que llevar parte de ellas a otra cortexa (cuadra pequeña) que estaba en la parte opuesta de la aldea. Entretenía siempre su espera el condenado de mi amo, hablando con un artesano del lugar, que se dedicaba a la fabricación de yugos y madreñas, que tenía su taller montado debajo de un hórreo, que estaba asentado a la salida de la aldea, mismamente en la desembocadura del pedregoso y empinado sendero que venía de la montaña. Desde tal lugar él sentía con antelación el potente tañir del zumbiérchu (cencerro) que ximielgaba (movía) con fuerza y hasta con orgullo el estupendo semental de su rebaño, entonces él liquidaba por el momento con el madreñeiru la conversación que estuviesen embargando, y dedicaba toda su atención a su rebano, observando con avarienta atención, en el propiar si sus ganados venían fartus óu famientus (hartos o hambrientos), o si alguna de sus cabras venía coxa (coja) por mor de haberle caído una piedra o cualquier otro accidente que hubiera acaecido, como solía ser normal algunas veces. Pero aquel inolvidable para mi atapecer (atardecer) vio antes sus cabras que escuchara el ya inexistente zumbiétchu, por eso con su vozarrón de trueno, y como una centella por mí temido, me preguntó a la distancia de una piedra lanzada cuesta abajo: —¿Qué fói lu que pasóu Xulín...? —¿El chivu perdiu 'l mayuelu...? —Quería decirme, que si el cencerro que llevaba su chivo, había perdido el majuelo, o pequeño péndulo que lleva dentro el cencerro. —Esto también era frecuente que sucediese. Contestele yo desde aquella altura con mucho menos miedo que si me encontrase ante su presencia, diciéndole que el chivo se había despeñado, y arriba en la montaña se encontraba muerto. Estas mis palabras que en el viento camino de la aldea mi voz empujó con fuerza, fueron escuchadas por mi amo que se encaricotóu (encendió) en una rabiosa tristeza, que si pudiese desahogarla, seguro que en mi persona haría él su complacencia. También la desgracia del chivo, que por mí a voces era anunciada, fue oída por algunos otros vecinos a parte del madreñeiru, y como aquel semental de macho cabrío había sido siempre tan aponderado e idolatrado por el babayu (bocazas, charlatán) de mi amo, que con su dichoso cabrón los vecinos de la aldea ya habían pescado la costumbre de decir siempre que alguien ponderaba una cosa, ¡non si paezme a mín, que moren más castrones que Manín na nuesa aldea! Bueno pues como estoy contando, todo el lugar en pocos minutos se había enterado y en parte congregado a la salida del camino que bajaba de la montaña, ya que la muerte de aquel chivo que había ya dejado entre ellos la ya dicha cantinela, les había algunos los más envidiosos y vengatibles alegrado, y a los otros los más sentimentales y nobles les entristecía la muerte de tan comentado castrón. (También se suele llamar castrones a los chivos muy grandes). Al fin entré yo en la aldea quizás con el mayor recibimiento que jamás a nadie le hicieran, y todos atropelladamente me preguntaban lo que con el dichoso castrón me había sucedido, y yo les repetía a la par que intentaba xebrar las cabras para llevarlas a sus respectivas cuadras, que se había despeñado y que todo descuatramindáu (deshecho, desarmado) se quedara en la montaña. Un ratiquín (un tiempo) más tarde, y ya siendo casi la oscurecida, tres vecinos del lugar haciendo cuadrilla con mi amo, caminaban en pos de Pelayu y mía, otra vez camino de la montaña, para enseñarles donde estaba estrapayáu (aplastado) el chivo, con el propósito de bajarle para casa, con el fin de aprovechar su piel y carnes, que serían curadas bajo las barras del xardu (secadero) una estupendísima cecina. Llegamos a la postre ya con la noche tan negra como la boca de el lobo, al xeitu (sitio) donde el chivo fechu 'n chaceiru (hecho un deshecho) ya en el frío de la muerte sin despertarse dormía, tanto Manín que yera mi amo, como los tres vecinos que le hacían compañía, sudorosos y respirando medio ahogados por el tremendo esfuerzo que suponía subir con tanta rapidez hasta tamaña altura, sin perder un momento amarraron el animal por las cuatro patas juntas haciendo cucara (en montón, juntándolas todas) con una cuerda que para tal menester ya traían, y colgándolas de un fuerte y largo palo del que también venían poseídos, echáronselo al hombro entre dos, y con menor rapidez y mayor precaución, relevándose entre ellos conseguimos llegar sin novedad a la aldea. A pesar de ser casi la media noche, aun había algunos vecinos en reunión dentro de al parecer amena charla que quizás tuviese mucho que ver con el castrón, Manín y con mi desventurada persona, esperándonos en el lugar donde el madreñeiru trabajaba. Entramos todos en procesión rumorosa en la corralada de la casa de Manín, detrás del cabrón que colgado del baral sofitado en los hombros de dos vecinos se xiringaba (balanceaba), vigilado siempre con sonrisa ladina por mi fiel Pelayu, que comprendía que al no tardar, iba a saciarse hasta el no poder manducar más, con los rojos hígados de quien en vida, le hubiera hecho correr con cierto temor con el rabo entre sus piernas. Mientras que mi amo y sus serviciales vecinos se disponían a desfoyar (desollar) colgado de unos garfios que había debajo del hórreo al desgraciado chivo, la muyer (mujer) de Manín sin parar de condolerse, y hasta inclusive queriendo a mi endilgarme parte de la culpa, me dio de cenar una escudilla de farines (harina de maíz cocida) con una taza de leche de cabra, porque la leche de las vacas la tomaban ellos y la que sobraba la hacían en manteca, que tampoco yo nunca la probaba. Por primera vez no se hallaba sentado a mi lado sacando la lengua y relamiéndose, mirándome con sus ojos inteligentes en espera que yo le tirase delante de sus narices una cucharada de mi comida a mi fiel Pelayu, pues él sabía que al lado del castrón, tenía una fiesta grande con sobrada pitanza. Comía yo vorazmente aquellas puliendras (farinas), a tan desusada hora de la noche, sin que mi mente de pensar cesara, y antes de terminar mi miserable cena, una luz que me llenó de cierto temor en mi cerebro escendiose, para decirme con su claridad, que no iba a transcurrir mucho tiempo antes de descubrirse mi mentira, porque al esmianaye 'l pelleyu (quitarle el pellejo) al castrón, le encontrarían incrustadas en su cuerpo las postas que le habían matado, y me interrogarían sobre tal suceso, siendo yo al momento un cómplice y encubridor de la muerte del condenado cabrón, que según parecía me iba a dar guerra hasta después de ser muerto. Seguramente querrían saber el por qué les había mentido, haciéndoles creer que se despeñara, cuando a la prueba estaba que fuera abatido por un tremendo pistoletazo. Bajé después de cenar a la corralada donde los hombres andaban a vueltas en la desfoyadura del castrón, a la luz de un par de candiles de carburo y no llevarían un cuarto de hora reparándoles en su circunstancial oficio de carniceros, cuando Antonón el de la Cuandia dijo sorprendido mirando para mi amo que le alumbraba con el candil en la mano para que los otros vieran mejor en la faena que encalducaban (hacían). ¡Ah Manín, isti castrón non morrióu comu diz el tou criadín despeñáu, pos tién ente 'l coración ya lus polmanes un manegáu de postes llancades, asina que si quiés saber quién l'achuquinóu, pregúntaye 'l tou rapazacu, lu que axucedióu! ¿Qué ye lu que me tas diciendu...? ¿Quién diañus diba pegái 'n tiru 'l miou cabrón ? Antonón arrabucandu d'ente les asaures del chivu cuatru ou cincu postes que yeren de grandies comu arbeyinus rancuayus, díxole 'l miou amu metiénduyes per dellantri 'l focicu: ¡Mira Manín, ístu fói lu qu'achuquinóu 'l tou chivu! (Ah Manín, este cabrón no murió despeñado como dice tu criado, pues tiene entre el corazón y los pulmones un cesto de postas plantadas, así que si quieres saber quién le asesinó, pregúntale a tu muchacho lo que sucedió). (¿Qué es lo que me estás diciendo? ¿Quién demonios le iba a pegar un tiro a mi cabrón?). (Antonón arrancando de entre las asaduras del chivo cuatro o cinco postas que eran de grandes como pequeños guisantes, le dijo al mi amo mostrándoselas por delante de su hocico: ¡Mira Manín, esto ha sido lo que asesinó a tu chivo!). Hallábame yo detrás de ellos a media penumbra, por eso no pudieron ver cómo todo mi cuerpo temblaba, y mis mexiétchas (mejillas) se encendían como las mismas brasas cuando el viento las apuxa (atiza). Quizás si fuese a pleno día, me hubiesen sacado la verdad al descubrir yo mismo por mis síntomas externos la mentira, pero la noche, encubridora de toda claridad que profané sus negras vestiduras, me ayudó a ser firme e inamovible de mi primera mentira. Convencido mi amo de que le había engañado, acercose a mí con el candil en una mano, y llena su despreciable alma de ira, y enloquecida venganza, con la otra su mano, atizome un fatáu de morráes (varias galletas, tortas, guantazos) que dieron con mi cuerpo en el suelo, y antes de que yo pudiese huir del peligro que me rodeaba, levantome del suelo con la misma mano que tan vilmente me castigara, y a la par que alumbraba mi rostro donde la abundante sangre que manaba de mi nariz lo embadurnaba, me dijo mirándome con sus ojillos de bracu (cerdo) donde la maligua ira en un brillo salvaje se enseñoreaba: ¡Ahora mismo me vas a decir hijo de perra y de republicano asesino, que el día que asesinaron a tu padre que era lo mismo que tu un embustero y un bandido, te tenían que haber envenenado a ti, para que no pudieses hacer el mismo mal que hizo tu condenado padre, vamos, dime quién fue el que disparó contra mi chivo, dímelo pronto o terminaré contigo! Y al tenor que esto me estaba diciendo, su dura mano caía una y otra vez sobre mi rostro, y fue entonces cuando aquellos hombres de entre sus manos me arrancaron, pues al no hacerlo, quizás aquella bestia humana, que había luchado en defensa de la (PAZ DE ESPAÑA) fácil me hubiera asesinado, como seguramente acostumbrado debía de estarlo, al haber practicado tal demoníaco proceder, con otros indefensos inocentes, de los miles que asesinados fueron en Nuestra Patria, por cobardes, dañinos y miserables hombres, como lo era mi despreciable amo. Fue curado con agua fresca mi amoratado y sangrante rostro por Antonón de la Cuandia, que me aconsejaba cariñosamente, les dijese lo que con el cabrón me había en la montaña sucedido, y que no tuviera ningún miedo de contar la verdad que se buscaba, pues ella misma me protegería de quien me hubiera amedrantado para que no le delatara. Cuéntanos hijo si fueron los huidos quienes al chivo le dispararon, ya que nadie más que ellos pudo hacer tal cosa, y ten presente que si no nos lo dices ahora, mañana vendrán los guardias y ya verás cómo con ellos no puedes seguir negando. Díjele a Antonón el de la Cuandia, que yo estaba dormido, y que me desperté cuando sentí al cabrón bramar desesperado al tenor que bajaba rodando por entre los peñascos, siendo aquello todo cuanto yo había visto y oído. Volvió otra vez ya más sosegado mi amo a insultarme y amenazarme, y a la postre me ordenó que abandonara su casa, pues él no fartaba bribones que lejos de cuidar su rebaño, permitían que personas tan canallas como yo lo era se lo asesinaran. Marcheme de aquella casa de noche, maltrecho mi cuerpo y deshecha de sufrimientos mi infantil alma, sin más pertrechos que los que llevaba a costillas, que eran los únicos que poseía, y que constaban de un mono de caqui hecho de la guerrera de un soldado, con más remiendinos que de plumas tiene una gallina y de todos los colores que imaginarse puede, calzado con unas alpargatas de esparto donde los calcaños se asentaban en el suelo y los dedos lo mismo hacían por no quedar de las alpargatas nada más que la parte del centro. Por primera vez desde hacía varios meses que Pelayu era o mejor dicho había sido compañero inseparable de hambres y fatigas, de juegos y caricias, de largas soledades entre ambos repartidas, por primera vez digo, mi fiel compañero ya no me seguía, me traicionaba el muy ladino por unas piltrafas que de vez en cuando aquellos hombres que carniceraban en el cabrón, le arrojaban en el empolvado suelo de la corralada, para él valía en aquellos momentos más la asquerosa pitanza, que todo el cariño que yo pudiera brindarle, ya no se recordaba el muy desagradecido de que yo repartía con él a partes iguales la escasa comida que para mi sólo me entregaba el llabascón (cerdo grande) de mi amo, en una palabra, Pelayu era un desagradecido y egoísta, propiedad que en mayor o menor cuantía, va fusionada en el instinto de todo ser mamífero de la Tierra. Llegué aquella primera noche de mi vida, que había sido maltratado, insultado, golpeado, pisoteado, arrastrado y ofendido a tan gran profundidad y altura, que dudo que a mis años en todo el mundo, a nadie le hubiera sucedido tan inhumana atrocidad, cuento yo, que hice mi entrada en la casa de mi madre, que en la sazón se encontraba trabajando en una alejada aldea, en el caserío de otra viuda que su marido había sido asesinado en el cementerio de San Salvador de Oviedo la misma noche y en el mismo paredón que fusilaran a mi padre, así pues, hallábame yo sólo en casa y eso enormemente en aquellos momentos me alegraba, pues si mi madre hubiera estado en la casa, le haría sufrir aviñonándome yo de pena, y quizás ocurriesen peores cosas, ya que mi madre era, y aun sigue siendo, y Dios me la conserve muchos años, pues fue lo mejor y lo único que he tenido en mi existencia, mujer de duro carácter, intrépida y valiente hasta no tener el más pequeño temor, de pelearse ella sólo contra todos los moradores de la aldea. ¡Cómo mi madre, nacen en un siglo pocas mujeres! Al día siguiente que era domingo, y por tener en la parroquia a que pertenecía mi aldea, un cura que para demonio había nacido, ya que el muy condenado había conseguido de las autoridades una ley, que no se quién se la había fabricado, pero el caso es que existía, y condenaba a todos los vecinos a oír la Santa Misa, y a no trabajar ni en las tierras, ni en los prados, ni en nada, bajo pena de una multa que la ley considerara justa por ser injusta. Como yo ya no tenía trabajo, pues cuidar los ganados estaba permitido, y aquel gochu de mi antiguo amo desde aquel día tendría que hacer el trabajo que como un miserable esclavo yo le hacía, me levanté tarde del único xergón de fuéa (jergón de hoja) que en la casa había, que lo había industriado de unos sacos, porque todo cuanto poseíamos que era bien poco, al terminar la guerra el honrado vencedor nos lo había robado, y no contentos con esto, todavía fusilaron a mi padre, acusándole de haber robado grandes cantidades de dinero, de haber hecho esto, lo otro, y lo demás allá, y todo porque se le querían cargar cuatro caciques, como se ha hecho en todos los lugares de mi Patria buena. Noté que me dolía el rostro y que le tenía ensangrentado, no pude mirármelo al espejo. porque éste era un lujo que en mi casa no existía, así pues, me fui hasta el río que por detrás de mi casa pasaba, y me lavé como mejor pude, secándome después a las sucias y ásperas mangas de mi mono, y sin desayunar nada, porque en la casa no habla ni la más mínima consolación de comida, me dirigí a oír la misa, ya que yo de pequeñín era muy creyente y religioso. Estando yo enredando (jugando) con algunos otros guaxinus (niños) de mi aldea, en espera que tocase la última campanada para entrar en la iglesia, vi llegar la pareja de la guardia civil y un vuelco de temor revolvió mi ánimo, que casi consiguió ordenarme que saliese corriendo, huyendo pronto de aquel nuevo peligro que me acechaba. Sin embargo no lo hice, porque o no era lo suficientemente valiente, o lo necesariamente cobarde para hacer tal cosa, lo cierto es que cesé de jugar y me quedé mirando para ellos, lleno de temor, de tristeza, de pena. Preguntaron a alguien quién era yo, uno de mis vecinos me señaló, entonces los guardias me llamaron, y yo hacia ellos avancé, cabizbajo, temeroso y desamparado, igual los niños que los vecinos me miraban sin urniar (decir) palabra, muy posible muchos de ellos, tanto fascistas como rojos, vencedores o vencidos, sintiesen una profunda pena al ver aquel niño, desventurado e inocente ruina que dejó la vil venganza de la posguerra, avanzar sin protección ni cariño de nadie hacia los guardias, al fin llegué junto a ellos y me los quedé mirando, no me gustaron sus rostros, que me parecieron dos demonios, entrambos se quedaron mirando unos momentos en silencio mi rostro, en el que se podía leer la despreciable cobardía y nefastosas intenciones, que se enraizaban en el podrido sentimiento de mi amo, pude comprobar que esbozaban una tenue sonrisa, y no pude descifrar, si era que les alegraba observar el sello del martirio anclado en mi cara, o si por todo lo contrario, me dedicaban un consuelo de lastimosa consideración. Qué enano era yo físicamente en aquella lejana y para mi inolvidable, desgraciada y maestrosa mala época, si desde mi distancia también en el momento mi señora prisionera, proyectó mi mente siempre libre, como el misterioso dios que en cada mente humana vive, cuento yo que si me observé ante toda aquella gente, asustados los unos, hartos de maltratos, satisfechos los otros, por formar parte del mando, e indiferentes los restantes por no contar nada en ningún bando, digo que si me vi tan insignificante en mayor cuantía todos cuantos me rodeaban eran, ya que ninguno de ellos optó, en defender a un niño inocente y lleno de temor, que no había cometido más delito que el matar sin querer a un chivo, que era menos cabrón que todos aquellos papalbus humanos. Uno de los guardias con el mosquetón en la mano, me acarició mi corta y jamás peinada cabellera, pues nada más que tenía dos dedos de larga, mi madre me la rapaba al cero para que los abundantes piojos en ella no sembraran la descendencia de sus miserias, y a la par que esto hacía tan despreciable celador de una ley muy poco justiciera, con palabras que pretendían ser cariñosas y amables me dijo: —Ya veo por las caricias que luces en tu rostro, que con todo merecimiento y sin ninguna duda el señor Manín te ha hecho, que eres un niño rebelde, desobediente y malo, que te niegas a decir la verdad, y por lo tanto por todos estos endemoniados pecados irás al infierno, así es, que si ahora mismo no me dices quién fue el que disparó contra el chivo de tu amo, yo también tendré que castigarte. En esto estábamos el guardia y yo rodeados por los vecinos que no decían ni pío, cuando hizo acto de presencia el señor cura, que relevando a la autoridad de su palabra no así de mi persona, me aconsejó apoyando sus frases en la Divinidad de Señor, para que les contase la verdad que me liberaría de todos mis sufrimientos. Díjele al cura lo mismo que al guardia que yo estaba dormido, y que sólo me había despertado al oír al chivo berrar a la par que bajaba por entre los peñascos rodando. La ruda mano de aquel guardia, que seguramente había sido toda su vida un rústico campesino y que la guerra le había liberado de tan honrado lugar para colocarle en el más delicado de los oficios, como es el de servir con dignidad a la Justicia, cuento yo que aquella pesada mano de aquel hombre que pensaba que las personas había que tratarlas como a las bestias con las que él hubiera vivido siempre, dejó de acariciar mi cabeza y sus dedos se aferraron como si fuesen fuertes murgazas (tenazas) a una de mis uréas (orejas), y sonriéndose como si me estuviese el muy hipócrita acariciándome, a la par que me rogaba que le contase la verdad, me apretujaba con tal fuerza, que el dolor que me inyectaba me hacía ver todas las estrellas. Creo que lo que más le molestaba aquel cobarde representante de la ley, no de la Justicia, era que yo, que la vida ya me había forjado en saber llevar el sufrimiento, ni llorara, ni gritara ni menos me quejara de nada, por eso el infame seguía despiadamente con todas sus fuerzas apretándome, aun es hoy el día, que cada vez que me recuerdo de aquel momento mi oreja se pone tan rápidamente colorada, que hasta me molesta el calor que