(eppure)

Mirandolina. — L'eccellentissimo signor marchese Arsura mi sposerebbe? Eppure, se mi volesse sposare vi sarebbe una piccola difficoltà. Io non lo vorrei. Mi piace l'arrosto, e del fumo non so che farne. (C.Goldoni, «La locandiera»)

— Io lo conosco... Eppure non solo non gli salto addosso, ma, al cenno che mi fa.., io mi avvicino e gli siedo accanto. (M. Puccini, «Scoperta del tempo»)

Eppure, Tori, col toccare gli anni, aveva ucciso e per futile motivo, un giovinetto, Giuvi, suo intimo amico, senza spiegare perché uccidesse. (D.Rea, «Cappuccio»)

Cosa vuol dire esser bassetti. Tutti ci canzonano.., e le donne non ci prendono sul serio, come se fossimo bambini. Eppure, come dice il proverbio, nelle botti piccole c'è il vino buono. (A. Moravia, «Racconti romani»)

Eppure li lesse, con una specie di terrore, e li rilesse anche. Ragionavano assai meglio del cugino, che riferiva le cose buccia buccia. (L. Capuana, «Il marchese di Roccaverdina»)

Questo bocconcino ghiotto era stato assaggiato dal socio di suo padre buon'anima, Portentino Alberigli, uomo molto navigato, il quale quando ebbe fatta la corbelleria di sposarsi a una magnifica fanciulla perde la bussola e diede subito in secco. (S. Farina, «Le tre commedie della vita»)

Il conte e il cancelliere perdettero la bussola, e si sentirono mancar sotto la terra. (I.Nievo, «Confessioni di un italiano»)

A Napoli come a Roma, perché hanno avuto Palestrina, Scadati, Pergolese, credono di saperne più degli altri... Eppure hanno perduto la bussola, e ne sanno ben poco. (G. Verdi, «Autobiografia dalle lettere»)

Non di rado però nelle seguenti visite quotidiane, non volendo mentire o mentir troppo, fu per smarrire la bussola. (A. Albertazzi, «Novelle umoristiche»)

Croz. — Fai il disinvolto, eh?.. Ma nemmeno tu hai bella cera. Sei molto giù. (U. Betti, «Corruzione al Palazzo di Giustizia»)

La vedova... portò il caffè e latte abbondante, con quattro panini...

Beatrice. — Avete febbre?

Signora in viola. —...Eppure vede, la figlia io la capisco. Pur odiandola! Sono sincera. Morta, non la piangerei. No no, nemmeno una lacrima. Ringrazierei lassù dove dovrebbe ben fare i suoi conti. (D. Fabbri, «Il confidente»)

— Fammi ridere, — disse Giusti — quando una donna ti salta addosso, ha già fatto i suoi conti. (C. Pavese, «Racconti»)

— Leva di mezzo quella porcheria — egli disse irritato non appena vide in mano a sua madre la fotografia di quando era vestito da angelo.

«...Ho trent'anni e ne ho passate! Eppure, ci credi? mi sembra di essere entrato soltanto ora nell'età della ragione». (V. Pratolini, «Metello»)

Eppure bisognava che m'accostassi a terra, adesso. Per forza!. (E. Guerra, «La baia dei maiali»)

Nella vita posso essere un truffatore o un imbroglione, ma nei film no. Il film di un uomo è come un uomo nudo: non c'è nulla che possa essere nascosto. Nei miei film devo essere sincero per forza («Film 1961»).

«Che dici, me lo condanneranno?»

Rosaura. — Vuol prender moglie?

—...Un ufficio dove non si fa nulla... Nessun pensiero, nessuna responsabilità... Eppure non fa per me, ecco. (M. Puccini, «Ebrei»)

È quel che fa per me, pensò Pedro. (A. Campanile, «Gli asparagi e l'immortalità dell'anima»)

Eppure Stefano Cogoleto è un galantuomo, un gran galantuomo, un patriota e, per Dio, un fegato santo. (G. Rovetta, «L'Idolo»)

Comincia a urlare in tono drammatico: Numi del firmamento! Sogno o son desto? Eppure quello laggiù è Pinocchio. (C. Collodi, «Le avventure di Pinocchio»)

A un tratto sento un passino delicato... che si ferma dietro le mie spalle: scommetto, dico fra me, che è giovane, che è bella, che è bionda... Mi volto, e... stelle del firmamento!. (E. De Marchi, «Opere»)

...Il Riccardo non poteva esser altro che un avventuriero, uno che cercava di carpir la buonafede della figlia promettendole chissà cosa, per piantarla prima o poi sul lastrico e sola. (G. Testori, «Il Brianza e altri racconti»)

— Eppure mi ha lasciato sul lastrico.... (V. Brocchi, «I tempi del grande amore»)

Non era lui che aveva piantato in asso gli elettori; al contrario gli elettori avevano lasciato lui sul lastrico, mandando a Roma, in sua vece, il conte Della Valle. (G. Rovetta, «Mater dolorosa»)

Eppure, quasi tutti i giornalisti presenti hanno fiutato la messa in scena per confondere le idee («Panorama», 10 gennaio 1974).

Egli si decise a tornare i primi di novembre, ma la notizia del fallito attentato di Zamboni, anzi la orchestrata messa in scena da parte della polizia dei preparativi dell'attentato, lo fermarono a Milano. (G. Amendola, «Una scelta di vita»)

— Allora cosa mi raccontavi, prima? — fece il Principe. — Dicevi che quell'agnello era tuo fratello, e ora te lo vuoi mangiare?

Raccontava che questa Flora aveva uno che la manteneva... e le passava mezzo milione al mese; eppure lei, per una stupidaggine da nulla aveva «fatto marrone», per un capriccio aveva mandato tutto quanto a farsi benedire. (D. Buzzati, «Un amore»)

— Sono sempre usciti di notte tre o quattro volte in un inverno, e non è mai successo niente, sei disposto a vedere nero da qualche tempo, mio caro. (F. Jovine, «Signora Ava»)

Vedo molto nero, eppure non v'ho detto la metà del male che penso e temo. (G. Verdi, «Autobiografia dalle lettere»)

— Sei proprio un pessimista e vuoi vedere tutto nero per forza!. (G. Rodari, «W la Saponia!»)

A Roma dicono che una ragazza è di naso per dire che è come la carne non tanto fresca, quando ha un odore che non convince. Di naso: cioè sotto sotto interessata e capace per interesse di mettere da parte gli scrupoli. (A. Moravia, «Nuovi racconti romani»)

Irene, per esempio, la fioraia... chi l'avrebbe detto che fosse, appunto, di naso? Eppure è così e io ci ho le prove e questo lo dico per dire che le apparenze ingannano. (A. Moravia, «Nuovi racconti romani»)

Ora, il mondo in cui adesso viveva, il mondo dei suoi nemici, si vendicava. Faliero si vendicava. Gli toglieva la libertà. L'aria. La luce degli occhi. (V. Pratolini, «Un eroe del nostro tempo»)

Eppure era così triste vivere così; non per sé, che poco gli rimaneva di vita, ma pensava al suo figliuolo caro più che la luce delle sue pupille. (A. Panzini, «Il libro dei morti»)