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Aveva avuto una bella fortuna nella vita. Fin dalla nascita con quel naso mostruoso che era sempre stato la sua croce; orfano che non aveva ancora dieci anni; povero; incarcerato; picchiato e pestato senza pietà. (C. Cassola, «Il taglio del bosco»)

Preferivo lasciar credere agli amici ch'avevo fortuna, e passare certe notti — specialmente nella bella stagione — a finestra spalancata nella speranza che si decidesse lei a entrarmi in camera e gettarmi le braccia al collo. (C. Pavese, «Racconti»)

— C'era da aspettarselo: è un caro ragazzo..; ma è «scriteriato» dalla nascita; e le buone fortune lo hanno guastato. (V. Brocchi, «I tempi del grande amore»)

«Dicono» continuò il gerarca, «che hai una grande fortuna con le donne». (V. Brancati, «Il bell'Antonio»)

La notizia della vendita e della compera dell' «Omnibus» scoppiò come un fulmine a ciel sereno: i moderati, quei della Giunta specialmente, erano sbigottiti e dicevano roba da chiodi all'ex direttore del giornale.... (G. Rovetta, «Mater dolorosa»)

Lui, però, non si scompose, perché aveva una faccia di bronzo numero uno, e rispose alzando le spalle: «Che c'entra... Roma non è stata fatta in un giorno». (A. Moravia, «Racconti romani»)

— Ma sicuro, le verità sopra tutto: quelle buone per gli ingenui ed i poveri di spirito; le altre se le porta via la faccia di bronzo di chi la sa dare ad intendere. (T. Lori, «Bufere sull'Arno»)

Noi difensori, s'intende, ci daremo da fare perché sia celebrato prima possibile. (C. Cassola, «La ragazza di Bube»)

Ma l'attività più pratica, allora, era quella della raccolta delle armi e l'assistenza ai prigionieri alleati scappati dai campi di concentramento. I miei figli si erano già dati da fare per le armi, bisognava agire per i prigioneri. (A. Cervi, «I miei sette figli»)

Carlino correva tra le aiuole, e Medoro si dava un gran da fare, saltando attraverso i fiori dietro il padroncino. (T. Lori, «Bufere sull'Arno»)

...darsi da fare è comune a Roma e sta diffondendosi ovunque specialmente col senso di «corteggiare le donne». (A. Menarini, «Il cinema nella lingua. La lingua nel cinema»)

Motivo per cui il nipote Manlio... le faceva una corte assidua e sapeva specialmente darle burro e farle fichi, quando gli occorreva di levarle di sotto de' quattrini (Methode Schliemann, «Italienisch»).

Ma il vino mi tagliò solo le gambe. (C. Govoni, «Preghiera al trifoglio»)

La censura sarebbe stata rimedio efficace, avrebbe troncato le gambe alla Riforma. (F. De Sanctis, «La Scuola liberale e la Scuola democratica»)

L'indecisione dei tedeschi era durata poche ore, era bastato poi un giorno solo perché essi si accorgessero che la paura tagliava le gambe ai nostri comandi. (A. De Jaco, «Le quattro giornate di Napoli»)

C'è peggio a questo mondo: l'invidia per esempio, la falsità, e quel certo modo di tagliare le gambe agli altri senza parere.. (B. Tecchi, «Giovani amici»)

Gli uffici... aiutano i deputati novizi ed inesperti a parlare in pubblico, li aiutano a rompere il ghiaccio dell'oratoria parlamentare. (G. Faldella, «Il paese di Montecitorio»)

Per sciogliere il ghiaccio, Libò offrì al carabiniere il libriccino, tanto che se ne faceva? Il carabiniere lo intascò in silenzio. (D. Paolella, «Le italiane furiose»)

Egli era indeciso se recarsi al convegno fissato con la moglie o risalire da Fantinelli, col quale avrebbe desiderato di scambiare qualche parola, visto che ormai il ghiaccio era rotto in grazia di quel avvenimento inatteso che li aveva buttati l'uno nelle braccia dell'altro. (T. Lori, «Bufere sull'Arno»)

Domandai, così, tanto per rompere il ghiaccio: «A che cosa pensi?». (A. Moravia, «Nuovi racconti romani»)

Volevo subito in qualche modo rompere il ghiaccio, ma proprio non sapevo che dire. (U. Pirro, «Le soldatesse»)

Specialmente le prugnole mi facevano gola. (C. Pavese, «Racconti»)

Portava in dote il diritto, per i figli, di successione al titolo di un feudo, che faceva gola all'arricchito per decorarne la sua prosapia. (R. Bacchelli, «Tre giorni di passione»)

I giornali le facevano sempre gola: li rubava come fossero stati cose preziose. (O. Vergani, «Udienza a porte chiuse»)

Dopo tutto non ha nulla, nella vita, è giovane, che c'è di strano che la felicità le faccia gola?. (A. Moravia, «Racconti surrealistici e satirici»)

— E in fondo egli non ti perdona d'esser riuscito a far quattrini.