alumbra. Así en este atroz sufrimiento yo me debatía, sin que nadie de los allí reunidos por mí intercediera, dentro del horripilante dolor que me producía aquel estrapayáu d'uréas (retorcimiento, aplastamiento de orejas), cuando llegó mi madre ante la concurrencia, pues como era domingo, bajaba la pobre de aquella aldea donde toda la semana había estado trabajando, trayendo encima de la cabeza una manieguina (cesta) llena de viandas que en el caserío le habían dado a cuenta de su esfuerzo. Cuando mi madre me vio a mí, en tal escarnecimiento, tiró la manieguca al suelo, y llena de una fuerza airada que la multiplicaba, se acercó tan randa como una centella hasta mi verdugo y arrancándole el mosquetón de un fuerte tirón de entre su mano, le pegó con él tamaño golpe encima de sus costillas, que dio con él como si se tratara de un muñeco de trapo en tierra. Antes de seguir con esta cierta historia, voy hacer un inciso, para describir muy someramente cómo era mi madre en aquella época. Era joven, aun no llegaría a los cuarenta años, y a pesar de su juventud, ya había perdido la pobrecita dentro de los mayores sufrimientos que se puedan imaginar, a dos hijos que luchaban en la guerra, a su marido que fuera fusilado y a todo cuanto poseía. Mi madre como perteneciente a la más ancestral raza astur, era rubia, con el pelo del color de la miel, o de la escanda sazonada, tan abundante lo tenía, que cuando lo llevaba suelto y se acuruxaba (agachaba) le tapaba todo su cuerpo como si lo cubriera con una preciosa manta. Sus ojos eran a veces tan azules como el transparente cielo de una mañana de primavera, y en ocasiones eran tan verdes como los mismos campos de nuestra aldea. Era tan pura y recia como la misma madre naturaleza, inamovible en sus decisiones, honrada y justiciera. Era una auténtica astur procedente de la primera raza que pobló las ubérrimas montañas de mi noble tierra, y no una mistificación como somos hoy en día más del noventa por ciento de las gentes asturianas, enraizados con todos los colonizadores de nuestra tierra. Mi madre enojada era una invencible fiera, y tranquila y serena, era tan hermosa y dulce como incomparablemente lo es mi asturiana tierra. Y ya dicho con suficiente claridad como era esta excepcional mujer, vuelvo a centrarme en el desaguisado que mi madre justicieramente preparara, con una valentía y decisión tal, que dejó a todos perplejos y anonadados, pues el guardia que en posición ridícula espanzarrado moraba en el suelo, desde tal lugar miraba con ojos desorbitados a mi madre que con el mosquetón en la mano y a la par que se lo arrojaba con fuerza y mala sangre contra su pecho le decía: ¡Yes un llimiagu, lu mesmu que toes istes xentes que conxentíen, qu'dellantri de la mesma ilexia del Faedor, y'en prexencia d'isti cura escosáu de coyones ya xusticieres razones, lú mesmu que tous vuexotrus que sois una cabaná de baldreyus, que tu que yes un cachiparru, martirizares a isti nenín pequenu, ya s'ístu faedis con miou fíu qu'entavía 'l probitín non sabe dúnde come, ¿qué faeredis con les prexones mayores? (Eres un rastrero baboso, lo mismo que todas estas gentes que te consienten, que delante de la iglesia de Dios y ante la presencia de este cura que no tiene ni cojones, ni justicieras razones, lo mismo que todos vosotros, que no sois nada más que un rebaño de cobardes, que tú que no eres nada más que un parásito martirizaras a este pequeño niño. Y si esto haceís con mi hijo, que todavía el pobrecito no sabe de dónde come, ¿qué hareis con las personas mayores...?). El otro guardia que sin lugar a dudas parecía un hombre con mejores sentimientos que el gusano que me había martirizado, intentaba sujetar a mi madre propinándole palabras que le aconsejaban que no complicara más las cosas, mientras que su repugnante compañero se levantaba del suelo, y ya con el arma entre sus manos, la enarboló por encima de su cabeza en amago de dejarla caer encima de mi madre a la sazón que con una inquina maligna y cobardosa le decía: ¡Si fuese usted un hombre, ahora mismo le partía la cabeza en dos para que al final de su existencia comprendiera usted, que el deber de todo ciudadano es respetar a la ley! A lo que mi madre le respondió de la siguiente manera: —Si you fora un home, a usté había qu'allevantalu dóu tá, p'ancuandiálu debaxu tierra, que ye 'l llugar quéi cuerresponde a la xentuza baldreyante comu ye usté. Ya tocante a la ley que reprexenta, que ye tan betchá de maldáes comu usté mesmu, pásula you ya toes les prexones decentes pente les piernes ya mexamus per echa. ¡Perque isa lley que tantu cacaréa achuquinóu ya t'achuquinandu a fatáus d'iñocentes, sin respetar nin al vietchu que t'encantu la xepoltura, nin al xoven qu'entavía non golióu 'l tafu de papalbus ya rapiegus que tienen tous los comedores que la endubiechan y'esmarachen! (Si yo fuese un hombre, a usted había que levantarle del lugar donde se encuentra para enterrarle bajo tierra, que es el sitio que le corresponde a la gentuza cobarde como lo es usted. Y tocante a la ley que tanto cacarea, que está tan rica de maldades como usted mismo, la paso yo y todas las personas decentes por entre las piernas y meamos por ella). (¡Porque esa ley que usted representa, ha asesinado y está asesinando a muchos inocentes, sin respetar ni al viejo que ya se encuentra al borde de su sepultura, ni tampoco al joven que todavía no se ha olido, el característico mal hedor que emana de los comedores, indeseables y ladrones que la han hecho, así como ustedes que atropelladamente obligan a punta de pistola y látigo a que se cumpla!). Aun puedo ver en los rostros de todas aquellas gentes que nos rodeaban, desde esta asquerosa celda donde viviendo el presente que me aprisiona en esclavo de unas injustas ordenanzas, mi mente desdoblándose en dimensiones pasadas, añora con tristezas y alegrías, las primeras alumbradoras fuentes de toda mi desgracia. Sí, veo los ojos asustados de algunos de mis convecinos, que al escuchar aquellas graves y acusadoras palabras que mi madre airada, enloquecida y por toparse en su justo desquiciada, le decía a aquel guardia que tan cobardemente la amenazaba. Sí, veo como todos ellos con tristeza pensaban, que mi madre no iba a salir de aquel asunto bien librada. Pues en aquellos tiempos por menor delito, al paredón de fusilamiento llevaban a personas más recomendadas. Vi los ojos de aquel guardia ruin y rastrero, vilos cómo se llenaban de una alegría satánica, quizás en otras ocasiones ya por él vivida, cuando a tantos inocentes martirizaba o asesinaba. Vi cómo dejó de amenazar a mi madre, cómo colgó el mosquetón de su hombro, y metiendo la mano sonriendo canallescamente en su macuto, sacó unas relucientes esposas con las que se disponía a encadenar a mi madre en el lleldar (acaecer) que le decía: —La voy a llevar a usted y a su hijo detenidos hasta el cuartelillo, y allí, le enseñaremos a usted a respetar la ley y el orden, ya verá usted cómo cuando nosotros la dejemos, no se le ocurrirá jamás ofender a la ley y al régimen, ni aun en su propio pensamiento. Y en cuanto a su cachorro, que parece ser tiene su misma casta, también le enseñaremos a decir la verdad aunque tengamos que arrancarle la lengua. Fue entonces cuando uno de los dos principales caciques de la aldea, que también ye menester que cuando encarte les diga cómo eran, le dijo al guardia con palabras amenazadoras: ¡Dexe tranquíl ista muyer ya 'l sou fíu, pos güéi mesmu vou cuntaye you 'l sou xefe la clás de guardia que ta fechu. (Deje tranquila a esta mujer y a su hijo, y hoy mismo le voy a contar a su jefe la clase de guardia que está hecho, que se ha dejado desarmar por una mujer cuando cobardemente usted martirizaba a su hijo, poco puedo poder yo si no le hago catar covixu noitre ufixu (oficio), perque nisti de guardia paeme amindi que nun ten llixa (arte, valer, etc.). La fuerza y poder que tenían aquellos desalmados caciques en aquellos tiempos de desalmados vivires, achindi mesmu xuntu lus mious güétchus (allí mismo frente a mis ojos) quedaba bien claro, porque aquel guardia aviñonáu de miéu (lleno de miedo), se justificaba rastrera y servilmente pidiéndole perdón aquel hombre que no había sido en toda su vida nada más que un verdadero canalla, per ístu miou má noxá fasta cuaxí la llocura dista maneira le falóu (por esto mi madre enojada hasta casi la locura de esta manera le habló). —Lu que me faltaba per uyír, que tena que debéi cumplíus a isti baldrayu d'achuquín, que dexóu la nuexa 'ldina xemá de güerfaninus dexamparáus de la mán del Faidor ya de lus homes. (Lo que me faltaba por escuchar, que tenga yo que deberle favores a este cobarde de asesino que dejó la aldea sembrada de huérfanos desamparados de la mano de Dios y de los hombres). ¿Nun foste tóu sou banduerru de lus enfermus el que denuncióu 'l miou home paque me l'achuquinaren na cárxel d'Uviéu? (¿No has sido tu comedor, canalla de los infiernos el que ha denunciado a mi marido para que me lo asesinasen en la cárcel de Oviedo?). ¿Ya con lus fíus de Manolón el Gocheiru...? ¿Qué foi lu que fixiste conechus baldrayán? Que yeren un par de rapazus más bonus qu'el pan d'escanda qu'enxamás fixerun mal a naide, ya cundu taben per aquíndi de millicianus, ya tóu t'encovaxabes fugáu per les branes, tóus xapiemus na cabana que t'empayaretabes, ya tantu nuexóitres perque yeras veicín comu aquechus ñocentinus rapazus qu’achuquinasti deximiémuste xempre pa que nun te prendieren. Que fatiquinus forun lus probetayus rapazus, y'anxín pagarun con las sous vides les sous fatezas, pos se te viexen deñunciáu, nistes gores tabes fechu 'n meruxéiru de merucus, xustamente lu que yes, y'echus taríen vivus al lláu de lus sous pás. (¿Y qué has hecho con los hijos del Cerdero?, que eran un par de mozos más buenos que el pan de escanda, que no han hecho más mal los pobrecitos, que cuando fueron al servicio militar por la quinta; y estuvieron por estos contornos de milicianos, mientras que tu andabas por la braña huido, y sabiendo nosotros en la cabaña donde te refugiabas, no te hemos denunciado porque eras nuestro vecino, aunque tuvieras la idea política que te diera la gana, que no debe de ser ninguna, porque te parió tu madre canalla desde la entraña, pues como te estoy diciendo, tanto aquellos grandes rapazos como nosotros, te olvidábamos siempre para que nunca te cazaran. ¡Qué tontos fueron aquellos pobres y desgraciadinos muchachos, y así pagaron con sus vidas sus tontezas, pues si te hubiesen denunciado, a estas horas, tu estarías hecho una verbena de gusanos, que ni más ni menos es lo que eres, y ellos estarían vivos al lado de sus desesperantes padres!). Todos escuchaban a mi madre silenciosos y asustados, considerando algunos con tristeza, que mi madre se había vuelto turulata (loca) para atraverse a manifestar acusadoramente ante los guardias, el cura y el pueblo, lo que todas las gentes de la aldea sabían que era cierto, pero no se detuvo mi madre en el acuse que le hacía aquel villano de todas sus bellaquerías, pues al no encontrar nadie que la importunara, siguió con su palabra y con igual fuerza mortificándole de esta manera: —E nus tiempus d'endenantes, cundu lus roxus mandaben lu mesmu que vuexotrus facedis nagora, non trañia l'esquilona de l'ilexa p'axuntanus en conceyu p'uyír la misa tres el cura, perque pieschada taba la casa del Faidor, ya con lus curas lus roxus nagua querían, peru a pesar de tar tan lexus del Faidor, a naide s'achuquinóu n'aldea, ya se morrierun un par de rapazus, fói nel frenti, peru nagora que tenemus l’ilexa 'l entestate, y'un cura que coyius de la man quiér chevanus a tóus pel atayu de non sei que Dios, ya non sei que cielu, pos con tou isti telar, entremedáu de cures, ya caciques comu lu yes tóu, de confexones, mises ya xermones, achuquinasteis n'aldea 'n poucus dies, más xentes que de mala manera, enxamás de lus xamases en Asturies murrierun. Se tóu xupiés so lladrón achuquinante, lu mesmu que toes istes xentes que m'acorrelan, lu que you tenu xufriu nes comunicaciones de la muerte que se encaldaben na cárxel d'Uvieu, dúnde 'l miéu ya 'l espavoríu facien fuercia, únde 'l fríu enxenebráu la entraña te queimaba, únde les chárimes esbocáes en el glayíu xapoixaben, atristeyáus ya dollores qu'eszarapicaben, tous lus xentíus de cuantus escuchaban. Non puéu apoixar de mious videtches, lus güeyus enfervecíus de aquechus homes, qu'agoxáes allumbraben engafuráes chárimes, con les manes tembluqueántes per el miéu, acoyendu con desesperación las rexes de fierru, que non lus dexaben en postreira vez, abrazar a la sou muyer ya lus sous fíus, qu'ameruxáus de cariñu, ya betcháus de dollor, choraben ya glayaben, xiringáus per el amore que profexaben naquel home, que yera 'l pá de lus fíus, el mantín desous quereres, y’l caidonal del sou llare. Naide algamía per mor de aqueches rexes de fierru entemedades, falagar cómu postreira despedida, a la muyer nin al home, nin lus pequeninus fíus, que güerfaninus naquecha nueche diben quedaré, perque banduerrus baldreyus lu mesmu que tóu, lus deñunciaben y'acusaben de faer fatáus de couxes, que ni nel xoñéu lus probetayus dacuandu lleldaren. Tóus nun mirabamus atristeyáus per debaxu la borrina qu'acobertoriaba lus güeyus encarnispáus pe les chárimes, ya lexus de falanus tantes couxes, nel tiempu tan escosu que nus daben, esfaíamonus en playíus choramiqueirus llastimeirus e nes fanes más mortales. Enclicáus tous per un dollor que nes entrañes esquiciáu t'esgarduñaba, tabamus fatáus de xocenes muyeres que güéi toes viudes y'esgraciaínes semos, enlloquecides y'engarrinchades a les rexes que a la llibertá ya la xusticia trincotiaben. Nagua podiamus decinus, perque la pallabra afogábase na conguetcha qu’el alma esfaída pe la tristieza sacupaba, sous penares nel gargüélu, a munchus el dollor añuedábayes el celebru con tal prietura, que esmurgazábanse col xentíu perdíu nel enllabanáu xuelu. Alcuérdume comu s’agora mesmu fora, ya xamás de lus xamases tal desxusticiáu, endiañáu, baldreyóuxu ya chuquinamientu de xentes abondes d'eches tan iñocentes comu isti rapacín, que la mesma lley qu'achuquinóu a suo padre, martirizóulu a él, ante 'l cura, que mangonéa la mitá la aldea, y'isti banduerru de cacique dumeña entrambas partes, ya tous voxoutrus qu'empaparáus per el miéu, olvidósebus defender tou lo güenu per lu que lus vuesus homes llucharun ya morrierun ¡Sin alcuerdume d'aqueches canallesques comunicaciones que se lleldaben na cárxel d'Uvieu, ya non esborraránseme de les mious vidatches metantu que la vida me acompañe! (En los tiempos ya pasados, cuando los rojos mandaban lo mismo que vosotros hacéis ahora, no tañía la campana de la iglesia, para llamarnos y rejuntarnos a todos en fraternal comunidad, para escuchar la misa detrás de un cura, porque cerrada estaba la Casa de Dios, y con los curas los rojos no querían saber nada. Pero a pesar según parecía de que se encontraban muy lejos del Hacedor, a nadie asesinaron en la aldea, y si han muerto un par de jóvenes, ha sido luchando en el frente. Sin embargo ahora, que tenemos la iglesia siempre abierta y un cura que asidos de la mano, quiere llevarnos a todos por el camino más corto para alcanzar, no sé a qué dios, ni tampoco a qué cielo, pues con todos estos sucederes que ahora están pasando, entretejidos por los curas, y por caciques como lo eres tú, de confesiones, misas y sermones, habéis asesinado en la aldea en pocos días, más gentes que de mala manera, jamás de los jamases no contando estos tiempos, en todo Asturias han muerto. Si tu supieras so ladrón y asesino, lo mismo que todas estas gentes que nos rodean, lo que yo he sufrido en las famosas comunicaciones de la muerte que se hacían en la cárcel de Oviedo, donde el miedo y el pavor, hacían fuerza, donde el helado frío que el temor producía, al mismo tiempo las entrañas te quemaba, donde las lágrimas deslocadas en gritos lastimeros se posaban, haciendo tristezas y dolores tan inmensos, que despedazaban todos los sentidos de cuantos escuchaban. No puedo apear de mi cerebro los ojos enardecidos de aquellos hombres, que a cestadas alumbraban envenenadoras lágrimas, y con sus manos temblorosas por el miedo, cogían con desesperación las rejas de hierro, que les prohibían por última vez, abrazar a sus mujeres e hijos, que llenos de cariño y ricos de dolor, lloraban y gritaban desesperadamente, movidos por el amor que profesaban a aquel hombre, que era el padre de los hijos que quedarían ya para siempre desamparados, el amante esposo de sus quereres, y el fuerte guía de sus lares. Nadie alcanzaba por la causa de aquellas rejas de hierro fuertemente entretejidas, halagar como última despedida, a la mujer ni al hombre, ni a los amados y pequeños hijos, que huerfanitos aquella noche si iban a quedar, porque indeseables cobardes lo mismo que tu eres, les habían denunciado y acusado, de haber hecho muchas y malas cosas, que ni en el sueño los pobrecitos, jamás ni habían pensado. Todos nos mirábamos entristecidos, por debajo de la niebla que nublaba los ojos enrojecidos por las lágrimas, y lejos de hablar de tantas cosas en el tiempo tan corto que nos daban, nos deshacíamos en lamentos lastimosos, que nos precipitaban en los abismos más mortales. Agachados todos por un dolor que en nuestras entrañas enloquecido sin piedad las arañaba, estábamos en aquella triste ocasión, muchas jóvenes mujeres que hoy todas viudas y desgraciadas somos, enloquecidas y agarradas con desespero a aquellas rejas, que a la Libertad y a la Justicia pisoteaban. Nada podíamos decirnos, porque las palabras ahogábanse en la garganta, que el alma deshecha por la tristeza, vertía en ella sus penares. A muchos el dolor les aprisionaba el cerebro con tal fuerza, que se desvanecían privados del sentido entre las losas que poblaban el suelo. Recuerdo como si ahora mismo estuviese sucediendo, y nunca jamás, tal injusticia, endiablada cobardía, y canallesco asesinamiento de gentes, muchas de ellas tan inocentes como este pequeño, que la misma ley que asesinó a su padre, le está martirizando ahora, precisamente ante la presencia del cura, que es el dueño de la mitad de la aldea, y de este indeseable de cacique, que domina entrambas partes, y de todos vosotros que llenos y dominados por el miedo, os olvidasteis de defender todo lo bueno y hermoso, por lo que vuestros hombres lucharon y murieron). (¡Sí recuerdo aquellas canallescas comunicaciones que se hacían en la cárcel de Oviedo, y que ya nunca podrán borrarse de mis sienes, mientras que la vida me acompañe!). Recuerdo perfectamente cómo todas aquellas gentes escuchaban a mi madre entre asombrados, y compasivos, entre temerosos avergonzados y ofendidos, y quizás hubiesen escuchado muchas más injusticias que habían hecho no los caballeros y valientes soldados, que denodadamente lucharon hasta conseguir la victoria, ni tampoco las juventudes que militaban en el partido triunfador, sino las gentes maduras, caciques que habían conservado la vida en entrambos bandos, que llenas de un odio vengativo y endiablado, habían hecho ellas más muertes criminales en la paz de la posguerra que todos los leales luchadores de enemigos bandos. Digo yo que mi madre con su cordura de mente les hubiese seguido acusando, si el cura, muy oportuno y diplomático, como son todos los religiosos de carrera larga, no se ausentara sin decir palabra, y ordenara al sacristán que tocase la última campanada, para entrar a la iglesia con el fin de escuchar la misa. Y ahora diré, que mal dicho está que yo diga que el sacristán tocase la campana, porque no había tal campana, ni en la iglesia de mi aldea ni en ninguna otra en todo el valle, ya que los rojos, se las habían llevado todas, no sé con qué fin ni propósito, como tampoco puedo comprender porque quemaban los santos que jamás les harían ningún daño, y dejaban con vida a indeseables como los caciques asesinos de mi aldea. Lo cierto es, que como campana de la vieja iglesia de mi aldea, había un trozo de raíl colgado del pórtico con una alambre, donde aporreaba el sacristán, con un martillo medio deshecho de