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—...Ma loro mi sono sempre addosso e con tanto d'occhi così. (M. Puccini, «Ebrei»)

Gira e gira cercando l'amore vero, definitivo, e intanto perde tempo senza venire a capo di nulla. E la stagione finisce. Le ragazze passano... da una villeggiatura all'altra, stringono, agguantano, ma all'ultimo se ne vanno con un pugno di mosche. (R. Brignetti, «La deriva»)

Gli altri si arrabattano con la furberia, coi calcoli e con gli inganni... e alla fine, machiavellici come sono, si ritrovano con un pugno di mosche. (A. Moravia, «Le ambizioni sbagliate»)

Aldo. — Io sono riservato... anche troppo. Lo so, è colpa dell'educazione... gli altri mi spingon da parte e io resto con un pugno di mosche. (E. Possenti, «Un altro amore»)

A tutto c'era rimedio, salvo alla morte: ripeteva il proverbio, pensava a Piero, si credeva sicuro di sé (Al. Soldati, «rLe due città»).

«Ammazzarmi? E perché mi dovrei ammazzare?.. No, non mi ammazzo. A tutto c'è rimedio, tranne all'osso del collo». (G. Rovetta, «Mater dolorosa»)

Tutto sommato andava dicendo a se stessa, che doveva essere molto noiosa la figlia della contessa Marfusa. (A. Delfini, «Racconti»)

...tutto sommato, poteva forse dire di voler bene a quel nipote?. (G. Testori, «Il Brianza e altri racconti»)

A chi appaiono espressioni superate? All'uomo della strada certamente no («La nuova questione della lingua»).

«...Ormai al rassegnato uomo della strada non restava che convertire in umorismo le rotonde frasi, che per un ventennio avevano martellato le orecchie di quaranta e più milioni di italiani».

A dire il vero... l'uomo di strada ripiega sulle proprie difficoltà e sulle proprie sventure («Paese sera», 14 maggio 1977).

La Bella Giuditta nun si peritò di addomandare al messo d'addove vieniva e che andeva a fare nell'Ungheria. Il messo gli scaricò tutto il sacco dal primo all'ultimo chicco di grano. (G. Nerucci, «Sessanta novelle popolari montalesi»)

Matilde. — Piangete, che vi fa bene. Voi, in questo momento, avete bisogno di vuotare il sacco, di sfogarvi. (E. De Filippo, «Bene mio e core mio»)

Si capiva che aveva ancora qualcosa da tirar fuori, che non aveva ancora vuotato il sacco. (A. Campanile, «Gli asparagi e l'immortalità dell'anima»)

L'avete indovinata; questa mutazione continua della stagione questi salti giornalieri dal freddo al caldo e dal caldo al freddo, mi hanno rimesso il diavolo addosso. Ora poi vi confesso che bestemmierei con tutto il cuore, perché... il troppo stroppia. (G. Giusti, «Epistolario»)

Il vino entrava loro nella bocca e nel naso, minacciando di affogarli: era vino buono, ma il troppo stroppia. (G. Rodari, «Le avventure di Cipollino»)

Non volle che andassi oltre la quinta elementare, dicendo che gli studi abbreviano l'esistenza, e che il troppo stroppia. (G. Marotta, «Mal di Galleria»)