Ricordatevi che la storia di tutti i popoli, di tutte l'epoche, e più dell'altre la vostra gronda delle lacrime e del sangue di popoli che hanno voluto commettere a mani straniere la conquista o la tutela della loro libertà. (G. Mazzini, «Scritti editi e inediti»)

E Salvatore non ci aveva visto più, zitto non gli era riuscito di rimanere e s'era messo a replicare, con gli occhi di fuori... che lui l'America la conosceva e che i tedeschi non erano buoni nemmeno per legargli le scarpe agli americani. Ma soprattutto, e qui Salvatore s'era lasciato andare dimenticando che la lingua non ha osso ma rompe le ossa, a lui l'America piaceva perché non era in mano ai succainchiostro.... (P. A. Buttita, «Il volantino»)

Era certo soddisfacente che fossero rimasti in lizza a disputarsi l'eredità tre artisti italiani, ma questa lotta fraterna non era simpatica, e Gigli, sopratutto, se ne dispiaceva... Credette decoroso tagliar corto. (R. de Rensis, «Il cantore del popolo»)

...E invece i suoi padri, i suoi antichi... mettevano al mondo figli senza risparmio. (M. Puccini, «Ebrei»)

— Abbiamo dei doveri, specialmente verso i figli. Perché li hai portati al mondo?. (S. Strati, «Lo Zuccone»)

E tale cosa appare dal complesso degli interventi editi in questa sede, di critici, scrittori e sopratutto di linguisti, cioè di persone che in questi ultimi anni si sono tirate su le maniche, hanno fatto spogli («La nuova questione della lingua»).

Non aveva niente, proprio niente che potesse interessar un uomo, salvo naturalmente la coscienza, il cuore, l'anima e la volontà di voltar indietro le maniche e sgobbar dalla mattina alla sera come una serva. (G. Testori, «E tre...»)

Era chiaro: gli si consigliava di servirsi di quel luna park così opportuno e alla mano per sedurre l'amante di Mostallino. (A. Moravia, «L'amante infelice»)

C'era tutta una categoria di frasi scelte che il responsabile della pubblicità — certo per apparire più moderno e alla mano — mai aveva voluto usare. (G. Arpino, «Altre storie»)

— È un fatto che non mi raccapezzo... Sono sempre molto alla mano, specie lo zio e la Mariannina, ma non sono più quelli di sette anni fa.... (E. Castelnuovo, «I Moncalvo»)

Ogni tanto, s'incontravano mendichi laceri e macilenti, o invecchiati nel mestiere, o spinti allora dalla necessità a tender la mano. (A. Manzoni, «I promessi sposi»)

Resiste bene, malgrado il tempo la locuzione tendere la mano. Conosciuta nell'Ottocento, ebbe presa in special modo nel primo decennio del Novecento. (G. Pallotta, «Le parole del potere»)

«A che punto siamo coi numeri «magni» di stasera?.. con le danze così dette classiche e con lo sport io sono preoccupato perché fanno massa. (S. Micheli, «La foto del commendatore»)

Io ero allora un giovanetto sui quattordici anni e stavo tutt'orecchi ai discorsi del babbo, specie dopo pranzo. (A. Panzini, «La cagna nera»)

— Allora, o ascoltate o no!

E anche questa preferiva star zitta; ma era tutta orecchi ad ascoltare tutto che Momi e l'Allori andavano discutendo. (B. Tecchi, «La terra abbandonata»)

La Mariannina se la prendeva particolarmente col pittore. (E. Castelnuovo, «I Moncalvo»)

«Mi pare che non te la prendi tanto», dissi entrando con Albertazzi nell'atrio dell'albergo.

«Non credere che io t'invidi perché vieni ogni giorno a Ostia con la macchina e l'autista, o me la prenda con Luca perché è sempre il primo della classe». (P. Spalletti, «Esame di riparazione»)

Il problema non è la durezza della sorte, poiché tutto quello che si desidera con bastante forza, si ottiene. Il problema è piuttosto che ciò che si ottiene disgusta. E allora non deve mai accadere di prendersela con la sorte, ma con il proprio desiderio. (C. Pavese, «Il mestiere di vivere»)

E pure gli altri compagni suoi cominciavano ad andare in puzzo, specie Tommaso, che guardava quelli del tavolo accanto, con una rabbia negli occhi. (P. P. Pasolini, «Una vita violenta»)