los de cabruñar la guadaña. Nada más que el toque comenzó hacerse sentir, fueron las gentes desfilando tras la llamada de la postrera campanada, sin que nadie se osara replicarle a mi madre ni tan sola una palabra, bien fuese de desagrado o de conformidad con cuanto había enardecidamente manifestado. Todos se adentraron en la casa del Señor donde yo creo, que si el Nazareno pudiese apoixase (apearse) de la Cruz, no dudo que a todos ellos una tocata de barganazus les esfargayara. (Paliza de palos que en ellos prodigara). Dejó mi madre de reñir a voz en grito, pero siguió haciéndolo muy quedadamente, a la par que con gran remango recogía su cesta, que colocándola esta vez debajo el brazo, nos encaminamos para nuestro lar, mientras que aquellas gentes, culpables unas e inocentes las otras, le rogaban a Dios, los unos por sus pecados monstruosos ya cometidos, que en El no habían pensado cuando los ordenaban, los otros, quizás le pidieran paz y prosperidad para ellos, sus cosechas y ganados, pero Dios no escucharía ni menos ayudaría, ni al pecador tal vez arrepentido, ni al inocente libre de pecado, y lo sé por propia experiencia, porque yo, tantas veces le he llamado, suplicado y rogado, siempre a cuestas con el temor, la miseria y el desprecio que el mundo en mi había sembrado, y jamás El se dignó ni tan siquiera escucharme, porque si me hubiese escuchado, y no remediara con prontitud ni nefastoso sufrimiento, yo diría ya sin el menor equívoco, que el Dios que todos tememos y adoramos, no es nada más que un diablo. Y esto sin lugar a dudas es así, porque Nuestro Señor está harto de nosotros hasta la misma coronilla, y por eso pensó ya en inmemoriales tiempos, que o liquidarnos a todos, y olvidarse sin pena y con prontitud del mal invento que había industriado, o dejarnos vivir a nuestro aire, sin preocuparse ya para nada de nuestros haceres, hasta que la muerte nos lleve a su presencia. Caminaba yo detrás de mi madre, sujetándome con la mano mi dolorosa y sangrante oreja, que más doloroso sufrimiento me había reportado, cuando aquel imbécil y canalla de guardia me la había retorcido, que si me hubiesen molido todo mi cuerpo a palos. Llegamos a la postre a nuestra humilde casa, y siempre sin parar de reñir mi madre, de maldecir y de amenazar, estongóu 'l llar (limpió la cocina) de añejas cenizas, y con la rapidez con que ella solía hacer las cosas, tizóu ‘l fuéu (prendió el fuego) y después, puso un cazo lleno de agua con sal y unas hierbas (que ahora no sé cómo se llaman, pero que son muy buenas para las heridas) a hervir, y mientras que hervía, s'encaldóu nel trabayu de pulgar patacas (se hizo en el trabajo de mondar patatas), de las que había traído de la aldea de donde venía. Cuando el agua estuvo en su punto, que fue en el momento que ella terminara de aliñar las patatas ya listas para ser fritas, se dispuso mi madre a curarme, y al tenor que lo estaba haciendo, y viendo yo en su rostro retratado el cariñoso sufrimiento que por mí sentía, ella como siempre intentando disimular toda emoción, me preguntó dando muestras de un enfado cariñoso, ¿que qué era lo que había sucedido, o en qué líos me había yo alojado, para que los guardias me hubiesen puesto el rostro como un Ecce Homo? —Díjele a mi madre que el guardia no me había hecho nada más que estrapayáu l'uréa (deshecho la oreja), y que las otras heridas me las proporcionara el amo Manín, por las causas del condenado cabrón que ustedes ya saben. —Vi cómo las recias manos de mi madre temblaban al tenor que a mis heridas con aquella agua milagrosa me lavaba, sentí cómo su voz enardecida juraba y perjuraba contra aquel Manín de los infiernos, al cual ella decía, le iba a colgar la foiz (hoz) del pescuezo. Dio por terminada mi cura y en instantes me preparó la comida, que consistía en un buen cazo de patatas fritas con grasa de tocino, un gran cantezu (pedazo) de pan de escanda, y un escudiecháu de lleiche con borona (taza de leche con pan de maíz), y ya fartuquín fasta ‘l rutiar (harto hasta el eructo), preguntele que si podía ir a dar una vuelta por la aldea, a lo que ella me respondió afirmativamente, recordándome con amenazas, el que non m'engarricra con lus oitres rapacinus. (Que no me pelease con los otros niños). Cuando me dirigía al lugar donde todos los chicos por costumbre teníamos de reunirnos para enredar (jugar), en una de las callejas de mi aldea, me topé con Pelayu, que seguramente habría abandonado a su amo en el monte, por el extraño de no verme a mi como sucedía siempre. ¿Porque qué animal o persona con sentimientos nobles y cariñosos, podría vivir en la soledad del monte en la compañía de una repugnante bestia, como lo era Manín nuestro amo...? Viome primero Pelayu que yo a él le avistara, y casi estoy por asegurar, que me había olfateado antes de que yo desembocara en la calleja, donde él buscándose la vida por todos los rincones husmeaba. Porque yo jamás había visto a Manín, darle al pobre de Pelayu de comer nada, ya que Manín solía decir dándoselas siempre de razonero eficiente, que el perro no se le podía dar la esllaba óu llabaza de fregar lus cacíus (las aguas sucias residuos de lavar los cacharros de la cocina) porque estaban los bracus na cobil urniándu per llapalas (cerdos en el cubil gruñendo por tomarlas), que al perro lo único que se le podía dar, era aquello que no tuviese aprovechamiento para nada, como les llixes de les vaques cundu betchaban, de las uvées ya les cabras, óu cuallesquier oitra molicie que paque nún fediera menester yera encuandiála (como las libraduras de las vacas, de las ovejas y las cabras cuando parían, o cualquier otra porquería que para que no oliese mal, fuera necesario enterrarla). Vino Pelayu hacia mí envuelta su alma perruna por una gozasa alegría, pero me di cuenta con pena profunda, que no hacía tal acercamiento dentro del desenfado y gracial camaradería que en todas las ocasiones él conmigo usara, pues por primera vez mi buen Pelayu, para acercarse a mí, rastreramente se arrastraba, no era por el miedo de que yo le apaleara, ya que jamás ni de palabra le había ofendido, era sin duda porque se sentía muy avergonzado de haberme abandonado la pasada noche, cuando tan triste y solo me encontraba, y quizás más le necesitara. ¡Pobre Pelayu! ¡Qué alma más humana tenía, y a cuántos humanos, el alma de los rabiosos perros les dirigía! Me agabuxé (agaché) a su lado, envuelto yo por una sana, jovial, y angelical alegría, le besé su rostro varias veces entusiasmado, y acaricié con gozo su fino y sedoso cuerpo, y olvidándonos entrambos él de su cobardía y yo del rencor que pudiera por su gesto guardarle, nos fusionamos en un abrazo risueño y cariñoso, donde él dando pequeños ladridos por los que manifestaba su alegría y pena, me lamía una y mil veces las heridas que adornaban mis mexietchas (mejillas), y quizás se estuviese jurando, que aunque le costase la vida, nunca de mi lado se alejaría. Toda aquella tarde, estuve jugando al «llanque» y a la «palombietcha» con el único amigo de verdad que en la aldea tenía que se llamaba Muel. Pobre amigo mío, murió cuando apenas tenía veintiocho años, reventado por el más duro y esclavizante trabajo, que desde su niñez y en mi compañía, fustigados por el hambre y la necesidad, entrambos y dos a las severas órdenes de su padre, como serradores en casi todos los montes de mi Asturias, habíamos llevado a cabo, al final, su cuerpo ya deshecho, explotado y gastado, fue consumiéndose en la triste soledad del sanatorio del Naranco, donde murió devorado por una tisis galopante. Tenía Muel dos o tres años más que yo, y sin embargo éramos los dos de la misma estatura, y empezamos a serrar madera manualmente los dos en el mismo día, teniendo yo en la sazón, tan sólo trece años, fue nuestro maestro su propio padre, y nos trataba como nadie se puede imaginar, ya que no había día, que no nos untara ‘l focicu (nos azotaba) por lo menos un par de veces. No es que aquel hombre y excepcional trabajador fuese malo, no nada de eso, es que el pobre precisaba por fuerza mayor, para poder desarrollar el duro trabajo del serrador, que nosotros hiciésemos el trabajo de hombres y no éramos nada más que dos niños. Digo yo que aquella tarde, le conté a mi amigo Muel, como había encontrado en la montaña la cueva de las armas, y así hablando de nuestros proyectos, acordamos que al día siguiente subiríamos hasta ella, para jugar hasta cansarnos con aquellos juguetes de verdad. Así es que a la oscurecida retornamos cada uno para su casa, saboreando por adelantado lo felices que al día siguiente habíamos de ser. Caminaba en pos de mí, tan contento y satisfecho como siempre mi buen Pelayu, sin preocuparse para nada de que él, era un esclavo de Manín, y no un ser libre que pudiese hacer lo que más le conviniese, pero al llegar a la esplanada donde asentada estaba la bolera, lugar clave donde se reunían todos los vecinos de la aldea, después que concluían sus trabajos, bien fuese para charlas y cambiar impresiones, o para jugar unas partidas a los bolos, como cuento, allí estaba Manín, en diálogo con unos vecinos, ya de retirada para su casa después de haber encerrado las cabras, cuando vio a su desleal Pelayu, que muy contento y moviendo con gran felicidad su rabo, me acompañaba a mí, como si yo fuese en vez de él su amo, dejó a su contertulio con la palabra en la boca, y cambiando su pacífica charla por la riña loca, embistiome a mi con ofensiva y pecaminosa palabra, al mismo tiempo que con la vara que portaba en su mano, descargó sobre el confiado Pelayu tal varazo, que a quedarse el pobre tan sólo un segundo condoliéndose del acuciante dolor que en su cuerpo se anidaba, seguramente que hubiese llevado sobrada ración de varazos, que fácil la dejarían sin vida in situ. Pero no hizo tal cosa mi buen Pelayu, sino que salió huyendo como alma que se lleva el diablo, lanzando en el aire ladridos, que yo creo que no eran por el profundo sufrir que le proporcionara el castigo, sino que en su lenguaje, seguramente maldeciría aquella bestia con figura humana, que era capaz de azotar despiadadamente a un inocente niño, o de asesinarle a él mismo, que no se encontraba con más culpa, que de despreciar a su amo, por canalla y miserable. Y lo propio que Pelayu hizo, no lo dejé yo para más pensado, y a la vez que me perdía en la carrera, huyendo de aquel reptil repugnante y asqueroso, recuerdo que con rabia enloquecida yo le dije: ¡Fíu de put, baldreyu, llimiagu! (Hijo de puta, cobarde, rastrero, baboso..., etc., etc.). Pero miren ustedes por donde, estaba mi madre allí cerca en casa de una vecina hablando de sus cosas tranquilamente, cuando al sentir al Manín que me ofendía, al perro ladrar por la caricia que había recibido, y a mi insultándole poniéndole como un pingayu (de lo peor), salió mi madre de casa de su vecina, con todos sus muchos ánimos aviesporáus (envenenados, aguijoniantes), y cogiendo un palo que allí a mano había, bien seco y sudado, porque hiciera su servicio sirviéndole de mango a una fexoria (azada), se dirigió con extrema rapidez y silenciosamente al lugar donde Manín estaba, y sin decirle ni una sola palabra, empezó a darle palos con aquel formidable mango, que la suerte a Manín le cupió de que nuestros vecinos la detuvieran, porque sino, creo que le hubiese matado. «LA MULTA O EL REFORMATORIO» Al día siguiente, mi amigo Muel, yo y Pelayu, subíamos alegremente hacia la montaña, con locas ansias de llegar pronto a la cueva, con el infantil y firme deseo, de jugar hasta saciarnos con aquellas armas, recuerdo a mi querido amigo, futuro candidato al igual que yo, a la penosa esclavitud que como serradores nos aguardaba, la veo con su sana sonrisa, pintada en sus pequeños y vivarachos ojillos azules, acariciar una y otra vez, con una alegría inmensa aquellas armas, no existía para nosotros en el mundo, en aquellos felices momentos, nada que pudiésemos apreciar tanto, como aquellos mortíferos juguetes, de los que en la sazón, éramos los únicos señores y dueños, nos hallábamos fuera de la cueva, enredando cada uno con su escopeta, y una canana repleta de cartuchos colgada del hombro a la bandolera, Pelayu, desentendiéndose de nosotros mitigaba su hambre cazando grillos y mariposas, o cualquier otro insecto que plugiérale y fuérale rentable para entretener su enflaquecido estómago. Después de cansarnos de hacer la instrucción marcando el paso con la escopeta al hombro, emulando a los soldados cuando hacían prácticas en nuestra aldea, yo le dije a mi amigo señalándole el lugar, que desde aquel mismo sitio, yo había tumbado de dos certeros disparos al cabrón de mi amo. Muel, sacando dos cartuchos de la canana y metiéndolos dentro de la recámara de su escopeta, me dijo que él también pudiera haberlo hecho, y para asegurármelo de que no marraría el tiro, me señaló una piedra rojiza que había muy cerca de donde muriera el chivo, y a la par que se ponía la escopeta en el hombro para materializar lo que había asegurado, me decía ilusionado: —¡Fíxate Xulín!, ya veras cómu la desfaigu nun fatáu de cachiquinus—. (—¡Fíjate Julín!, ya verás como la deshago en mil pedazos—). El doble disparo retumbó dentro del natural silencio de la montaña, como si se tratase de un ruidoso trueno de las tormentas de los veranos, las águilas y los cuervos, así como todos los pájaros y animales que moraban por aquellos aledaños, moviéronse de sus lugares, graznando las aves al levantar el vuelo, y quizás las alimañas agudizasen al oído para saber el peligro que pudiese traerles aquel espanto. Hasta Pelayu dejó su caza insectívora para ladrar desaforado, como si presintiera que otro cabrón había sido abatido, que le haría de nuevo volver a hartarse, o tal vez nos estuviese reprimiendo, queriendo con su lenguaje decirnos, que aquella xuxeante folixa (crecido ruido, alegría, juerga, etc., etc.) que tan amanicomiadamente entamábamos (enloquecido ruido que hacíamos) no iba a reportarnos buenos resultados. Lo cierto fue que mi querido amigo Muel, no atinó a deshacer aquella rojiza piedra contra la que había disparado, y yo alegrándome por su fracaso, cargué con rapidez mi escopeta, me la puse en el hombro, y disparé contra aquel blanco otros dos disparos, tampoco pude yo hacer puntería, y él mofándose de mí, cargó de nuevo su escopeta con notoria alegría, a la vez que me aseguraba que de aquella no fallaría, volvía a disparar sin importarle para nada el tremendo culatazo que nos solían dar aquellos guerreros artefactos. Y así, una y otra vez, atenazados por un gozo y felicidad que nunca con tanta fuerza a nuestros juveniles espíritus había con entera libertad creado, disparábamos con alegría ilusionada contra aquel aproxetáu cuctu (enrojecida piedra), creyéndonos guerreros invencibles, o cazadores afamados. Muy posible yo me creyera un jefe poderoso, justiciero y honrado, que cada disparo que hacía, l'eszarapaba les vidatches d'uno de lus baldreyus homes, que habíen achuquináu ‘l miou padre. (Le deshacía las sienes de algunos de los cobardes hombres que habían asesinado a mi padre). Lo cierto fue, que tras de quemar veintitantos cartuchos cada uno, la piedra seguía en su sitio, y nosotros un poco desilusionados, hicimos un pequeño descanso, en el que acordamos cambiar de blanco. Disponíamos de nuevo hacer más atinadas prácticas sobre el rugoso y fuerte tronco de una encina, cuando Pelayu salió de junto nosotros y con apremiante prisa ladrando, contra un intruso que nos visitaba, guiado al parecer por el atronador ruido, que con nuestros alegrativos disparos formábamos. Era nuestro mal recibido visitador un rapazacu (mozalbete) que andaba por aquellos montes a la caza de la perdiz, que había endemasía nutridos bandos, que bajaban a veces hasta los sembrados d'arbeyinus y'oitres semáus (de guisante y otros sembrados) más alejados de la aldea, y ni el gran espantapáxaru tenía llixa de xebrayus (espantapájaros tenía fuerza para espantarlos). Jerónimo se llamaba aquel jovenzuelo indeseable, que había heredado de su padre toda la cobardía y males tales, que muchas gentes de mis lugares, le estarían rabiosa y odiativa, despreciable y asquerosamente maldiciendo, hasta que el Hacedor les llevara de este mundo tan poco lleno de humanidades. Era hijo de este sujeto tan maldecido, cacique de mi aldea con vuelos tales, que no del todo satisfecho con enviar para el otro barrio algunos de sus inocentes convecinos, en el acaecer se dedicaba, a que a sus vecinos la ley, que había, muy moldeable para dar por buenas todas las denuncias avaladas por caciques facciosos como él, se ensañara con crecidas multas, que al no tener dinero la gente aldeana para satisfacerlas, tenían que vender parte de sus ganados, y sabedores los tratantes por ser lobos de la misma camada aunque con diferente collor (color), que los campesinos tenían que vender sus reses con abonda priexa (mucha prisa) para satisfacer aquellas multas antes que se enrodietcharen (enredaran) peores males, pues como cuento, aquellas aves de rapiña de tratantes, se unían todos de tal manera, que lograban desbaratar los mercados hasta tal punto, que más que comprar, lo que hacían, era robar dentro de la ley a los aflijidos y siempre maltratados campesinos. Al quedarse los desdichados aldeanos sin sus ganados, por la causa de aquellas multas, que la verdad era nadie sabía que era lo que castigaban, aquellas asesinantes multas que la ley les inxertaba (injertaba), que les hacía dentro del acuciante temor que en aquel lleldar (ácaecer) era aterrante, deshacerse de sus ganados para pagar tan diabólicas y desnaturalizantes sanciones. Y como los campesinos, por lo menos en todas las embrujadoras aldeas de mi melgueira tierrina (dulce tierra), y me supongo que tal sucederá en todas las aldeyuelas del mundo, sin ganados de tiro no pueden trabajar sus erus (tierras), tenían que por fuerza mayor, agenciárselo aunque fuese dentro de las más viles condiciones, y así, el canalla de cacique de mi aldea, daba vacas, yegüas, cabras, y ovejas a la comuña (condición) que tan sólo el agobio de la desesperante necesidad hacíales aceptar, con lo que se condenaban a ser esclavos de un ganado que no era de ellos, siendo en la mayor parte de las ocasiones las ganancias completamente nulas, pues si una res se moría, se despeñaba, la mataban los lobos o la devoraba el oso, no la perdía el dueño, sino el comuñero, y así, de esta miserable forma, este canalla de cacique, explotaba vilmente a muchos campesinos que por imperativa necesidad, eran comuñeros de este indeseable asesino, que no había hecho la guerra en las trincheras, porque su cobardía era tan grande, que le había obligado a pasar toda la contienda escondido en los montes, y ahora que la guerra ya terminara, era cuando él verdaderamente la hacía, en la entristecida y enlutada paz que poseían las gentes de mis aldeas. ¿Cuántos despreciables seres como este nefasto individuo había en mi Patria... ? ¡¡Yo creo que honradamente debemos todos de reconocer, que había un par de ellos en cada aldea, y en las villas y ciudades me supongo que morarían muchos más!! Cuento que llegó el Jerónimo con su escopeta al hombro acompañado de su perro perdiguero ante la nuestra presencia, y ufanándose altaneramente quizás pensando que nos iba a hacer, lo que le diera la gana, nos dijo con apariencia muy enojada, al mismo tiempo que nos ofendía con sus palabras: ¡Haber decirme pronto, ¿dónde habéis robado estas escopetas?, si no queréis que vos falague ‘l llombu con ista bardiaca! (que nos moliera a palos todo el cuerpo con una vara que portába en sus manos). No despegó sus labios en el momento mi amigo Muel, porque el padre de aquel llabasquín (cerdo pequeño) era el dueño de los ganados de su casa, y por aquello de que el amo siempre, sin la razón con la ganancia anda, no le refutó pequeña palabra. Pero yo que ya me había creído que aquel babayu de guaxón (farolero, fantasma de mozalbete) se iba apoderar de mis armas, las que yo creía que eran de mi entera propiedad, le dije sin miedo y desafiantemente, que aquellas escopetas eran mías, y que ni él ni