(dote)

— No, Don Favonio, non vorrei mai essere tua sposa, perché in un giorno sei capace di mandarmi in fumo tutta la dote. (I. Calvino, «Fiabe italiane»)

— Ed è un rispondere trionfalmente a chi dubitava che nelle ricchezze del conte Leonforte ci fosse più fumo che arrosto. (E. Castelnuovo, «L'onorevole Paolo Leonforte»)

Giacinta. — La dote è fritta; chi l'ha da prendere? dovevan mangiar meno, dovevano trattar meno. Quello che si vedeva, era fumo, non era arrosto. (C. Goldoni, «Le smanie per la villeggiatura»)

Ippolito. — E voi vi siete fatto una immaginazione, la quale è falsa; perdonatemi.

Specialmente le prugnole mi facevano gola. (C. Pavese, «Racconti»)

Portava in dote il diritto, per i figli, di successione al titolo di un feudo, che faceva gola all'arricchito per decorarne la sua prosapia. (R. Bacchelli, «Tre giorni di passione»)

I giornali le facevano sempre gola: li rubava come fossero stati cose preziose. (O. Vergani, «Udienza a porte chiuse»)

Dopo tutto non ha nulla, nella vita, è giovane, che c'è di strano che la felicità le faccia gola?. (A. Moravia, «Racconti surrealistici e satirici»)

— E in fondo egli non ti perdona d'esser riuscito a far quattrini.

Patiste con la tua sposa, dure privazioni. Ella non era come tu la desideravi, non era, e non per sua colpa, «l'altra metà di te stesso». (V. Pratolini, «Cronaca familiare»)

E allora mi guardai intorno e presi la mia metà. L'ho presa senza badare alla dote, ricercando solo le qualità morali. (S. Farina, «Le tre commedie della vita»)

Probabilmente il buon uomo si trovava già nel suo fondaco o nel suo ufficio a guadagnare i capricci della dolce metà, leggera e vuota. (A. Varaldo, «L'amante di ieri»)

Manno. — Guido mio fratello mi scrisse, Federigo aver venduto la casa... ma non essendo ancor fatto il contratto, operai tanto e con Federigo e col compratore, dicendo di volerla io, e ugnendo le mani al mezzano... che la vendita di lui venne in me. (G. M. Cecchi, «La dote»)

Qual'è la conclusione ultima della «Locandiera»? Che una donna può far la civetta con tre uomini nel medesimo tempo, adescarli, innamorarli, ricevere da loro i regali a iosa, finché, fattasi un po' di dote, si mariti con un altro lasciando quelli con tanto di naso: industria poco morale. (F. Martini, «Al teatro»)

Una mano robusta si sporse dal treno e afferrò al polso Riccio... Se non era per quella manona operaia, invece, l'avrebbe visto andarsene e lasciarlo lì con un palmo di naso.... (G. Arpino, «Le mille e una Italia»)

Il coraggio non era mai stato la sua dote precipua; e questi erano tempi di ferro. (L. Preti, «Giovinezza, giovinezza»)