eravàmo

Eravamo ancora in piedi ridendo di un qualche commento salace quando vedemmo la gente agitarsi, far largo, far largo precipitosamente a una donna vestita di nero che correva. (A. De Jaco, «Una storia di emigranti»)

Guardavo con occhio pietoso e nuovo ogni mobile, ogni stoffa, ogni ninnolo, Eravamo, davvero, in cospetto delle ceneri del XVIII secolo morto e sepolto con la sua grazia e la sua magnificenza. (G. Brunato, «L'Oriente veneziano»)

Trovata una villa in una spiaggia, si diede mano ai soliti preparativi delle partenze. (A. Moravia. «I racconti»)

Montò in furore e diventò così rosso che se si fossero passati di lì i pompieri avrebbero dato mano alle pompe per spegnerlo. (G. Rodari, «Le avventure di Cipollino»)

Lorenzo. — Dove cominciate a mettere mano?

...occorre che i partigiani siano fra i primi ad entrare nelle città.., fra i primi a porre mano alla trasformazione della vita e dei rapporti sociali.... (L. Bergonzini, «Un fucile per Saba»)

Comunque, non si potrebbe e dovrebbe tacere che è una vergogna che ad una legge di riassetto dell'attività musicale non si sia posto mano in tanti anni... («L'Unità», 19 marzo 1977).

Lorenzo. — Non lo sapevi che da un momento all'altro dovevano mettere mano? Non eravamo d'accordo che l'appartamento bisognava modificarlo, renderlo moderno?. (E. De Filippo, «Bene mio e core mio»)

...quella mattina, io andavo mettendo mano ora a una cosa, ora a un'altra, per indugiare. (A. Moravia, «La noia»)

Sapeva ella che l'ucciso aveva messo le mani sul loro patrimonio? anche questo sapeva. (A. Moravia, «Gli indifferenti»)

Non che tutto quanto si vedeva sulla mappa appartenesse alla famiglia: a Nord vi erano montagne inospiti nelle quali gl'Ibba non avevano mai voluto metter mano. (G. Tomasi di Lampedusa, «Il mattino di un mezzadro»)

Se coloro che sinora si sfogano a gridare, pigliano gusto anche a metter mano nella roba altrui, siamo fritti!. (G. Verga, «Mastro-don Gesualdo»)

Efrem era in bolletta e non pareva certo un'aquila; ma era il numero uno della «Palestra ginnastica». (L. Preti, «Giovinezza, giovinezza»)

Amilcare, che è un mangione, badava a ripetere: «Ahò, giovanotti, voglio farmi una mangiata numero uno». (A. Moravia, «Racconti romani»)

Eravamo in cinque; Giustino, io, Flora mia moglie, Jole una sua amica... e Osvaldo, un disperato numero uno. (A. Moravia, «Nuovi racconti romani»)

Era Cesare, un disperato numero uno, che avevo conosciuto nel dopoguerra, ai tempi della borsa nera delle sigarette. (A.Moravia, «Racconti romani»)

Era stanca; sentiva lei per prima di non poterne più.... (G. Testori, «Il Brianza e altri racconti»)

Tutti ridevano che non ne potevano più; i soli a non ridere eravamo io e Serafino. (A. Moravia, «Racconti romani»)

Il parlamento italiano era alle prese con i problemi gravosi dell'unificazione. (G. Pallotta, «Le parole del potere»)

Ma anche Love si trovò alle prese con nemici implacabili («Rinascita», 14 dicembre 1973).

Mi parvero persone serie e giudiziose, alle prese con un'invasione di pazzi, che eravamo noi. (A. Campanile, «Gli asparagi e l'immortalità dell'anima»)

Quand'eravamo due bambine, Gisella era tenuta stretta stretta, tanto che con me si lagnava di non poter nemmeno andare al cinema. (C. Pavese, «Tra donne sole»)

...Ma se eravamo sofferenti o malati, si mostrava ad un tratto sollecito come una madre. (N. Ginzburg, «Le piccole virtù»)