nadie sería capaz de quitármelas. Entonces Jerónimo mirándome acusadoramente me replicó seguidamente con estas palabras que me condenaban: ¡Entonces... tu fuiste el que mató antes de ayer al chivo de Manín? ¡Si yo fui!, le dije envalentonado y poseído de una airada rabia, a la vez que le encañonaba con la escopeta y amenazándole firmemente le aconsejaba: ¡Fáinus el favore de dexanus nel nuexu antroxu, ya colar pel mesmu xeitu per únde sen chamate 'llegasti, se nun quiés que faiga nel tou ventrón, el mesmu buracu quei fexe nus fégadus del cabrón de Manín! (¡Haznos el favor de dejarnos con nuestra alegría, y márchate por el mismo sitio, por donde sin llamarte has llegado, si no quieres que haga en tu barriga, un orificio parecido, al que le hice en los hígados del cabrón de Manín!). —Y fue entonces cuando Muel valientemente apoyándome con su amenazante escopeta y con sus advertientes palabras le dijo: ¡Mira Jerónimo, no tiene nada que ver que mi padre se arrastre frente a vosotros, por el miedo de que le quitéis el ganado, pero yo ahora no soy mi padre, y si no sales en el momento corriendo como una exhalación (centella, rápido), me parece a mí, que te vamos a coser a perdigonazos! Justificándose Jerónimo con el atropello que en el miedo se cosecha, dio media vuelta y casi a las carreras, tomó las de villadiego, a la par que se alejaba murmurando no se qué amenazas. Su perro, quedose unos instantes olisqueándose con Pelayu, al que yo achuché (azuzé), y Pelayu que para engarradiercharse (pelearse) era una ardorosa fiera, saltó como un león, atacando con un furor endemoniado al fino can perdigonero, y si no es por Muel, me parece que allí en el mismo lugar que había muerto el chivo, Pelayu hubiera despachado, aquel hermoso, cariñoso e inocente perro. Quedámonos muy satisfechos y gozosos, a la par que en nuestros espíritus, navegaba el orgullo perfumándose con la vanidad Humana, y todo, por haber acoyanáu ya féchule moscar ameruxáu de miéu (acojonado y haberle hecho huir, lleno de miedo) al hijo de uno de los amos de la aldea, que en un principio se había creído, que le sería sencillo hacer con nosotros cuanto le viniese en gana. Durante algún tiempo, estuvimos llindiándu (vigilando, cuidando) a Jerónimo por ver el camino que se tomaba, pues teníamos el temor que se ocultara para después sorprendernos, pero no fue así, y al final muy contentos ya le vimos corriendo que se las pelaba en compañía de su perro, desembocando en el pedregoso camino que le conducía a la aldea. Sabiéndonos libres del temor del adefesio de Jerónimo, y olvidándonos en el mismo instante de cuanto con él nos había acontecido, volvimos a nuestro peligroso juego, de disparar las escopetas contra diferentes blancos, y así, hablando de nuestras cosas con satisfacción que nos embargaba dentro de una felicidad pasajera, deslizábase el tiempo sin enterarnos, hasta que a la postre, dimos fin a todos los cartuchos que teníamos, y fue entonces, cuando decidimos esconder las armas en la cueva, y con los hombros doloridos por las sacudidas que nos propinaban las escopetas por los disparos, disponíamosnos muy contentos en el regreso para nuestras casas, y para simular que veníamos de la leña, agenciámosnos unos tochacus de pochiscus (leños de encina) y poniéndonoslos al hombro, bajamos corriendo por entre los vericuetos y las serpenteantes sendas, hasta llegar al camino real que nos conduciría a la aldea. El ubérrimo valle de alegría alborazada, que poblaba por entero nuestros espíritus, viose en unos segundos nublado y con rapidez cubierto, por un zozobrante y temeroso manto, nacido del retrato que nuestros ojos hicieran, cuando a la entrada de la aldea, justamente en el mismo lugar donde por costumbre, mi amo solía esperarme para xebrar (apartar) sus cabras, estaban aguardándonos los guardias, en la alegre compañía de Jerónimo, que poseyendo las mismas indeseables zunas (costumbres) que su padre, no había perdido ningún tiempo en ir hasta el cuartelillo para delatarnos. Yo tentado estuve cuando me percaté que eran los mismos guardias que el día anterior me habían cobardosamente martirizado, de tirar los garbetus (leños) que llevaba en el hombro, y salir corriendo para huir de aquel verdugo que sonriéndose ladinamente, quizás estuviese pensando su enrevesada y nefastosamente, el volver a esforgayame (arrancarme, estriparme, deshacerme) la única oreja que me quedaba sana. Sin embargo, logré dominar el miedo, y dejando a Muel que abriera la marcha, llegamos a la postre ante la presencia de ellos, y aquel canalla de guardia, no se dirigió a Muel a pesar que unos metros delante de mí iba, sino que vino sonriendo malignamente hacia mí, con las mismas asesinas intenciones que el hambriento lobo lleva, cuando para satisfacer sus ansias del espíritu y la carne, sin el menor miedo se lanza, sobre el inocente corderillo que no tiene a nadie que le defienda. Antes de dirigirme la palabra, aquel demonio con tricornio, que a fe mía desprestigiaban, porque hermosa para el pueblo es la esclava de la Justicia, cuando todas sus obligaciones y credos justamente da cumplidas. Digo yo, que lo primero que hizo fue cogerme mi oreja sana, apretarme un poco para ponerme en atención, y luego mirándome altanera y sonrientemente me dijo: ¡Ahora ya no me negarás de que no has sido tu quien disparó sobre el cabrón de tu amo, y me supongo que también me dirás, dónde has conseguido las armas, maldito pilluelo, hijo de una bruja y de un rojo republicano, o comunista sin entrañas! Tiré los tochucus (leños secos) al suelo apremiado por el dolor que de rabia me desencaldaba (deshacía), con tan mala fortuna que por mí no había sido pensada, que diéronle en las piernas de aquella fiera uniformada, y gran dolor en él tuvo que lleldarse (hacerse), porque dejó de esfarugarme (deshacerme la oreja), para acariciar con gestos de dolor la caña de una de sus piernas, al mismo tiempo que yo hacía lo propio con mi oreja, que ya colorada como una guinda, me resquemaba como si estuviese ardiendo. Mirome con ojos extraviados por la rabia que le enloquecía, y siendo mayor la fuerza de su cobardosa entraña ya en poder de las iras que lo movilizaban, que el dolor que su cuerpo sentía, soltome de revés dos guantazos, que dieron conmigo en tierra, con el rostro manando abundante sangre. Fácil siguiese abofeteándome, pues ya estaba enclicándose (agachándose) para hacer conmigo vayan ustedes saber qué, cuando intercedió su compañero que asiéndole por un hombro, con desprecio y enfado le dijo: ¡Lo que terminas de hacer con este pequeño es una canallada, y como otra vez intentes tocarle del pelo la ropa, te las vas a entender conmigo! ¡¡Estoy harto de tus abusos, y de tus odios y desprecios por todas las gentes desgraciadas!! Ayudome aquel buen guardia a levantarme, y después con su propio pañuelo limpiábame el rostro de sangre, y al parojo que esto hacía cariñosamente me decía: ¡Te juro que nadie te volverá a martirizar más pequeño, y ahora si tu quieres, y que conste que ni te ordeno ni te obligo a contarnos nada, dinos de una vez dónde están esas malditas armas que tanto doloroso daño te han originado! Dime cuenta pronto que de seguir negando no sacaría en limpio nada, ya que el baldroyán (cobarde) de Jerónimo había descubierto ya todo, y a poco listos que fuesen, nada más que les conduciese al lugar donde nos había sorprendido, darían pronto con la cueva, donde se ocultaban las armas. Así que acompañado de Muel y de Pelayu, y seguido de cerca por los dos guardias y el delator de Jerónimo, guielos a paso rápido por entre las vegetativas y pedregosas sendas que serpenteaban por casi inaccesibles lugares, pronto me alegré al comprobar cómo aquel despreciable guardia que tan sañudamente me había martirizado, abarquinaba (respiraba) con penoso trabajo, al mismo tiempo que se deshacía en copiosos sudores el condenado, lo mismo que la manteca fresca expuesta al sol en el verano. Al observar el penoso esfuerzo que aquel guardia repugnante y gordo, imbécil y malvado, tenía que realizar para seguirnos, apreté más aun el paso, que casi se convirtió en carrera y que sólo Muel y Pelayu pudieron aguantarme alejándanos en cuestión de segundos un largo trecho de nuestros enemigos, que en el lleldar (acontecer), ya se habían detenido para hacer acopio de energías unos momentos. Aproximadamente aun no habíamos caminado ni una décima parte del trayecto que nos separaba de la cueva, y ya el llimiagu (baboso) de aquel guardia, se encontraba casi d'afechu despaxaretáu (deshecho), seguramente que antes de llegar al final, en la mente de aquel fucheiru (estercolero) humano, se dibujaría el ruin pensamiento, de maldecir a la ley que como enyordiáu pioyu (sucio piojo) servía, al cachiparru (parásito) que me había delatado, y a mí, por no haber seguido negando. Muel y yo con satisfacción nos reíamos de aquellas gentes, que en nuestras infantiles y sin cultivar mentes, habíamos retratado como personas que tenían menos llixa (fuerza, arte, valer, etc.) que un mure entre las zarpas de un gato. Estaríamos como a la mitad de la andadura, cuando la distancia que nos separaba ya era enorme, y a pesar que de continuo nos ordenaban que no corriésemos tanto y que procuráramos ir siempre a su lado, la verdad es, que ya les habíamos perdido todo miedo y que no les hacíamos el menor caso. Fue entonces cuando se me ocurrió la idea de decirle a mi amigo Muel, que cuando llegásemos al potchisquéiru (encinal), yo me adelantaría corriendo con todas mis fuerzas, para volver aquel mismo lugar antes que ellos lo hicieran, pero después de haber ya ido a la cueva, para poder esconder para nosotros, dos pistolinas muy atongadetas (bonitas, curiosas), que era una pena que se llevaran los guardias, y que nosotros podíamos esconder en cualquier lado. Y así lo hice, y logré regresar, mucho antes de que ellos, llegaran escadriláus (derrengados), claro que descontando a Jerónimo, porque éste andaba tanto como con la lengua si quisiera andarlo. El caso fue que los guardias aquel día se llevaron las armas, y a los cinco o seis días, regresaron a la aldea preguntando por mi madre y el padre de Muel, para llevarles hasta el cuartelillo, con el fin de no sé qué preguntarles o darles. Cuando mi madre en compañía del padre de Muel regresaron del cuartel, estábamos nosotros xugaretiándu (jugando) debajo del ñoceón (nogal grande) que había a la entrada de la aldea, que tanto como tenía de frondoso y grande, eran de pequeñas, escasas e insípidas sus nueces. De donde viene un adagio asturiano que dice: ¡Mucher grandie ande óu non ande, peru tantu s'espatuxa, comu senún lu fixera, en dalgún lláu fae bona atongadura! (Mujer grande, ande, o no ande, pero tanto si camina, como si no lo hace, por grande en todos los lugares estorba). «Claro que se me olvidó decir, que menos en el catre, para añuedar el cibietchu cundu nun hay oitra, pequenina, atongaina ya melgucira». (Para hacer el amor, cuando no hay otra, pequeñita, bien hecha, y tan dulce como lo que debe ser vivir en la gloria). Digo yo que al ver nuestros padres corrimos hacia ellos, y cuando ante su presencia nos encontramos, casi sin darme cuenta vi a mi amigo rodar por el suelo, por la fuerza vigorosa del tremendo castañazo que su padre le llantó nuna mexietcha (le plantó en una mejilla), pero antes de que yo me percatara del peligro que sobre mí se cernía, vime acochetáu (cojido, sacudido) por mi madre, que me allumbróu (alumbró) un mamplenáu (muchos) pescozones, tan seguidos y atinados, que me parecía que todos me llegaban en ringlera, no teniendo que esperar uno por el otro, para que no se enfadasen ninguno. Y allí mismo por este procedimiento que nuestros progenitores nos hacían, comprendimos que nada bueno los guardias a nuestros padres les habían hecho. Y claro que no era nada respetable ni justo, sino un atropello despiadado, inhumano, mezquino, repugnante y apartado de la Justicia a tanta distancia, como la que existe desde la Tierra hasta el Infinito Cielo. Resulta que la canallesca ley que en aquella para mí inolvidable época existía, nos había condenado a ir a un reformatorio, o a que pagasen nuestros padres una multa de ciento cincuenta pesetas en papel del Estado, en el término de treinta días. Y fue entonces cuando yo empecé a preguntarme, ¿que qué era lo que tenían que reformar en mi...? ¿Acaso entraba en la reforma que aquella ley que estaba por todos los rincones de la Patria haciendo encima de los vencidos y sus descendientes, asesinar a nuestros padres, hermanos, parientes y hasta madres, privarnos de nuestra libertad, y robarnos cuánto teníamos? —¿Aquella ley digo, todavía tenía que reformar algo más en mí, que en un principio ya no hubiese inhumana y endemoniadamente reformado? Yo que era en aquel lleldar un pobre niño de poco más de ocho años, condenado precisamente por la misma ley, a no tener jamás ya el amoroso cariño de mi padre, yo que había sido condenado como todos los jóvenes hijos de los vencidos y encarcelados y asesinados padres, yo que estaba lleno de hambre, de miseria, de sufrimiento y de una soledad inconsolable, yo que si quería comer un trozo de pan duro, tenía que caminar descalzo y medio desnudo, por entre las zarzas y guijarros de las montañas, esclavizando mi cuerpo y mis sentidos, en el cuidado de unos ganados que no eran míos, a mí, a un ser así de natural, puro, desamparado y desgraciado, ¿aún quería aquella entroyada (sucia) ley reformarme por considerarme malo? —Yo nunca he sido político, pienso ahora, ni tampoco con mis palabras harto vulgares y aldeanescas, pretendo fomentar el odio hacia nadie, soy ante todo un liberal disciplinado, que ama a mi Patria, por la que estoy en cualquier momento dispuesto a morir, pero me creo con el suficiente derecho de contar al mundo de cuanto yo he sufrido, que es el retrato de tantos otros huérfanos de guerra que lo mismo que yo tanto sufrieron, aunque más en duda, pongo que lo hubieran hecho, quiero contar todo lo que considero que siendo verdad, no debe ser olvidado, y desearía con toda mi alma, que mis palabras tuviesen repílos (ecos) más clarividentes, que los que en su origen se formaron, para que llegasen a todos los oídos, y en sus mentes gigantesca Humanidad digna y justa edificasen, que diera paso a una libertad liberal y disciplinada, que atrancase (cerrase, peslase) sus puertas a todo cuanto no fuese digno y honrado, de esta sencilla y natural manera, la fraternidad sería por primera vez, el tesoro más puro, luminoso y deseado, que la Humanidad en toda su existencia hubiese conquistado. En este relato, que para muchos críticos comedores, que sólo saben fartase comu gochus (comer como cerdos) e intentar con sus medios deshacer lo que alguien con más capacidad creativa que ellos, más bien o peor ha edificado, digo yo, que muchos críticos fanáticos defensores de normas idealísticas, que con sus leyes en la ocasión asquerosamente convencionales, que lograron deshacer el destino que a mi vida creo que le pertenecía, al igual que a toda la generación de los hijos de los perdedores, no les agradara en absoluto, que un hombre que fue despojado de cuanto poseía, y empujado vengativa y canallescamente al arroyo, cuando él por ser un niño, no podía defenderse, tenga ahora la osadía, con sus pobres medios culturales, d’abayucar la trelda (revolver la porquería), que nadie hasta el presente, tan ajustada y verídicamente pudiera contar jamás. Digo porquerías, pues es eso precisamente lo que suelen dejar las secuelas de una guerra civil, y pobre de aquellos países que la sufran, porque sus hijos quedarán divididos, y los perdedores, tendrán que soportar un yugo, que más flojo, o menos prieto, esclavizándolos los ha de postergar. En este relato retrato yo, al vencedor y al vencido, menos al perdedor de quien soy hijo, ya que he tenido la desgracia de conocerle cuando el desventurado ya era un vencido, pero con el vencedor he vivido siempre, sirviéndole con decencia y honradez, silenciosamente observándole siempre, y no recibiendo de él, nada más que calamidades y ofensas, y sin embargo, nunca le odié, siempre disciplinadamente le serví, y si en el lleldar se siente ofendido por lo que de verdad digo, espero que se comporte conmigo, de la misma manera que con él siempre yo he hecho. Sé que estas narraciones no se han de publicar en mi Patria, porque la censura no permitirá que el hijo más humilde, cuente una verdad que denigra no a mi querida y noble España, sino algunos de sus inamovibles sistemas, pero tengo la firme certeza, que algún querido hermano país, sin el menor odio ni rencor sí ha de hacerlo, y con esta mi voz del pueblo, sencilla y natural, ubérrima y estéril, millones de seres de la Tierra habrán de saber, que hoy todavía, vive en mi Patria, la mitad de una generación, descendiente de los perdedores de la sanguinaria Guerra Civil que empobreció a la más maravillosa nación del mundo como es mi España, apartados de todo acceso a cualquier puesto de responsabilidad, bien en el gobierno, en los sindicatos, o en cualquier otro lugar, de responsabilidad de la Patria. Y desde aquí, invito a todos los españoles para que investiguen esto que he dicho, y ya verán como es una verdad, que no admite discusión posible. Cuánto placer sentiría yo si me pudiese expresar con ustedes en la maravillosa, ancestral y rica Lengua Asturiana, pues para mí, decir las cosas en Castellano es un verdadero fastidio, con tantos puntos y comas, y demás signos ortográficos, que para un hombre sin estudios de ninguna clase como yo, es una verdadera tortura, pues mi imaginación que idea y piensa con la fuerza de un enorme río enloquecido, a la hora de querer contar estas copiosas cosechas, que hasta en los mismos sueños me alumbra, cuando me pongo a escribir todos estos pensamientos y acaeceres, al expresarlos en español, meto la pata hasta los corbétchones, por esto ruego me perdonen, y háganse a la idea, de quién les está hablando, no es nada más que un humilde aldeano, sin más escuela que la siempre dura universidad de la vida. Y con la fortuna o desgracia de haber nacido con el embrujador duende de ser soñador, no por aparentar, por ocio o por estudio, sino con la intima necesidad que me tortura el alma, al mismo tiempo que me embarga dentro de una felicidad, que me hace en ocasiones ser dichoso, sin jamás haber sido feliz, y en otras dimensiones me llena de tal tristeza, que en apariencia sin sucederme nada, me encuentro tan apenado y deprimido, que todo cuanto me rodea y hasta yo mismo, me parece la pestilente porquería, con que se harta sin jamás hastiarse, el nefasto diablo al que entusiasmados y egoístas servimos. Enteponíu colaba you dellantre de miou madre, espatuxandu caleya adiantre, afalau per las engafuráes pallabres de miou má, camín de la nuesa teixá. (Conducido corría yo delante de mi madre, caminando rápido calleja arriba, arreado por las envenenadoras palabras que mi madre me dirigía, a la vez que hacia nuestro hogar nos acercábamos. Yo miraba arisco para ella, pensando que me iba alcanzar presto, para propinarme ante mis vecinos, otra somanta (paliza) como la que de aun mi cuerpo se condolía. Al fin llegamos a nuestra casa, y ya en ella encoyíu (encogido) por el temor, aguardaba resignado que mi madre calmara su furia dándome una nueva cuera, que mereciéndola, no la merecía. Estaba visto que llevaba unos días, que todos los golpes me habían elegido a mí para sus descansos, primero el cobarde de mi amo, que con sus asquerosas manos, me había puesto el rostro, tan descalabrado que no había en él un lugar sano donde coyera una guya (cupiera una aguja), después el canalla del guardia, que me dejara las orejas tan maltratadas, que me parecía que no eran mías, y para finalizar mi madre con aquella argurtóuxa tocata que m'apurriera (alta paliza que me propinara), que según me parecía, no había sido nada más que la parba (desayuno breve) de la que se esperaba Furibunda y desesperada asiome mi madre por mis maltrechos hombros, y al mirarme yo en sus hermosos y enojudos ojos, pude ver en lo más profundo de ellos, el desmesurado amor que la pobre me tenía, y lejos de azotarme como yo pensaba, sólo me preguntó muy apenada y preocupada: ¿De dónde vamos a sacar esas ciento cincuenta pesetas Xulín? ¡En alguna parte hijo, nos las agenciaremos, porque yo no permitiré que esta canallesca ley, hecha por indeseables sin entrañas, te lleven al reformatorio, donde ellos se tenían primero que reformar, para no seguir sembrando entre los desventurados vencidos, tanta vengativa y nefastosa canallada! Al día siguiente al rayar el alba, después de desayunar el rabón, (leche ácida cocida con harina de maíz) del que yo sí que me harté, pero ella la pobre apenas comió unas cucharadas, armada mi madre de un azáu (hacha) que había pedido prestado a un vecino, y yo de una foiceta (hoz) de podar la leña, fuimos al monte comunal a baltiar (cortar) leña, pues un carro de leña de encina, roble y espinero, que pesaba más de tres mil kilos, pagaba el maestro panadero, de la única panadería que había en el concejo, cincuenta pesetas por él, así que teníamos todo un mes por delante, para preparar los nueve mil kilos de leña, que nos proporcionarían las ciento cincuenta pesetas, con las que calmaríamos las iras de aquella inhumana ley, que tan despiadadamente nos había castigado. Parecía que mi madre poseía la fuerza del más intrépido de los hombres, talmente era un gigante que con una fiereza incomparable, chorreando sudor y espelurciada su rubia cabellera al viento, cortaba sin el menor descanso encinas, robles y espineros, mientras que yo imitándola en cuanto podía, podaba aquellos arbustos con el más grande de todos mis entusiasmos. Serían las tres de la tarde y no habíamos hecho aun el más pequeño descanso, cuando mi madre me dijo que buscase caracoles, que se criaban en abundancia por aquellos lugares, tal cosa hice mientras que ella prendía un buen fuego, y allí asamos los caracoles que al ser atacados por el calor, estiraban su cuerpo asándose perfectamente, y fue aquella asquerosa comida la que mitigó nuestra hambre. Y así un día, y quince, y veinte, hasta que logramos preparar sin desfallecer ni descansar, los tres carros de leña, acarreándolos a las costillas, en otras ocasiones poleándolos (haciéndoles rodar) por entre los zarzales y las peñas, hasta poder llegar con tan copiosa cantidad de leña, al estratégico lugar donde el panadero con su carro, pudiera cargar la leña. Estábamos embalagándola (apilándola) mi madre y yo muy ufanos y satisfechos, de la difícil victoria que habíamos en tan escaso tiempo conseguido, porque en duda pongo, que pocas gentes en todo el Universo en las circunstancias que nosotros nos encontrábamos hubieran podido lograrlo. Digo yo que en tal trabajo nos encontrábamos amontonando aquella leña, que todos los tochos (leños) medio descortezados por la cantidad de veces, que fue menester rodarlos por entre los cuetus (piedras) que poblaban aquel xerrapeíru (sierra) daban señales y no por los cortes de las herramientas, de haber sufrido lo indecible por encontrarse despeyexáus (despellejados) hasta casi el total emporricamiento (desnudez) de las arnas (cortezas) que los cubrían. Nuestras físicas humanidades se encontraban tan maltrechas después de tantos días de sobrehumano trabajo y de raquíticos y deplorables alimentos, que tal parecía que éramos cadabres (cadáveres) vivientes, sino supiesen cuantos nos conocían, que éramos dos invencibles barras del más puro acero. Yo descalzo de afechu (del todo) y mi madre con las alpargatas dándoles vueltas alrededor del tobillo, imposibilitadas del menor encatesu (remiendo) todas nuestras escasas vestiduras lucíanse tan acuchilladas, como si fatáus (muchos) puñales anárquicamente las hubieran rasgado. Y nuestras pieles por todos los lados se encontraban arraguñáes (arañadas), pinchadas, magulladas, en definitiva martirizadas por las piedras, por los espinos, por la infinidad de arbustos que en aquella sierra casi inaccesible para las mismas cabras, yo y mi madre como dos guerreros invencibles, cortamos aquellos tres carros de leña, que al decir de mi madre, servirían estupendísimamente bien para amagostar (asar) a la propia ley, y a los sinvergüenzas y deshumanizadores fascistones que la vieran fechu (hubieran hecho). Y en postura tan deplorable se empobrecían nuestros desventurados cuerpos, por todo lo contrario, nuestros espíritus se lucían sanos y fortalecidos, orgullosos y alegres, por haber conseguido aquel trabajoso y casi imposible triunfo. También solía decir mi madre dentro de una rabia y desilusión enfurecida, que si los «roxus» (rojos) hubiesen batallado con el mismo ardor, e indómito entusiasmo que nosotros habíamos puesto, todos los fascistones de Europa serían nada para vencerlos, ni en lo más mínimo. Vuelvo a repetir, que concluíamos mi madre y yo de empericotar (apilar) los cuatro leños que faltaban para dar por terminada aquella proeza, cuando la diosa fortuna nos vino a visitar en la forma de Falu el maderero, que más o menos, esto fue lo que nos hizo, y nos dijo: ¡Buenas tardes Lluza!, que así era como llamaban en asturiano a mi madre, ya que en castellano su gracia es Luzdivina. ¡Se ‘l tou home allevantara la motchera, ya te viera a tí ya ‘l tuo fiyiquín, nel estáu que vus deixó la llamazoúsa ley del venceor, paime amín, qu'el probetayu espavoríu per tan grandie inxusticia, oitra vez se morrería! (Si tu marido volviera al mundo y te viera a ti y a tu pequeño hijo, en la situación que os ha dejado la fangosa ley del vencedor, me parece a mí, que el pobre lleno de un enloquecedor pavor por tan grande injusticia, otra vez se volvería a morir). —Recuerdo yo muy bien, lo mismo que si en este momento de nuevo lo estuviese viviendo, lo que me ha hecho esta canallesca ley que ahora a ti te martiriza, cuando en los frentes de Teruel me cogieron prisionero. Me internaron en un campo de concentración, y me dieron más palos que días me quedan de vida, aunque muerra tan viétchu (muera tan viejo) como Marcelín el de Fresnedo, que le llevó Dios cuando pasaba de los ciento diez años. Como comida nos daban una lata redonda de sardinas o bonito, que los prisioneros le llamábamos «el reloj», ya que así era de pequeña. Cuando te salía podre, que sucedía la mayor parte de las veces, te pasabas el día haciendo vigilia. ¿Cuánto te va a dar el panadero por esta leña Lluza? ¡Hombre yo creo que son tres carros buenos, y como está pagándose a diez duros el carro, pues me dará treinta! ¿Algamate? (alcánzate para la multa). ¡Sí Falu, ye lu xustu! (Es lo justo). Rafael, que así se llamaba Falu, (uno de los hombres más honrados, trabajadores y enteros que yo he conocido), a la vez que del bolsillo interior de su chaqueta sacaba la cartera dijo: ¡Mera compañera, voy a venir con el camión de la compañía maderera y llevar toda esta montaña de leña a Trubia, yo te voy a entregar ahora por ella trescientas pesetas, si después vale más, ya te daré el resto, y si vale menos, considera ese dinero que te di, como regalo de un roxu decente ya honráu comu tú le yes miou neña! (Rojo decente y honrado como tú lo eres mujer). Al día siguiente que era feria semanal en la capital del concejo, pidiole mi madre prestado a una buena vecina amiga suya un paxiechacu (traje, vestido) y unas zapatillas, y así vestida de prestado la pobre, se trasladó bien de mañana a la Villa, pagó la multa a aquellos canallas que servían a una ley tan ultrajante, que a los vencidos y sus inocentes descendientes peor que a apestosos esclavos nos trataba. Luego, después, compró ella un paxietyín (un vestidito), unas zapatillas y unas madreñas, para mí, un buzo, que era la vestimenta que entre los pobres se estilaba, unas alpargatinas y unas fuertes madreñas, y después de mercar algunas cosas necesarias, vino para casa la mar de contenta y satisfecha. Y ahora yo me pregunto a muchos años de distancia, viviendo aquellos por mí vividos pisoteados y vengativos tiempos, ¿a qué asesinas, sucias y cobardosas manos, irían a parar, aquellos nuestros dineros, ganados con el sobrehumano esfuerzo y la más justa honradez, manchados por la sangre de nuestras heridas producidas en el agotador trabajo, y mojados por tantas gotas de sudor, como de estrellas debe de haber en el infinito cielo? ¿No se dan cuenta amigos lectores, que injusticias como ésta, o de otra índole aun mayores, deben de contarse al Mundo, pese a quien pese, para quienes las escuchan forjen en sus sentimientos, de que en toda guerra, y sobre todo las civiles, dejan tras de sí, primeramente el dolor más deshumanizante, después las venganzas más pervertidas, que darán vida con fuerza ilimitada, a la repugnante, sanguinaria y odiosa fiera, que todo ser humano, desde los primitivos tiempos de su nacencia, lleva celosamente escondida, en el apartamiento más oscuro y más brillante de su espíritu, donde se mueve gozoso el sentimiento humano, tras de saber que a su Prójimo bien le ha hecho, y se revuelve envilecido, encanallado y airado por el odio y las iras endiabladas, cuando también comprende que a sus semejantes, en el dolor y el sufrimiento los ha sumergido. Y fue precisamente a estos desatinados sentimientos, manejantes en aquellos tristes momentos, de las inhumanas leyes que regían los destinos de mi Patria, donde fueron a parar mis dineros, mis primeros dineros, ganados con más santidad y honradez, que pueda llevar dentro la propia Hostia Santa, que es tanto como decir, que sólo los mismos demonios faltos de toda conciencia y sin el más mínimo sentimiento de honestidad, podrían sin sentir asco de sus propias personas, apoderarse de los honrados y muy fatigosos trabajos, de una viuda de los roxus (izquierdistas, rojos, por el mismo estilo), y de un huérfano de los mismos. ¡¡Yo creo, que como aún no habían satisfecho sus ansias asesinas, con la muerte de mi padre y de tantos inocentes, precisaban en el momento que preciso les venía, afestinarse en postres con el esfuerzo y sufrimiento de sus deudos!! Durante algunos días viví yo jugueteando por la aldea, mi vida sin ninguna preocupación, muy contento porque iba vestido con aquel mono nuevo, más delgado que un papel de fumar, ya que se me había esgazáu (roto) por más de media docena de lugares, pero aún así, a mí me parecía que llevaba puesto, mejores galas que el mismo vencedor, que poco lucía sobre sus costillas, que se le pudiera denominar verdaderamente honrado. Mi madre mientras tanto, seguía incansablemente trabajando por las tierras de los vecinos, sin jamás cobrarles ni una peseta de sueldo, pues ella tan sólo quería, que al cambio de sus sudores le dieran una cestina de patatas, una fontadina de farina, ou de fabes lu mesmu foran prietes que blanques, d'arbeyinus ou d'oitra cebeira, dalgún terreñaín de lleiche, mazá, tarabazá, ‘n culiestrus ou cabantes de brañar. (Una fuente de harina, o de alubias de cualquier marca o color que fueran, de guisantes o de cualquier otro cereal que fuera, algún jarro de leche, desnatada, cuajada, o la que alumbran las vacas recién paridas, o de la que terminasen de ordeñar a una vaca de leche). Ella llegaba todos los atardeceres a nuestra casa, sudorosa y cansada, pero resplandeciente de alegría, porque en su mandil traía mi comida. Luego, después de que yo me hartaba, nos acostábamos los dos en aquel jergón de sacos, repleto de hojas de maíz y también de pulgas, y abrazada a mí, se quedaba muy pronto profundamente dormida. Yo que desde niño he dormido poco siempre, quizás para hacer bueno el dicho que de camino me invento, que considera al que poco duerme más infeliz, que quienes tienen la dicha de dormir prácticamente, dentro de estos mis desvelos, en la silenciosa tranquilidad de la noche de aquella amplia sala desmueblada, cuyas paredes y techo estaban del sarro que deja el humo, y plagadas de arroxetáus (enrubiecidos) goterones, que ponían al descubierto las primeras pinturas que habían tenido, fendíu (cortado) de continuo este silencio, por el risueño y sórdido murmullo que alumbraba el pequeño río que vertiginosamente se deslizaba a menos de diez metros de nuestra casa, y otras veces también era enruxeráu (alterado) aquel silencio, por los ladridos de los perros de la aldea, o por el cante siempre misterioso y apabullador que hacen las curuxas (buhos) en la noche, cuento yo en que estos desvelos, observaba el placenteroso dormir de mi madre, con su respirar acompasado, fuerte y sano, con todos sus acerosos músculos, con naturalidad relajados, talmente parecía mi madre del todo inofensiva, mas sin embargo, aquel perfecto y vigoroso cuerpo que acoplaba fuerzas en el descanso, de la misma natural manera que agigantadamente dormido descansaba, cuando despierto se hallaba, se transformaba en un invencible e incansable guerrero, condenada ya a luchar en l'engarradiétcha del trabayu (la pelea del trabajo), todos los momentos de su vida, por los mismos endemoniados vencedores, que primeramente le habían achuquináu ‘l sou home ya lus sous fíus. (Asesinado a su marido y a sus hijos). Y ahora que ya todo ha pasado, y lejos de olvidarlo se agiganta cada día más en mi mente, yo me pregunto, que si mi madre no hubiese sido así de luchadora, de brava, de valiente y honrada, qué seria de mí y de ella misma, acosados en todo momento por la ley insana del vencedor, y xunius (uncidos) también para siempre, en el desventuroso carro de la esclavitud bien vigilada, por el látigo y la pistola del triunfador.Primer Diccionario Enciclopédicu de la Llingua Asturiana > carraca
-
8 ci
I1. pron. pers. (ce) (anche enclitico)1) (compl. oggetto) нас; (compl. di termine) намse vuoi vederci, ci trovi qui fino alle sei — если ты захочешь нас увидеть, мы до шести часов здесь
2) (rifl.)2. pron. dimostr.в это, об (в) этом, на это (этом)II (ce) avv. (anche enclitico)1.1) (stato in luogo) здесь, тут; там; (moto a luogo) сюда; туда3) (pleonastico, + avere)2.•◆
ci sto! — я согласен!c'era una volta... — жил-был когда-то...
ci sei? — a) (sei pronto) ты готов?; b) (hai capito) ты понял? (gerg. ты усёк?)
non c'è male! — неплохо! (недурно!, недурственно!)
non c'entra affatto — это ни к селу, ни к городу
quanto ti ci vuole per arrivare alla stazione? — сколько тебе потребуется времени, чтобы доехать до вокзала?
ce l'abbiamo fatta! — готово! (получилось!, вышло! сумели!)
non rovinarmi gli sci, ci tengo molto — не сломай мои лыжи, я очень ими дорожу
c'è caso che venga — не исключается, что он придёт
è bella, non c'è che dire! — ничего не скажешь (слов нет): хороша!
-
9 неважно
1.male, maluccio, non molto bene2. предик.* * *1) нар. poco bene, non molto beneона себя нева́жно чувствует — lei non si sente bene
дела идут нева́жно — le cose non vanno molto bene
2) сказ. ( не имеет значения)это нева́жно — non importa, non ha importanza; non fa niente
* * *adv1) gener. monta poco, non molto bene, poco bene, e indifferente, fa lo stesso, mezzo e mezzo, non fa niente, poco monta2) colloq. maluccio -
10 sit
sitpresent participle - sitting; verb1) (to (cause to) rest on the buttocks; to (cause to) be seated: He likes sitting on the floor; They sat me in the chair and started asking questions.) sentar(se)2) (to lie or rest; to have a certain position: The parcel is sitting on the table.) estar, encontrarse3) ((with on) to be an official member of (a board, committee etc): He sat on several committees.) ser miembro (de), formar parte (de)4) ((of birds) to perch: An owl was sitting in the tree by the window.) posarse5) (to undergo (an examination).) presentarse (a)6) (to take up a position, or act as a model, in order to have one's picture painted or one's photograph taken: She is sitting for a portrait/photograph.) posar7) ((of a committee, parliament etc) to be in session: Parliament sits from now until Christmas.) reunirse•- sitter- sitting
- sit-in
- sitting-room
- sitting target
- sitting duck
- sit back
- sit down
- sit out
- sit tight
- sit up
sit vb1. sentarse2. estar sentadotr[sɪt]1 (child etc) sentar ( down, -)2 (room, hall, etc) tener cabida para; (table) ser para3 SMALLBRITISH ENGLISH/SMALL (exam) presentarse a■ sit down, please siéntense, por favor■ sit! ¡siéntate!2 (be seated) estar sentado,-a4 (person) quedarse■ don't just sit there! ¡no te quedes allí sentado!6 (bird) posarse (on, en); (hen on eggs) empollar (on, -)7 (be a member) ser miembro (on, de), formar parte (on, de)8 (parliament etc) reunirse (en sesión)■ the House sat until 2.00 am la Cámara estuvo reunida hasta las 2.00\SMALLIDIOMATIC EXPRESSION/SMALLto sit in judgement on enjuiciar ato sit on one's hands cruzarse de brazos, estar mano sobre manoto sit on somebody's tail pisarle los talones a alguiento sit on the fence ver los toros desde la barrera, nadar entre dos aguasto sit tight mantenerse en sus trece, quedarse en un sitioto sit up and take notice prestar atención1) : sentarse, estar sentadohe sat down: se sentó2) roost: posarse3) : sesionarthe legislature is sitting: la legislatura está en sesión4) pose: posar (para un retrato)5) lie, rest: estar (ubicado)the house sits on a hill: la casa está en una colinasit vtseat: sentar, colocarI sat him on the sofa: lo senté en el sofáexpr.• siéntate expr.v.(§ p.,p.p.: sat) = empollar v.• encobar v.• presentarse para un examen v.• sentar v.• sentarse v.sɪt
1.
1)a) ( sit down) sentarse*b) ( be seated) estar* sentadodon't just sit there: do something! — no te quedes ahí sentado: haz algo!
to be sitting pretty — (colloq) estar* bien situado or (fam) colocado
2)a) ( Art)to sit (FOR somebody/something) — \<\<for artist/photograph\>\> posar (para algn/algo)
b) (Adm, Govt)to sit in Congress — tener* un escaño en el Congreso, ser* diputado/senador; see also sit on 1)
c) ( be in session) \<\<committee/court\>\> reunirse* en sesión, sesionar (esp AmL)3) ( weigh)4) ( brood) \<\<hen/bird\>\> empollarsitting tenant — (BrE) inquilino, -na m,f ( a quien no se puede desalojar)
2.
sit vt1) ( cause to be seated) \<\<person\>\> sentar*; \<\<object\>\> poner*, colocar* ( en posición vertical)sit yourself beside me — siéntate a mi lado or junto a mí
2) (BrE Educ)to sit an exam — hacer* or dar* or (CS) rendir* or (Méx) tomar un examen, examinarse (Esp)
•Phrasal Verbs:- sit back- sit down- sit in- sit on- sit out- sit up[sɪt] (pt, pp sat)1. VIdon't just sit there, do something! — ¡no te quedes ahí sentado, haz algo!
are you sitting comfortably? — ¿estás cómodo (en la silla)?
they were sitting in a traffic jam for two hours — estuvieron dos horas metidos en un atasco sin moverse
to sit still/straight — estarse or (LAm) quedarse quieto/ponerse derecho (en la silla)
will you sit still! — ¡te quieres estar or quedar quieto (en la silla)!
- be sitting prettyto sit tight —
"sit tight, I'll be right back" — -no te muevas, ahora vuelvo
fence 1., 1)we'll just have to sit tight till we hear from him — tendremos que esperar sin hacer nada hasta recibir noticias suyas
2) (=sit down) sentarse; (=alight) [bird] posarsesit by me — siéntate a mi lado, siéntate conmigo
3) (Art, Phot) (=pose)to sit for a painter/a portrait — posar para un pintor/un retrato
4) (Educ)5) (Brit)(Pol)to sit for Bury — representar a Bury, ser diputado de or por Bury
sit onto sit in Parliament — ser diputado, ser miembro del Parlamento
6) (=be in session) [assembly] reunirse, celebrar sesiónjudgement7) (=be situated) [object] estar colocado; [building] estar situado8) (=weigh)it sat heavy on his conscience — le pesaba en la conciencia, le producía remordimientos de conciencia
9) (=be compatible)his authoritarian style did not sit well with their progressive educational policies — su estilo autoritario era poco compatible con la política educativa activa de ellos
10) (=to fit) [clothing] sentarto sit well/badly (on sb) — sentar bien/mal (a algn)
11) (=babysit) cuidar a los niños2. VT1) [+ person] sentar; [+ object] colocar2) (=have capacity for)the concert hall sits 2,000 (people) — el auditorio tiene cabida or capacidad para 2.000 personas
3) [+ exam, test] presentarse ato sit an examination in French — presentarse a un examen de francés, examinarse de francés
- sit back- sit down- sit in- sit on- sit out- sit up- sit upon* * *[sɪt]
1.
1)a) ( sit down) sentarse*b) ( be seated) estar* sentadodon't just sit there: do something! — no te quedes ahí sentado: haz algo!
to be sitting pretty — (colloq) estar* bien situado or (fam) colocado
2)a) ( Art)to sit (FOR somebody/something) — \<\<for artist/photograph\>\> posar (para algn/algo)
b) (Adm, Govt)to sit in Congress — tener* un escaño en el Congreso, ser* diputado/senador; see also sit on 1)
c) ( be in session) \<\<committee/court\>\> reunirse* en sesión, sesionar (esp AmL)3) ( weigh)4) ( brood) \<\<hen/bird\>\> empollarsitting tenant — (BrE) inquilino, -na m,f ( a quien no se puede desalojar)
2.
sit vt1) ( cause to be seated) \<\<person\>\> sentar*; \<\<object\>\> poner*, colocar* ( en posición vertical)sit yourself beside me — siéntate a mi lado or junto a mí
2) (BrE Educ)to sit an exam — hacer* or dar* or (CS) rendir* or (Méx) tomar un examen, examinarse (Esp)
•Phrasal Verbs:- sit back- sit down- sit in- sit on- sit out- sit up -
11 bene
1. adv wellbene! good!per bene properlystare bene di salute be welldi vestito suitben ti sta! serves you right!va bene! OK!andare bene a qualcuno di abito fit someonedi orario, appuntamento suit someonedi bene in meglio better and bettersentirsi bene feel well2. m goodfare bene alla salute be good for youper il tuo bene for your own goodvoler bene a qualcuno love someone( amare) love someonebeni pl assets, property sgbeni pl di consumo consumer goods* * *bene s.m.1 good: il bene e il male, good and evil; questo ti farà bene, this will do you good; augurare del bene a qlcu., to wish s.o. well; dire bene di qlcu., to speak well of s.o.; opere di bene, good works; fare del bene, to do good // a fin di bene, to a good purpose; lo ha fatto a fin di bene, he meant well // ogni ben di Dio, (fig.) all sorts of good things // per il tuo bene, ( per amor tuo) for your sake // Sommo Bene, ( Dio) Summum Bonum2 (affetto, amore) fondness, affection: voler bene a qlcu., to be fond of s.o.; volersi bene, to be fond of each other (o of one another); le vuole un bene dell'anima, he loves her with all his heart3 ( persona amata) beloved person, darling; (innamorato, innamorata) sweetheart: mio bene, (my) darling (o my sweetheart o my love)4 ( vantaggio) sake, good; ( benessere) welfare: per il bene del popolo, for the welfare of the people; per il tuo bene, for your own good5 ( dono) gift; blessing: la salute è il più grande dei beni, health is the greatest of blessings // ogni ben di Dio, all sorts of good things6 (spec. pl.) goods (pl.), property, possession: persero i loro beni durante la guerra, they lost all their possessions during the war; avere dei beni al sole, to be a man of property // (comm.): beni all'estero, property abroad; beni pubblici, collective (o public) goods; beni reali, ( non monetari) real assets; beni strumentali, auxiliary capital (o industrial goods); beni superflui, superfluities; beni superiori, superior goods; beni di prestigio, positional goods; beni di prima necessità, necessaries; beni utilitari, utility goods; beni di rifugio, shelter goods; beni e servizi diversi, sundry goods and services; beni alternativi, succedanei, rival commodities; beni bloccati ( per ordine del tribunale), frozen assets; beni capitali, di produzione, capital goods; soggetti all'imposta di registro, goods that are liable to stamp duty; beni commerciabili internazionalmente, tradeables; beni complementari, complementary goods (o complements); beni di consumo, consumer goods (o consumables); beni di consumo deperibili, soft (o perishable) goods (o perishables); beni di consumo durevoli, consumer durable goods, durable (o hard) goods; beni di consumo non durevoli, non durables (o non durable goods); beni di consumo semidurevoli, semi-durable goods; beni di investimento, investment goods; beni di lusso, voluttuari, luxury goods (o luxuries); beni economici, goods; beni finali, final goods; beni fungibili, fungible (o replaceable) goods; beni immateriali, intangibles (o intangible assets o non-material goods) // (dir.): beni dotali, dowry; beni ereditari, estate hereditaments; beni demaniali, public domain; beni pignorabili, seizable chattels (o goods); beni impignorabili, privileged from execution goods; beni mobili, personal property (o movables o goods and chattels); beni mobili facenti parte dell'abitazione, household; beni immobili, real estate (o immovables o real assets); beni immateriali, incorporeal property (o intangible assets); beni rubati, stolen property.bene avv.1 (in modo giusto, correttamente) well; properly: parla molto bene l'inglese, he speaks English very well; comportarsi bene, to behave well; trattare bene qlcu., to treat s.o. well; una persona bene educata, a well-mannered person; una cosa ben fatta, something well done; se ben ricordo, se ricordo bene, if I remember well // sa fare molto beneil suo lavoro, he's a good worker // non sta bene, it's not nice (o it isn't polite) // hai fatto bene, you did the right thing // sono persone per bene, they're respectable people // lo hanno sistemato per bene, (iron.) they made a fine mess of him2 ( completamente) properly; thoroughly: hai chiuso bene la porta?, have you closed the door properly?; non hai inserito bene la spina, you haven't plugged it in properly; ricordati di lavare bene l'insalata, remember to wash the lettuce thoroughly // mi hai sentito bene?, did you hear what I said?3 (in modo conveniente, piacevole): avete mangiato bene?, did you have a good meal?; guadagnare bene, to make a lot of money (o to earn good money); quella persona veste molto bene, that person dresses very well // stare bene ( di salute) to be well (o in good health); (di abito ecc.) to fit, to suit: ''Come stai?'' ''Abbastanza bene'', ''How are you?'' ''Quite well''; questa giacca non mi sta bene this jacket doesn't suit me // star bene a soldi, to be well off // ti sta bene (o ben ti sta), it serves you right // mi è andata bene, I made it // bene o male, somehow (or other) // di bene in meglio, better and better // né bene né male, so-so4 ( con valore rafforzativo): è ben difficile che arrivi in orario, he's very unlikely to be on time // saremo ben lieti se..., we'll be delighted if...; era ben lontano dal pensare che..., he was far from thinking that...; ''Pensi che accetterà?'' ''Lo spero bene'', ''Do you think he'll agree?'' ''I hope so''; vorrei ben vedere..., I'd like to see...; lo credo bene!, I should think so!; abbiamo ben cento pagine di storia da studiare, we've got a good hundred pages of history to study; ho pagato ben 4 milioni di spese condominali, I spent a good 4 million on condominium expenses; si tratta di ben altro, it's quite a different matter // ben bene, well, properly: copritelo ben bene, fa molto freddo, wrap him up well, it's bitterly cold; l'abbiamo sgridato ben bene, we gave him a good telling off5 ( in espressioni esclamative): bene, continua così!, good, keep it up!; ma bene, è questo il modo di comportarsi?, come along, that's no way to behave!6 ( con valore conclusivo): bene, ora possiamo incominciare, well then, now we can begin; bene, non parliamone più, well, let's say no more about it◆ agg. ( di alto livello sociale) upper-class: la società, la gente bene, upper-class society, the upper classes // frequenta i locali bene della città, he goes to all the best places in town.* * *['bɛne]1. avv1) (gen) well, (funzionare) properly, wellbene a studiare — you'd do well o you'd be well advised to studybene — he drives well, he's a good driverbene l'italiano — he speaks Italian well, he speaks good Italianbene di qn — to speak well of sbbene — I'm fineva
bene — all right, okay2)(con attenzione, completamente)
ascoltami bene — listen to me carefullybene — thoroughlyho legato il pacco ben bene — I've tied the parcel securely
bene la porta — close the door properlybene — thoroughlyho sistemato le cose per bene — I've sorted things out properly
3) (molto: + aggettivo) very, (+ comparativo, avverbio) (very) much4)(rafforzativo: appunto)
lo credo bene — I'm not surprisedte l'avevo ben detto io che... — I DID tell you that..., I certainly did tell you that...
bene che non dovresti uscire — you know perfectly well you shouldn't go outlo so ben io; lo so fin troppo bene — I know only too well
5) (addirittura, non meno di) at least6)ho finito — bene! — I've finished — good!bene, allora possiamo partire — right then, we can go
bene, puoi continuare da solo — all right, you can continue on your own
7)è bene quel che finisce bene — all's well that ends well2. agg inv3. sm1) gooddel bene — to do gooddel bene a qn — to do sb a good turnquella vacanza ti ha fatto bene — that holiday has done you good
a fin di bene — for a good reason
sul tavolo c'era ogni ben di Dio — there were all sorts of good things on the table
l'ho fatto per il suo bene — I did it for his own good
è stato un bene — it was a good thing
un bene dell'anima a qn — to love sb very muchmolto bene a suo padre — he loves his father very much, he's very fond of his father2)beni smpl (proprietà) (anche) Dir — possessions, property sg, Econ goods
* * *I 1. ['bɛne]1) (in modo giusto, corretto, soddisfacente) [trattare, comportarsi, esprimersi, ballare, scegliere] well; [ funzionare] properly; [compilare, interpretare] correctlyandare bene — [festa, operazione, affari] to go well
se ben ricordo — if I remember correctly o right
hai fatto bene a dirmelo — you did well o right to tell me
non sta bene fare — it's not done to do, it is bad form o manners to do
va tutto bene — that's all very well, that's all well and good
2) (completamente) [lavare, mescolare] thoroughly; [riempire, asciugare] completely; [leggere, ascoltare, guardare] carefully3) (piacevolmente, gradevolmente) [dormire, mangiare] well; [ vestire] well, smartly; [ vivere] comfortablyuna casa ben arredata — a well-decorated o well-appointed house
andare o stare bene insieme [colori, mobile] to go together, to be a good match; quel cappello ti sta bene you look good in that hat; stare bene con qcn. — to get along well o to be well in colloq. with sb
"come stai?"- "abbastanza bene" — "how are you?" - "pretty well"
ben 10.000 persone — as many as 10,000 people
lo credo bene! — I can well o quite believe it!
come ben sai... — as you know full well..., as you well know
7) di bene in meglio better and better2.aggettivo invariabile3.la gente bene — high society, the upper classes
interiezione good, finebene, bravo! — well done! excellent!
ma bene! — iron. ah, that's fine!
••II ['bɛne]tutto è bene quel che finisce bene — prov. all's well that ends well
sostantivo maschileil bene e il male — good and evil, right and wrong
non è bene fare — (cosa opportuna) it is not nice to do
2) (beneficio, vantaggio)3) (interesse, benessere, felicità)il bene comune, pubblico — the common good
fare del bene a qcn. — to do sb. good
fare bene a — to be good for [persona, salute, pelle]
4) gener. pl.-i — (proprietà) possessions, belongings, property, goods; (patrimonio) assets
5) (sentimento)voler bene a qcn. — to love sb
•- i di consumo — consumer o expendable goods
- i durevoli — durables
- i mobili — content, movables
- i di prima necessità — essential goods, necessaries
••* * *bene1/'bεne/I avverbio1 (in modo giusto, corretto, soddisfacente) [trattare, comportarsi, esprimersi, ballare, scegliere] well; [ funzionare] properly; [compilare, interpretare] correctly; andare bene [festa, operazione, affari] to go well; la macchina non va bene the machine is not functioning properly; un lavoro ben pagato a well-paid job; bene o male somehow; parla bene spagnolo he speaks good Spanish; non parlava molto bene l'inglese she didn't speak much English; non ci sente bene he doesn't hear well; se ben ricordo if I remember correctly o right; andare bene a scuola to do well at school; andare bene in matematica to be good at maths; faremmo bene ad andare we'd better be going; hai fatto bene a dirmelo you did well o right to tell me; non sta bene fare it's not done to do, it is bad form o manners to do; va tutto bene that's all very well, that's all well and good; va tutto bene? is everything all right? are you OK? gli è andata bene che it was just as well for him that; domenica (ti) va bene? does Sunday suit you? is Sunday OK?2 (completamente) [lavare, mescolare] thoroughly; [riempire, asciugare] completely; [leggere, ascoltare, guardare] carefully3 (piacevolmente, gradevolmente) [ dormire, mangiare] well; [ vestire] well, smartly; [ vivere] comfortably; una casa ben arredata a well-decorated o well-appointed house; andare o stare bene insieme [ colori, mobile] to go together, to be a good match; quel cappello ti sta bene you look good in that hat; stare bene con qcn. to get along well o to be well in colloq. with sb.4 (in buona salute) star bene [ persona] to feel all right; "come stai?"- "abbastanza bene" "how are you?" - "pretty well"5 (con valore rafforzativo) si tratta di ben altro that's quite another matter; ben più di 200 well over 200; ben 10.000 persone as many as 10,000 people; ben volentieri with great pleasure; ben sveglio wide awake6 (con uso pleonastico) lo credo bene! I can well o quite believe it! come ben sai... as you know full well..., as you well know...7 di bene in meglio better and betterla gente bene high society, the upper classes; i quartieri bene the posh neighbourhoodsIII interiezionegood, fine; bene! Vediamo il resto good! Let's see the rest; bene, bravo! well done! excellent! ma bene! iron. ah, that's fine! va bene! OK! fair enough!ben detto! neatly put! well said! ti sta bene! ben ti sta! it serves you right! non mi sta bene I don't agree; tutto è bene quel che finisce bene prov. all's well that ends well.————————bene2/'bεne/sostantivo m.1 (ciò che è buono) il bene e il male good and evil, right and wrong; opere di bene charitable acts; non è bene fare (cosa opportuna) it is not nice to do2 (beneficio, vantaggio) è un bene che tu sia venuto it's a good thing you came3 (interesse, benessere, felicità) il bene comune, pubblico the common good; per il bene di for the good of; fare del bene a qcn. to do sb. good; fare bene a to be good for [persona, salute, pelle]4 gener. pl. -i (proprietà) possessions, belongings, property, goods; (patrimonio) assets; comunione dei -i community of goodsavere ogni ben di Dio to live like fighting cocks\- i di consumo consumer o expendable goods; - i durevoli durables; - i immobili real estate; - i di lusso luxury goods; - i mobili content, movables; - i personali personal property; - i di prima necessità essential goods, necessaries. -
12 buono
"good;Gut;bom"* * *1. adj good( valido) good, validmomento, occasione rightalla buona informal, casualbuona fortuna good lucka buon mercato cheapdi buon'ora earlydi buon grado willinglyavere buon naso have a good sense of smellbuono a nulla good-for-nothing2. m goodfinance bond( tagliando) coupon, voucherbuono del tesoro Treasury bondbuono pasto o mensa luncheon voucherbuono regalo gift voucherbuono sconto money-off coupon* * *buono1 agg.1 ( chi ha, rivela bontà d'animo) good; ( bonario, gentile) good, kind: è un uomo molto buono, he's a very good man; essere d'animo buono, to be kind-hearted (o good-hearted); è sempre stato buono con me, he has always been kind to me; gli disse una parola buona, he said a kind word to him; mi accolse con buone parole, he greeted me with sympathetic words; una persona di buon cuore, a good-hearted person; buoni pensieri, kind thoughts; buoni sentimenti, good sentiments // troppo buono! too kind! // buono come il pane, as good as gold2 ( onesto, rispettabile) good, honest, virtuous, upright: un buon cittadino, an honest citizen; di buona famiglia, of good family (o with a good background) // buona società, high society3 ( calmo, tranquillo) good; ( di tempo) fine, good: sono stati buoni i bambini?, have the children been good (o have the children behaved)?; sii buono!, be a good boy!; il tempo è sempre stato buono, the weather has always been fine (o good); presto arriverà la buona stagione, summer will soon be here4 ( pregevole, di qualità) good; fine; first-rate (attr.): è un tessuto di buona qualità, it's good quality material; ha fatto un buon lavoro, he made a good (o fine) job of it; un prodotto di buona marca, a quality brand product; è un buon vino ma ce ne sono di migliori, it's a good wine but there are better; è un buon Sironi, it's a fine Sironi; in quell'albergo il vitto è molto buono, the food is very good (o excellent) in that hotel // l'abito, il vestito buono, one's best suit // il salotto buono, the best living room5 ( gradevole, piacevole) good; nice; lovely: che buon profumo hanno questi fiori!, what a nice (o lovely) scent these flowers have!; è stata una buona giornata, it's been a good day; dopo un buon pasto ci si sente meglio, after a good meal you feel better; come è buona questa torta, questa minestra!, this cake, this soup is really delicious (o lovely)6 ( abile, capace) good, fine: un buon meccanico, medico, a good mechanic, doctor; è sempre stata una buona madre, she's always been a good mother // non sei buono a nulla, you're no good at anything // non è buono di fare niente, (region.) he can't do anything; non sono buono di dirgli di no, (region.) I just can't say no7 ( efficace, efficiente) good, effective; ( adatto) right, proper; fit: è un buon rimedio per la tosse, it's a good (o effective) remedy for a cough; per la sua età ha ancora la vista buona, considering his age his sight is still good; per tagliarlo mi ci vuole un buon coltello, I need a sharp knife to cut it with; è stata una buona idea, it was a good idea; buono da mangiare, fit to eat; è proprio la vettura buona per andare nel deserto, (fam.) it's the right (o proper) car to use in a desert // buono da buttar via, (fam.) ready to throw out8 ( abbondante) abundant; ( grande) large; ( lungo) long: una buona dose, a good strong dose; un buon pezzo di pane, a big piece of bread; ci vorrà un'ora buona, it will take a full hour; lo aspettai un'ora buona, I waited for him more than an hour; dobbiamo ancora percorrere un tre chilometri buoni, we've still got a good three kilometres to go9 ( propizio, vantaggioso) good, profitable, advantageous: un buon investimento, a good (o advantageous) investment; una buona occasione, a favourable opportunity; una buona stella, a lucky star // buono affare, snip (o bargain) // a buon prezzo, cheaply (avv.); cheap, inexpensive (agg.)10 ( in formule di cortesia) good, happy; nice: buona fortuna!, good luck!; buona notte!, good night!; buon viaggio!, have a pleasant journey!; buona giornata!, have a nice day!◆ FRASEOLOGIA: buon pro vi faccia!, much good may it do you! // alla buona, informal: una persona alla buona, an easy-going person; una riunione alla buona, a get-together; era vestito molto alla buona, he was dressed very plainly; fare alla buona, to do things simply // a buon diritto, rightly // con le buone, with kindness; con le buone ( si ottiene tutto)!; with a gentle touch (you get everything) // di buon grado, with pleasure // di buon'ora, early (in the morning) // di buon passo, briskly // di buona voglia, willingly // Dio ce la mandi buona!, God help us! // darsi al buon tempo, to have a good time // essere di buona bocca, to eat everything and anything; (fig.) to be easily pleased // essere in buona, to be in a good mood; (essere in buoni rapporti con qlcu.) to be on good terms (with s.o.) // essere, parlare in buona fede, to be, to speak in good faith // far buon viso a cattivo gioco, to put a good face on it // guardare qlcu. di buon occhio, to look kindly on s.o. // menar buono, to bring good luck // tornare in buona con qlcu., to make it up with s.o. // prendere per buona una scusa, to accept an excuse //lascialo in pace una buona volta!, leave him alone for once! // un uomo tre volte buono, a simpleton ∙ Dato il molteplice numero di espressioni fraseologiche in cui l'agg. 'buono' compare con diverse sfumature di significato, si consiglia di consultare i rispettivi sostantivi cui questo agg. si accompagna: p.e. meritare una buona lezione → lezione; un uomo di buoni principi → principio.buono1 s.m.1 (fil.) (the) Good; ( cosa buona) good thing: nel suo saggio si indaga sul vero, il bello e il buono, in his essay he investigates Truth, Beauty and Good; c'è del buono nella sua poesia, there is something in his poetry (o his poetry has got something); ha di buono che non perde mai la pazienza, one good thing about him is that he never loses his patience // buon per te!, luckily for you! // portare buono, to bring good luck (o fortune) // ci volle del bello e del buono per convincerlo!, it took a lot to convince him! (o he took a lot of convincing) // è un poco di buono, he is a nasty customer (o a nasty piece of work) // un buono a nulla, a good-for-nothing // il tempo si mette albuono, the weather is clearing up saper di buono, to smell fine (o to have a nice smell)2 ( persona) good person: i buoni, good people; i buoni e i cattivi, the good and the wicked; mio padre alza la voce, ma in fondo è un buono, my father does tend to shout but really he's a good-hearted (o good-natured) person // fare il buono, to be good (o to behave oneself): fa il buono!, keep quiet (o behave yourself)!buono2 s.m.1 ( tagliando) coupon, voucher, token: buono acquisto, regalo, ( pubblicitario) token; un buono per l'acquisto di libri, a book token; buono d'acquisto, ( dato come regalo) gift token (o gift voucher); buono premio, free-gift coupon; buono benzina, petrol coupon; buono sconto, discount voucher; buono mensa, luncheon voucher; buono pasto, luncheon voucher, meal ticket; buono viveri governativo, food stamp // (comm.): buono di cassa, cash voucher; buono frazionario, script; buono di consegna, delivery order; buono di carico ( di magazzino), warehouse bond; buono d'imbarco, shipping order; buono di pagamento, voucher; buono di prelievo per l'esportazione, customs warrant; buono di opzione, subscription warrant2 ( titolo di credito) bill; bond: buono ( ordinario) del Tesoro, Treasury bill (o bond), T bill, (antiq.) Exchequer bill (o bill of Exchequer); buono del tesoro di nuova emissione, hot Treasury bill; buono del tesoro poliennale, long-term Treasury bond, (amer.) long-term Treasury note.* * *['bwɔno] I buono (-a)1. agg, migliore comp ottimo superl davanti sm: buon + consonante, vocale, buono + s impura, gn, pn, ps, x, z; davanti sf: buona + consonante, buon' + vocale1) (gen) good, (prodotto) good (quality), (odore, ambiente, atmosfera) good, nice, pleasant, (posizione, ditta, impresa) soundavere un buon odore — to smell good o nice
buono — betteravere un buon sapore — to taste good o nice
buono! — behave!2) (generoso: persona, azione) good, kind, kindly3)(abile, idoneo)
essere buono a nulla — to be no good o use at anything $, sm/fquest'acqua non è buona da bersi — this water isn't safe to drink
buono da buttar via — fit for the dustbin
mi sembra buono per questo lavoro — he seems suitable for the job
4)5) (giusto, valido) correct, right, (motivo) valid6) (utilizzabile) usable, (biglietto, passaporto) validnon è più buono — (latte) it's off, (pane) it's stale
7) (con valore intensivo) goodpeserà dieci chili buoni — it must weigh a good ten kilos
ci vuole un mesetto buono — it takes a good month o a month at least
deciditi una buona volta! — make up your mind once and for all!
8)buon compleanno! — happy birthday!
tante buone cose! — all the best!
buon divertimento! — have a nice time!
buon giorno! — (in mattinata) good morning!, (di pomeriggio) good afternoon!
buona permanenza! — enjoy your stay!
9)fare qc alla buona — to do sth simply o in a simple waystasera mi vesto alla buona — I'm not getting dressed up this evening
che Dio ce la mandi buona! — here's hoping!
con le buone maniere — in a kind o friendly way
mettere una buona parola per qn — to put in a good word for sb
siamo a buon punto con il pranzo — dinner's nearly ready
sì che è buona! — that's a good one!mi dica, buon uomo — tell me, my good man
2. sm/f(persona) good o upright personi buoni e i cattivi — (in film) the goodies and the baddies
3. sm solo sg(bontà) goodness, goodII ['bwɔno] smdi
buono c'è che... — the good thing about it is that...1) Comm coupon, voucher2) Fin bill, bond* * *I 1. ['bwɔno]aggettivo ( buon, buona, buon'; buono becomes buon before a vowel or a consonant followed by a vowel, l or r; compar. più buono, migliore, superl. buonissimo, ottimo)1) (gradevole) [ pasto] good, niceavere un buon sapore, odore — to taste, smell good
2) (gentile) [persona, azione, parola] good, kindopere -e — good works o deeds
3) (caro)4) (di buona qualità) [consiglio, lavoro, salute] good; [hotel, merce, tempo] good, finein buono stato — [casa, auto] in good condition o state; [ edificio] in safe condition, in good order
il vestito buono — (elegante) Sunday's dress
6) colloq. (commestibile, bevibile) [ cibo] goodbuono da bere — fit to drink, drinkable
buono da mangiare — fit to eat, eatable
7) (bravo) [medico, padre, allievo, marito] good8) (valido) [rimedio, metodo, esempio, motivo] goodbuono per o contro la tosse good for coughs; -a idea! good thinking o idea! fare un buon uso di qcs. to put sth. to good use; ogni scusa è -a per lui any excuse is good for him; la palla è, non è -a the ball is in, out of play; l'abbonamento è buono per altri due mesi — the season ticket is good for two more months
9) (vantaggioso) [prezzo, affare] goodbuono a sapersi — that's handy to know o worth remembering
10) (favorevole) [segno, impressione, opportunità] goodavere una -a opinione di — to think kindly o much of, to have a high opinion of
11) (rispettabile) [famiglia, matrimonio] good, decent; [ reputazione] good12) (tranquillo) [bambino, animale] good, quietbuono! buono! — (per calmare un bambino) there there!
buono! — (a un animale) easy!
13) (abbondante) goodun buon numero di... — a fair number of, quite a few...
un'ora -a — a full hour, at least an hour
14) (in frasi di augurio) [fortuna, notte, sera] good; [compleanno, Pasqua] happy; [ Natale] merry15) una buona volta once and for all16) alla buona [ persona] informal, simple; [pasto, hotel] homely2.vestirsi alla -a — to dress down o casually
sostantivo maschile (f. -a)1) (persona buona) good personi -i e i cattivi — the good and the bad; (nei film) the good guys and the villains
2) (cosa buona, lato buono)non ne uscirà niente di buono — no good can o will come of it
non promette nulla di buono — it looks bad, it doesn't look good
•buono a nulla — good-for-nothing, fit for nothing
- a stella — lucky star
••prendere qcn. con le -e — to deal gently with sb.
con le -e o con le cattive — by hook or by crook, by fair means or foul
tenersi buono qcn. — to keep sb. sweet, to sweeten sb. up, to sweeten up sb.
II ['bwɔno]buon per lui — good for him, that's all very well for him
sostantivo maschile1) comm. token, voucher, coupon2) econ. bond•buono omaggio — gift token o voucher
buono sconto — discount voucher o coupon
buono del Tesoro — Treasury bill o bond
* * *buono1/'bwɔno/( buon, buona, buon'; buono becomes buon before a vowel or a consonant followed by a vowel, l or r; compar. più buono, migliore, superl. buonissimo, ottimo)3 (caro) un suo buon amico a good friend of his4 (di buona qualità) [consiglio, lavoro, salute] good; [hotel, merce, tempo] good, fine; in buono stato [casa, auto] in good condition o state; [ edificio] in safe condition, in good order; il vestito buono (elegante) Sunday's dress6 colloq. (commestibile, bevibile) [ cibo] good; il latte non è più buono the milk has gone off; buono da bere fit to drink, drinkable; buono da mangiare fit to eat, eatable7 (bravo) [medico, padre, allievo, marito] good8 (valido) [rimedio, metodo, esempio, motivo] good; buono per o contro la tosse good for coughs; -a idea! good thinking o idea! fare un buon uso di qcs. to put sth. to good use; ogni scusa è -a per lui any excuse is good for him; la palla è, non è -a the ball is in, out of play; l'abbonamento è buono per altri due mesi the season ticket is good for two more months9 (vantaggioso) [prezzo, affare] good; sarebbe una -a cosa it would be a good thing; buono a sapersi that's handy to know o worth remembering10 (favorevole) [segno, impressione, opportunità] good; avere una -a opinione di to think kindly o much of, to have a high opinion of11 (rispettabile) [famiglia, matrimonio] good, decent; [ reputazione] good; di -a famiglia well-bred12 (tranquillo) [bambino, animale] good, quiet; stai buono (be) quiet; buono! buono! (per calmare un bambino) there there! buono! (a un animale) easy!13 (abbondante) good; un buon numero di... a fair number of, quite a few...; ci ho messo due ore -e it took me a good two hours; un'ora -a a full hour, at least an hour; - a parte del loro lavoro much of their work14 (in frasi di augurio) [fortuna, notte, sera] good; [compleanno, Pasqua] happy; [ Natale] merry; -a serata! have a nice evening! -a permanenza! enjoy your stay! buon appetito! enjoy your meal! buon divertimento! have fun! enjoy yourself! buon viaggio! (have a) safe journey!15 una buona volta once and for all; posso parlare anch'io una -a volta? can I speak for a change?16 alla buona [ persona] informal, simple; [pasto, hotel] homely; vestirsi alla -a to dress down o casually(f. -a)1 (persona buona) good person; i -i e i cattivi the good and the bad; (nei film) the good guys and the villains2 (cosa buona, lato buono) c'è del buono in questo articolo there's some good stuff in this article; non ne uscirà niente di buono no good can o will come of it; non promette nulla di buono it looks bad, it doesn't look good; cucinare qualcosa di buono to cook something good; ha di buono che the good thing about it isprendere qcn. con le -e to deal gently with sb.; con le -e o con le cattive by hook or by crook, by fair means or foul; tenersi buono qcn. to keep sb. sweet, to sweeten sb. up, to sweeten up sb.; che Dio ce la mandi -a! may God help us! buon per lui good for him, that's all very well for him; questa è (proprio) -a! that's a (very) good one!\buon selvaggio noble savage; buono a nulla good-for-nothing, fit for nothing; - a stella lucky star; - a volontà goodwill.————————buono2/'bwɔno/sostantivo m.1 comm. token, voucher, coupon2 econ. bondbuono (di) benzina petrol coupon; buono di cassa cash voucher; buono omaggio gift token o voucher; buono pasto meal ticket; buono sconto discount voucher o coupon; buono del Tesoro Treasury bill o bond. -
13 meglio
1. adv bettermeglio!, tanto meglio! so much the better!, good!alla meglio to the best of one's abilitydi bene in meglio better and better2. adj bettersuperlativo best3. m bestfare del proprio meglio do one's best4. f avere la meglio su get the better of* * *meglio avv.compar.1 (in modo migliore) better: riflettici meglio, think it over a bit more; da qui si vede meglio il lago, you can see the lake better from here; cercherò di far meglio la prossima volta, I'll try to do better next time; dovresti scrivere un po' meglio, you should write a bit better; parla meglio l'inglese del francese, he speaks English better than French; mio fratello sa sciare molto meglio di me, my brother can ski much better than I can; oggi mi sento meglio di ieri, today I feel better than I did yesterday; la festa è riuscita meglio del previsto, the party was better than I'd expected; lo so meglio di te, I know better than you do; nessuno avrebbe potuto farlo meglio, nobody could have done it better; in seguito le cose andarono meglio, things got better later on; ''Come va?'' ''Un po' meglio'', ''How are you?'' ''A bit better''; non potrebbe andar meglio (di così), it couldn't be better // star meglio, (essere in migliori condizioni) to be (o to feel) better; (essere più adatto) to suit better; to look better: il malato sta meglio oggi, the patient is (o feels) better today; si stava meglio prima, we were better off before; questo quadro sta meglio in salotto, this picture looks better in the living-room; il rosso sta meglio a te che a me, red suits you better than me // di bene in meglio, better and better: gli affari andavano di bene in meglio, business got better and better // cambiare in meglio, to change for the better // o meglio, meglio ancora, or rather (o better still): dovresti telefonargli, o meglio, andare di persona, you should phone him, or better still go yourself // per meglio dire, to be more exact (o or rather): non ha potuto o, per meglio dire, non ha voluto venire, he couldn't, or rather, wouldn't come2 (ant.) (piuttosto) rather: meglio varrebbe far finta di nulla, it would be better to ignore it◆ avv.superl.rel. best; (tra due) better: gli alunni meglio preparati, the best students; la meglio riuscita delle due foto, the better of the two photos; chiedete a loro che sono i meglio informati, ask them, as they're the best informed; ho fatto meglio che ho potuto, I did the best I could // il meglio possibile, as well as one can (o the best one can): loro hanno cercato di agire (il) meglio possibile, they tried to do the best they could.meglio agg.compar.invar.1 (migliore) better: il film era meglio di quanto pensassi, the film was better than I expected; la seconda versione mi sembra meglio della prima, I think the second version is better than the first // qualcosa di meglio, something better; niente di meglio, nothing better; non c'è (niente) di meglio che..., there's nothing better than...; in mancanza di meglio, for want of something better; non chiedo di meglio, I couldn't ask for anything better // Usato anche come pron.: sarà anche un bravo pianista, ma ne ho sentiti di (o dei) meglio, he may be a good pianist, but I've heard better2 (preferibile) better: è meglio andare, we'd better go; credetti meglio non intervenire nella discussione, I thought it better not to intervene in the discussion; sarà meglio che gli telefoni subito, you'd better phone him at once // (è) meglio non parlarne!, (you'd) better not mention it! // tanto meglio!, meglio così!, so much the better; tanto meglio per lui!, so much the better for him! // sarebbe meglio che andassi, faresti meglio ad andare, you'd better go // meglio tardi che mai, better late than never // meglio un uovo oggi che una gallina domani, (prov.) a bird in the hand is worth two in the bush◆ agg.superl.rel. the best: ciò che potete fare di meglio è aspettare, the best thing you can do is to wait (o you'd do best to wait); è quanto di meglio si possa trovare sul mercato, it's the best you can find on the market; fa' come credi (sia) meglio, do as you think best // è la meglio squadra del momento, (fam.) it's the top team at the moment◆ s.f.invar.: avere la meglio, to have (o to get) the better of it: ha avuto la meglio sui suoi avversari, he got the better of his opponents // alla meglio, alla bell'e meglio, as well as possible (o as best one can o somehow or other): si tira avanti alla meglio, we're managing somehow // è un lavoro fatto alla bell'e meglio, it's a makeshift job (o a rough-and-ready job)◆ s.m. (la cosa migliore) the best (thing); (la parte migliore) the best part: pensai che il meglio fosse restare, I thought it best to stay; era il meglio che tu potessi fare per lui, it was the best you could do for him; si è preso il meglio, he took the best for himself; ti sei perso il meglio della serata, you missed the best of the evening; il meglio della produzione, the best part (o the top) of the production // nel meglio del sonno, (fam.) in one's deepest sleep // per il meglio, (all) for the best: tutto andò per il meglio, it was all for the best; agire per il meglio, to act for the best; sperare per il meglio, to hope for the best // fare del proprio meglio, to do one's best // al meglio, (nelle migliori condizioni) at one's best: il giocatore non era al meglio della forma, the player wasn't at his best // si sono battuti al meglio delle loro possibilità, they fought their hardest // ( Borsa): vendere al meglio, to sell at best; ordine al meglio, market order.* * *['mɛʎʎo] comp, superl di bene1. avv1) betterè cambiato in meglio — he has changed for the better, he has improved
2) (con senso superlativo) best3)andare di bene in meglio; andare sempre meglio — to get better and better
2. agg inv1) betterè meglio che tu te ne vada — you'd better leave, it would be better for you to go
è meglio non raccontargli niente — it would be better not to tell him anything o if you didn't tell him anything
2)3. smal meglio delle proprie possibilità — as best one can, to the best of one's ability
4. sf* * *['mɛʎʎo] 1.aggettivo invariabile (comparativo) (migliore) better (di than)non hai (niente) di meglio da fare? — iron. haven't you got anything better to do?
2.non c'è niente di meglio che... — there's nothing better than
sostantivo maschile invariabile (la cosa, parte migliore) best3.1) (comparativo) betterprima è, meglio è — the sooner, the better
un po', molto meglio — a little, a lot better
di bene in meglio, sempre meglio — better and better
andare meglio — [ paziente] to be doing better
per meglio dire — to be more exact o precise
telefonagli, o meglio vacci di persona — phone him, or better still go there yourself
••fare qcs. alla bell'e meglio — to do sth. in a botched way
avere la meglio su — to get the better of [ avversario]
* * *meglio/'mελλo/(comparativo) (migliore) better (di than); è meglio giocare che guardare playing is better than watching; farebbe meglio a venire he'd better come; sarebbe meglio andare it would be better to go; qualcosa di meglio something better; c'è di meglio it's nothing special; non troverai di meglio it's the best you'll get; non chiedo di meglio che restare qui I'm perfectly happy staying here; non hai (niente) di meglio da fare? iron. haven't you got anything better to do? non c'è niente di meglio che... there's nothing better than...II m.inv.(la cosa, parte migliore) best; il meglio che ci sia the best there is; è il meglio che ho it's the best I've got; fare del proprio meglio to do one's best; va tutto per il meglio everything's fine; dare il meglio di sé to be at one's bestIII avverbio1 (comparativo) better; funzionava meglio prima it worked better before; essere meglio che niente to be better than nothing; prima è, meglio è the sooner, the better; così va meglio! that's better! chi meglio di lui potrebbe fare la parte? who better to play the part? parlare l'inglese meglio dello spagnolo to speak English better than Spanish; un po', molto meglio a little, a lot better; la materia in cui riesco meglio è storia I'm best at history; ancora meglio even better; di bene in meglio, sempre meglio better and better; tanto meglio! all the better! so much the better! tanto meglio per lui! much the better for him! andare meglio [ paziente] to be doing better; si sente un po' meglio? is he feeling any better? sempre meglio che camminare it beats walking; per meglio dire to be more exact o precise; telefonagli, o meglio vacci di persona phone him, or better still go there yourself2 (superlativo) la persona meglio vestita the best dressed person; è qui che si mangia meglio this is the best place to eat; comportarsi al meglio to be on one's best behaviourfare qcs. alla bell'e meglio to do sth. in a botched way; avere la meglio su to get the better of [ avversario]. -
14 unwell
[ʌn'wel]aggettivo indisposto, che non sta bene* * *(not in good health: He felt unwell this morning.) indisposto* * *unwell /ʌnˈwɛl/a. pred.(form.) indisposto; ammalato: I'm unwell today, oggi sono indisposto (o sto poco bene).* * *[ʌn'wel]aggettivo indisposto, che non sta bene -
15 не
I [ne] particella negat. ( precede le prep. ed è seguita dal gen. con i verbi transitivi)1.1) non"Да он властей не признаёт!" (А. Грибоедов) — "Ma è un sovversivo!" (A. Griboedov)
не + inf. — ( impossibilità di un'azione):
"Мне допеть не успеть" (В. Высоцкий) — "Non farò in tempo a finire il mio canto" (V. Vysockij)
не... а... — non...ma...
он не ленивый, а больной — non è pigro, è malato
он едет не в Москву, а в Петербург — non va a Mosca, va a Pietroburgo
никак не + verbo — non riuscire a
совсем (вовсе, отнюдь) не — affatto
2) (incertezza, negazione imperfetta):"На нём надет сюртук не сюртук, пальто не пальто, фрак не фрак, а что-то среднее" (М. Салтыков-Щедрин) — "Aveva addosso qualcosa tra una finanziera, un cappotto e un frac" (M. Saltykov-Ščedrin)
не + очень (вполне, слишком) — non tanto (non troppo)
4) ( nelle frasi esclamative con что, кто, как ecc. è rafforz.):5) ( nelle proposizioni interrogative con la particella "ли" esprime (a) supposizione; (b) ( proposta garbata):6)не без — ( affermazione parziale):
7)чуть (едва, едва ли) не — (possibilità, eventualità):
"Онегин сохнет - и едва ль уж не чахоткою страдает" (А. Пушкин) — "Onegin deperisce, e rischia di ammalarsi di tisi" (A. Puškin)
8) ( fa parte delle prep. composte):её муж не то врач, не то инженер — suo marito pare che sia medico o ingegnere
он не то, что пьян, а навеселе — non è che sia ubriaco, è solo un po' brillo
он не то что не любит читать, а ленится — non è che non gli piaccia leggere, è semplicemente pigro
она не то чтобы красавица, а симпатичная — non è bellissima, ma è simpatica
он не то, чтобы не любит детей, а не занимается ими — non è che non voglia bene ai suoi figli, ma non se ne occupa
это не кто иной, как наш премьер-министр! — è il nostro primo ministro in persona
это не что иное, как враньё — è una menzogna bell'e buona
он не только переводчик, но и прекрасный преподаватель — non solo è un traduttore, ma è anche un bravo insegnante
он не только переводит, но и преподаёт — non solo traduce, insegna anche
он не столько критик, сколько литературовед — non è tanto un critico letterario, quanto uno storico della letteratura
он не настолько знает русский язык, чтобы преподавать его — non sa il russo tanto da insegnarlo
он, хотя не имеет слуха, однако любит петь — benché non abbia orecchio, ama cantare
2.◆это тебе не... — altro che
II [ne] particella ( sempre accentata + prep.):не в + acc. —
"И не с кем говорить и не с кем танцевать" (А. Грибоедов) — "Non c'è nessuno con cui parlare né ballare" (A. Griboedov)
-
16 TIRARE
v- T652 —- T653 —- T654 —- T655 —tirare l'acqua al mulino di...
— см. -A184— см. -A294— см. - C2281— см. -A401— см. -A402— см. - M1762— см. -A575— см. -A815— см. -A988— см. -A1014— см. -A1358tirare avanti la baracca (или la barca, la casa, la famiglia)
— см. -A1353— см. - C1029— см. - M1042— см. - B134— см. - B176— см. - B376— см. - C2599— см. - B1484— см. - C137— см. - C139— см. - C140tirare le calze (или le calzette, il calzino)
— см. - C223— см. - C340— см. - C363— см. - C393— см. - C579— см. - C652— см. - C642— см. - C1038— см. - C1039— см. - C1186— см. - C1320— см. - C1412— см. - S270— см. - C1933— см. - C2054— см. - C2078tirare il collo a una bottiglia
— см. - C2128— см. - C2131— см. - C2123— см. - C2153— см. - C2263— см. - C2451— см. - C2666— см. - C2677tirare la croce addosso a... (или contro.., dietro...)
— см. - C3085tirare una (или la) croce a.TIRARE (или sopra.., su.TIRARE)
— см. - C3091— см. - C3172— см. - D4— см. - D10— см. - D200— см. - D227tirare diciotto (con tre dadi)
— см. - D382— см. - D565— см. - F90— см. - C1809— см. - F593— см. - F576— см. - F663— см. - F738— см. - F800— см. - F825 b)— см. - F929— см. - F1009— см. - F1259— см. - F1404— см. - F1473— см. - F1573— см. - C1103— см. - G183— см. - G945— см. - U81— см. - G63— см. - G134— см. - G709— см. - G710— см. - B591tirare giù un bicchiere di vino
— см. - B715— см. - G711— см. - B1395— см. - C340— см. - D660a— см. - D829— см. - G711— см. - R288tirare giù tutti i santi del calendario (или del cielo, del paradiso)
— см. - S217— см. - G863— см. - G891— см. - I213— см. - I214— см. - I223— см. - I297tirare innanzi la baracca (или la barca, la casa, la famiglia)
— см. -A1353— см. - C2565tirare innanzi per lo stralcio
— см. - I298tirare a ire con...
— см. - I401— см. - L13— см. - L50— см. - L52— см. - L699— см. - L830— см. - L954— см. - L947— см. - L1022— см. - S638— см. - M362— см. - M958— см. - M1072— см. - S639— см. - M1610— см. - N54— см. - N235— см. - N454— см. - N597— см. - O585— см. - O586— см. - O587— см. - P157tirare a qd le parole di bocca
— см. - P510a— см. - P709— см. - P1847— см. - P1917— см. - P2014— см. - P2290— см. - B1100— см. - C2153— см. - P2409— см. - Q79— см. - R218— см. - S256— см. - S270— см. - S394— см. - S1116— см. - S1131— см. - S1190— см. - S1232— см. - S1574— см. - S1948— см. - S1999— см. - S2000— см. -A195tirare su qd a briciole di pane
— см. - B1209— см. - C224— см. - M397— см. - N299— см. - R30— см. - T465— см. - T837— см. - C2666tirare a tutti i bacherozz(ol)i
— см. - B35— см. - C1104— см. - F583— см. - U67— см. - V195— см. - V541— см. - V764capire che vento tira (или da che parte, tira 11 vento)
— см. - V254— см. - C218— см. - F89farsi tirare per il ferrai(u)olo
— см. - F421— см. - M1063— см. - P868— см. - C2634- T656 —— см. - T352- T660 —— см. -A1030— см. - V244— regolarsi secondo il vento che tira
— см. - V275— см. -A69l'acqua corre, e il sangue tira
— см. -A208l'arco tira molto [poco]
— см. -A1000l'asino, quand'ha mangiato la biada, tira calci al corbello
— см. -A1230la bestemmia gira, gira, torna in capo a chi la tira
— см. - B614calunniare, calunniare che a tirare dell'acqua al muro, sempre se n'attacca
— см. -A228— см. - C980— см. - P1357chi fa le palle, non le tira
— см. - P158chi ha più polvere, e più tiri
— см. - P2016chi ha tegoli di vetro, non tiri sassi al vicino
— см. - T167chi si sente cuocere (или scottare), tiri a sé i piedi
— см. - P1721chi troppo tira l'arco, Io spezza (тж. chi troppo tira, l'arco si spezza; chi troppo tira la corda, la spezza; chi troppo tira, la corda strappa или presto schianta)
— см. - S1385come l'anguilla ha preso l'amo, bisogna che vada dov'è tirata
— см. -A755le disgrazie sono come (le) ciliege che una tira l'altra (тж. una disgrazia ne tira un'altra)
— см. - D632la giustizia è fatta come il naso: dove tu la tiri viene
— см. - G783— см. - M250— см. - N236— см. - P610il più tira il meno (тж. i più tirano i meno)
— см. - P1873quando la botte fila, poco più se ne tira
— см. - B1088— см. - S195— см. - T355— см. -A1061— см. - F601tira più un pel di sottana, che dodici paia di bovi in una piana
— см. - S1153— см. - V285— см. - T886— см. - M978 -
17 неважно
1) нар. poco bene, non molto bene2) сказ. ( не имеет значения)это неважно — non importa, non ha importanza; non fa niente -
18 худо
I с. разг. уст.••II1) нар. male, malamente2) сказ. безл. maleхудо-бедно прост. — alla meno peggio; a dir pocoхудо-бедно тысячу рублей он зарабатывает — è dura, ma mille rubli riesce a guadagnare••худо нажитое впрок не идет — la farina del diavolo va in crusca -
19 atrás
adv.1 behind, fro, back.2 back, back in time.3 ago.4 backward, backwards.intj.get back, jump back, back, back up.* * *► adverbio1 back2 (tiempo) ago1 stand back!, move back!\ir hacia atrás to go backwards* * *adv.1) back, behind2) ago•- atrás de- hacia atrás
- para atrás* * *1. ADV1) [posición]a) (=a la espalda) behindquedarse atrás — to fall behind, get left behind
b) (=al final) at the backla parte de atrás — the back, the rear
asientola rueda de atrás — the back o rear wheel
2) [dirección] backwardsir hacia o para atrás — to go back(wards)
échense atrás, por favor — move back please
marcha 5)lo has prometido y no puedes echarte atrás — you can't back out now, you promised
3) [en sentido temporal]mirar atrás, volver la vista atrás — to look back
4)= detrás 3)2.EXCL¡atrás! — back!, get back!
* * *1) ( en el espacio)a) ( expresando dirección) backmuévelo para or hacia atrás — move it back
b)c) (lugar, parte)tiene los bolsillos atrás — (esp AmL) the pockets are at the back
estar hasta atrás — (Méx fam) to be as high as a kite (colloq)
saberse algo de atrás para adelante — (CS fam) to know something backwards
2) ( en el tiempo)3)atrás de — (loc prep) (AmL) behind
atrás de mí/ti — behind me/you
* * *= in the back.Ex. The attackers shot the nun three times in the back before fleeing the scene.----* asiento de atrás = pillion seat.* caerse hacia atrás = fall backwards.* cuenta atrás = count down.* dar la cuenta atrás = count + Nombre + out.* dar macha atrás = backpedal [back-pedal].* dar marcha atrás = do + an about-face, back up.* de atrás = rear.* de atrás para adelante = back and forth.* de delante hacia atrás = front to back, fore and aft.* dejar atrás = leave + behind, outstrip, outpace, outdistance, leave + Nombre + behind, leave by + the wayside, move on from.* desplazarse hacia atrás = backtrack [back-track], draw back, move + backwards.* echar marcha atrás = do + an about-face, back out, back up.* echarse atrás = draw back, draw back, chicken out (on/of), back out, get + cold feet, backpedal [back-pedal].* empujar hacia atrás = push back.* en el asiento de atrás = in the back seat.* en la parte de atrás = at the rear.* enumerar hacia atrás = list + backwards.* hacia adelante y hacia atrás = to and fro.* hacia atrás = backwards, backward(s).* ir hacia atrás = page + backward.* ir marcha atrás = back up.* la parte de atrás de = the back of.* marcha atrás = about-face.* mirando hacia atrás = in retrospect.* mirar hacia atrás = look back.* mirar para atrás = look back.* moverse hacia atrás y hacia delante = move back and forth.* muy atrás = far behind.* no volver la vista atrás = never + look back.* parte de atrás = back, backside, rear.* pasajero de atrás = pillion passenger, pillion.* pasar hojas hacia atrás = page + backward.* pase hacia atrás = back pass.* paso atrás = backward step, retrograde step.* paso hacia atrás = retrograde step, step backward(s), step back.* pirueta hacia atrás = backflip.* quedarse atrás = fall behind, hang back, trail, trail behind, be behind.* que se abrocha por atrás = back-buttoning.* salto mortal hacia atrás = backflip.* ser demasiado tarde para echar atrás = reach + the point of no return.* tambalearse hacia delante y hacia atrás = wobble back and forth.* trabajar hacia atrás = work backward.* venir de mucho tiempo atrás = go back + a long way.* viajar hacia atrás en el tiempo = travel back in + time.* voltereta hacia atrás = backflip.* volver atrás = turn + the clock back, go + backwards.* volver hacia atrás = backtrack [back-track].* volver la vista atrás = look back.* vuelta atrás = fall-back [fallback].* vuelta de campana hacia atrás = backflip.* * *1) ( en el espacio)a) ( expresando dirección) backmuévelo para or hacia atrás — move it back
b)c) (lugar, parte)tiene los bolsillos atrás — (esp AmL) the pockets are at the back
estar hasta atrás — (Méx fam) to be as high as a kite (colloq)
saberse algo de atrás para adelante — (CS fam) to know something backwards
2) ( en el tiempo)3)atrás de — (loc prep) (AmL) behind
atrás de mí/ti — behind me/you
* * *= in the back.Ex: The attackers shot the nun three times in the back before fleeing the scene.
* asiento de atrás = pillion seat.* caerse hacia atrás = fall backwards.* cuenta atrás = count down.* dar la cuenta atrás = count + Nombre + out.* dar macha atrás = backpedal [back-pedal].* dar marcha atrás = do + an about-face, back up.* de atrás = rear.* de atrás para adelante = back and forth.* de delante hacia atrás = front to back, fore and aft.* dejar atrás = leave + behind, outstrip, outpace, outdistance, leave + Nombre + behind, leave by + the wayside, move on from.* desplazarse hacia atrás = backtrack [back-track], draw back, move + backwards.* echar marcha atrás = do + an about-face, back out, back up.* echarse atrás = draw back, draw back, chicken out (on/of), back out, get + cold feet, backpedal [back-pedal].* empujar hacia atrás = push back.* en el asiento de atrás = in the back seat.* en la parte de atrás = at the rear.* enumerar hacia atrás = list + backwards.* hacia adelante y hacia atrás = to and fro.* hacia atrás = backwards, backward(s).* ir hacia atrás = page + backward.* ir marcha atrás = back up.* la parte de atrás de = the back of.* marcha atrás = about-face.* mirando hacia atrás = in retrospect.* mirar hacia atrás = look back.* mirar para atrás = look back.* moverse hacia atrás y hacia delante = move back and forth.* muy atrás = far behind.* no volver la vista atrás = never + look back.* parte de atrás = back, backside, rear.* pasajero de atrás = pillion passenger, pillion.* pasar hojas hacia atrás = page + backward.* pase hacia atrás = back pass.* paso atrás = backward step, retrograde step.* paso hacia atrás = retrograde step, step backward(s), step back.* pirueta hacia atrás = backflip.* quedarse atrás = fall behind, hang back, trail, trail behind, be behind.* que se abrocha por atrás = back-buttoning.* salto mortal hacia atrás = backflip.* ser demasiado tarde para echar atrás = reach + the point of no return.* tambalearse hacia delante y hacia atrás = wobble back and forth.* trabajar hacia atrás = work backward.* venir de mucho tiempo atrás = go back + a long way.* viajar hacia atrás en el tiempo = travel back in + time.* voltereta hacia atrás = backflip.* volver atrás = turn + the clock back, go + backwards.* volver hacia atrás = backtrack [back-track].* volver la vista atrás = look back.* vuelta atrás = fall-back [fallback].* vuelta de campana hacia atrás = backflip.* * *1 (expresando dirección, movimiento) backmuévelo un poco para or hacia atrás move it back a littletuvo que volver atrás she had to go backda un paso atrás take one step back o backward(s)2¡atrás! ( como interj) get back!3(lugar, parte): está allí atrás it's back there¿nos sentamos más atrás? shall we sit further back o nearer the back?la parte de atrás the backiba sentado (en la parte de) atrás he was sitting in the rearme estaba quedando atrás I was getting left behinddejamos atrás la ciudad we left the city behind ustiene los bolsillos atrás ( esp AmL); the pockets are at the backB(en el tiempo): sucedió tres años atrás it happened three years agohabía sucedido tres años atrás it had happened three years earlier o beforeCatrás de mí/ti/él or ( crit) atrás mío/tuyo/suyo behind me/you/himatrás de la puerta behind the door* * *
atrás adverbio
1 ( en el espacio)
muévelo para or hacia atrás move it back;
b)◊ ¡atrás! ( como interj) get back!c) (lugar, parte):
me senté atrás ( en coche) I sat in the back;
(en clase, cine) I sat at the back;
me estaba quedando atrás I was getting left behind;
dejamos atrás la ciudad we left the city behind us;
estar hasta atrás (Méx fam) to be as high as a kite (colloq)
2 ( en el tiempo):
había sucedido tres años atrás it had happened three years earlier o before
3
atrás
I adverbio
1 (lugar) at the back, behind
echarse hacia/para atrás, to move backwards
mirar hacia/ para atrás, to look back
fig (arrepentirse) echarse atrás, to back out
quedarse atrás, to fall behind
2 (tiempo) previously, in the past, ago
dos meses atrás, two months ago
II exclamación ¡atrás!, get back!
' atrás' also found in these entries:
Spanish:
arrepentirse
- atrasarse
- coleta
- cuenta
- descolgar
- descolgarse
- echarse
- hacia
- marcha
- retroceder
- revés
- salto
- vista
- volver
- bien
- dar
- detrás
- echar
- fondo
- inclinar
- ir
- más
- meter
- mirar
- parte
- pasar
- paso
- quedar
- retroceso
English:
back
- back down
- back out
- back up
- backpedal
- backward
- backwards
- behind
- countdown
- drop behind
- fall behind
- foot
- further
- get back
- get behind
- lag behind
- lean back
- leave behind
- lineage
- look back
- move back
- outdistance
- outrun
- point
- rear
- remain behind
- reverse
- smooth back
- step back
- tilt
- tip
- tip back
- tip backward
- tip backwards
- bump
- count
- fall
- get
- go
- lag
- lean
- leave
- look
- out
- pull
- push
- retrospect
- shrink
- slope
- step
* * *♦ adv1. [movimiento] backwards;echarse para atrás to move backwards;dar un paso atrás to take a step backwards;hacia atrás backwards;Méx Famestar hasta atrás [borracho] to be plastered2. [en el tiempo] earlier;se habían casado tres años atrás they had married three years earlier;cinquenta años atrás pocos tenían televisores not many people had televisions fifty years agoel asiento de atrás the back seat;la parte de atrás the back;la falda es más larga por atrás the skirt is longer at the back;prefiero sentarme atrás I'd rather sit at the back;CSursaberse algo de atrás para adelante to know sth back to front♦ atrás de loc prepAm behind;me escondí atrás de un árbol I hid behind a tree;hace meses viene enfrentando un problema atrás de otro he's had one problem after another over the past few months♦ interjget back!* * *I advde opor atrás behind, in back of;quedarse atrás get left behind;dejar atrás leave behind;años atrás years ago o backhacia atrás back, backwards;echar atrás el asiento push one’s seat back;¡atrás! get back!;venir de atrás come from behind; fig go back a long way;mi amistad con Carlos viene de atrás fig Carlos and I go back a long way;venir por atrás come from behind;volverse oecharse atrás fig fam back outII prp:atrás de L.Am. behind* * *atrás adv1) detrás: back, behindse quedó atrás: he stayed behind2) antes: agomucho tiempo atrás: long ago3)para atrás orhacia atrás : backwards, toward the rear4)atrás de : in back of, behind* * *atrás1 adv1. (posición) back¿oyen bien los de atrás? can those at the back hear all right?2. (en el tiempo) agoatrás2 interj get back! -
20 ничего
I 1.( неплохо) benone, mica male2. предик.1) ( неплохой) è mica male, è buono2) ( привлекательный) è bello, è mica maleсмотри, девушка очень даже ничего — guarda, la ragazza è tutt'altro che brutta
3) ( неважно) non è importante, è roba da poco, fa nienteизвините. - ничего — scusi. - non fa niente
••IIничего себе — abbastanza bene ( неплохо); bella roba! ( вот так штука)
( ничто) niente, nulla* * *I мест. нар. разг.( сносно) non c'è male, abbastanza bene, passabilmente; così cosìчувствует себя ничего́ — si sente abbastanza bene
живёт ничего́ — sta abbastanza bene
он очень даже ничего́ — (lui) non è male
IIобед получился ничего́ — il pranzo non è stato mica male
1) част. разг. (выражает согласие, допущение) non maleничего́, всё в порядке! — niente, tutto a posto!
2) (о том, что не имеет значения)это ничего́ не значит — non significa un bel nulla
тебе больно? - ничего́ — ti fa male? - niente
3) (удивление, возмущение)стоит двести тысяч?! - ничего́! — costa duecentomila?! - la miseria!
•III разг. мест. отриц.с отрицанием nienteего ничего́ не интересует — non lo interessa niente
он ничего́ не знает — (egli) non sa niente
лучше, чем ничего́ — meglio di niento* * *1.colloq. accidente2. advgener. niente, non e niente, non fa niente, nulla
- 1
- 2
См. также в других словарях:
ti — 1ti pron.pers. di seconda pers.sing. FO 1. forma atona di te come complemento oggetto in posizione proclitica nei modi finiti ed enclitica nei modi indefiniti: ti chiamerò domani, vengo a prenderti, sbrigati!, non ti muovere | accompagnato dai… … Dizionario italiano
duro — {{hw}}{{duro}}{{/hw}}A agg. 1 Che non si lascia intaccare, scalfire e sim.: duro come l acciaio | Terreno –d, non dissodato | Pane –d, raffermo | Carne dura, tigliosa | Uova dure, sode | (fam.) Duro d orecchi, che ci sente poco; (fig.) che finge… … Enciclopedia di italiano
sc'cangèt — 1) scambiato, erroneamente sostituito con altro, o preso per altro 2) chi si sente poco bene … Dizionario Materano
Go — Para otros usos de este término, véase Go (desambiguación). Go El go se juega en una cuadrícula de líneas negras (usualmente de 19 × 19). Las fichas, llamadas piedras , se juegan en las intersecciones de las líneas … Wikipedia Español
Tita Merello — en 1952. Nombre real … Wikipedia Español
Thorgal — Publicación Primera edición Serializada en Tintín (1977). Editorial Le Lombard para el original. Norma Editorial para la versión en español … Wikipedia Español
Scooby-Doo! Mystery Incorporated — Este artículo o sección se refiere o está relacionado con una serie de televisión actualmente en curso. La información de este artículo puede cambiar frecuentemente. Por favor, no agregues datos especulativos y recuerda colocar referencias a… … Wikipedia Español
Schlafen — 1. Beter is dôt geslapen, denn dôt gelopen. Lat.: Stertendo praestat quam cursu fata subire. (Tunn., 192.) 2. Beyzeiten schlaffen gehen, früe auffstehen vnd jung freyen soll niemand gerewen. – Henisch, 1207, 32; Mathesy, 203b. 3. De da will… … Deutsches Sprichwörter-Lexikon
tanto — tàn·to agg.indef., pron.indef., pron.dimostr., s.m.inv., avv., cong. I. agg.indef. I 1a. FO con nomi non numerabili, così grande, che è in gran quantità, molto: ho davanti tanto tempo per studiare, ho avuto sempre tanta pazienza con te, ho tanta… … Dizionario italiano
Haxtur Award — The Haxtur Award ( Premios Haxtur ) is a Spanish award for comics published in Spain. It is awarded annually at the Salón Internacional del Cómic del Principado de Asturias (International Comics Convention of the Principality of Asturias). Award… … Wikipedia
sentire — [lat. sentire ] (io sènto, ecc.). ■ v. tr. 1. a. [ricevere impressioni sensoriali e averne coscienza: s. un rumore, un odore ] ▶◀ avvertire, percepire. b. (fam.) [prendere un assaggio di un cibo o di una bevanda: senti che buono! ; vuoi s. uno di … Enciclopedia Italiana